Sono passati due anni dall’ultima edizione del Bif&st senza pandemia e senza tutte le preoccupazioni legate ad essa. Due anni anche da quando Ennio Morricone era a Bari, con la moglie Maria Travia e il suo grande e vecchio amico, con cui ha prodotto capolavori indimenticabili: il regista Giuseppe Tornatore. Due anni da quando veniva presentato il libro intervista Ennio, un maestro una conversazione fatta di domande e risposte tra il famoso compositore e il regista siciliano, che tanto svelava del grande artista che era riuscito a mettere su carta tante ottime composizioni.
Questa dodicesima edizione del Bif&st, con i suoi teatri, le sue liturgie, i suoi film, ricorda ancora una volta Morricone; lo omaggia, facendo parlare di lui chi meglio lo ha conosciuto. Chi ha guardato a lui con la stima e l’affetto che solo un figlio e una nipote possono nutrire. E così Marco e Valentina Morricone fanno un memoriale del pensiero del padre e nonno, facendo risaltare l’amore sconfinato per la musica e per la cultura. Ricordano quanto strenua fosse la lotta di Morricone per promuovere il cinema, il teatro e l’arte; un impegno costante, che ha portato avanti per tutta la vita, fino alla morte avvenuta poco più di un anno fa.

Al Kursaal, nello splendido teatro, prima che iniziasse l’avventura del Bif&st è stato proiettato il documentario dedicato al compositore che ci invidia il mondo intero, con la regia di Giuseppe Tornatore: Ennio. Una proiezione che ha mostrato alcuni lati inediti, più umani dell’artista, circondato dall’affetto e spinto ad osare sempre più grazie all’amore per la musica. Commentando il documentario, Valentina aveva riferito quanto Morricone fosse taciturno, quanto preferisse il silenzio alle parole, specie se inutili: “Mio nonno amava moltissimo il silenzio, era il suo linguaggio preferito. Questo documentario lo rende il “chiacchierone” che non è mai stato. Se in tutto il mondo tutti conoscono la sua musica, pochi conoscono il suo mondo, quello che aveva dentro. E questo mi sembra il posto migliore per ottenere un biglietto di prima classe verso quel mondo”.
Il ricordo di Morricone è poi proseguito, ancora attraverso la voce dei suoi cari Marco e Valentina, ma stavolta si passa dal teatro Kursaal, un altro palcoscenico di questa bellissima edizione del Bif&st, che vuol essere proprio un viaggio attraverso i teatri del capoluogo. Un teatro che oggi non accoglie più spettacoli in prosa o lirici, come gli altri, ma mostre fotografiche e incontri di grande interesse. È qui che continua il viaggio nell’intimità e nel ricordo di Morricone. E così, mentre si cammina tra le foto di Ettore Scola, si percorrono le precedenti edizioni del festival barese, si ascoltano le voci, si vedono i volti, alla ricerca dei tratti del maestro, cercandolo nelle rughe e nei gesti di chi parla di lui, di chi lo riporta alla memoria.
Come dice Jean Gill, noto critico cinematografico: “Noi a Morricone non riusciamo a rinunciare. Il Bif&st, così come il cinema, è destinato a ricordarlo continuamente, a non cessare mai di parlare di lui”. E la prova sono i tanti riferimenti al compositore, che sembrano inondare il festival. Continui rimandi all’edizione che l’ha avuto come protagonista poco prima che ci lasciasse per sempre. “È entrato nell’immaginario collettivo e nel cuore di ogni barese”, conclude prima di dare la parola ai due ospiti.
E qui si avverte tutta l’affetto di chi Ennio Morricone l’ha “vissuto”. Si tenta di spostare il discorso sull’importanza della musica per il compositore, della cultura, “quale faro da tenere alto perché l’Italia superi ogni periodo oscuro”, come dice Marco, ma il pensiero di Morricone e il dolore legato alla sua morte si avvertono per tutto il teatro. Passa da chi l’ha conosciuto a chi lo ha amato, pur non conoscendolo. “Era un uomo mite, umile, che lavorava costantemente. Un perfezionista, che non concedeva alcuno sconto a se stesso. Amante del duro lavoro, profondamente convinto che il compositore si dovesse mettere al servizio della musica e non il contrario”, continua il figlio.
“Noi siamo cresciuti nella musica. Il mio bisnonno aveva fondato una piccola casa editrice musicale e voleva stampare le canzoni del nonno, quando aveva forse una quindicina d’anni. Due le aveva scritte per la madre, Libera Ridolfi, e da quello che ricordo le vendette, ci guadagnò qualcosa, ma non le fece pubblicare perché allora non aveva sviluppato ancora un suo stile. Era in erba, ma quella fu la sua primissima esperienza nel circuito della canzone. Capì come si scrivevano, il grande ruolo che aveva la voce, ma capì anche di essere interessato più al suono che ai contenuti delle parole. Alla mia bisnonna piacevano tanto le canzoni e per lei aveva fatto uno strappo alle regole. Poi venne la guerra e col padre si guadagnava da vivere suonando la tromba. E lì, in mezzo a tanta miseria, la musica lo aiutò molto e quella passione l’ha passata ad entrambi, specie a Marco”, racconta Valentina.
“Credo che sia stata davvero una luce da inseguire, un miraggio a tratti chiarissimo. E poi questa primissima esperienza con le parole che si accompagnavano alla musica, l’ha poi ripresa in tante composizioni, per esempio in quelle a Sergio Leone. Emblematico è il caso dell’ “Estasi dell’oro” de “Il buono, il brutto e il cattivo”. È stato veramente un esempio, una fonte di ispirazione. Una figura sempre presente e vicina, nonostante i tanti impegni di una vita sacrificata, certo, ma al servizio di ciò che amava profondamente e che non l’ha mai lasciato, neppure in punto di morte. Sicuramente, aveva qualche bella musica in testa. Peccato solo che sia rimasta lì, tra i suoi ultimi pensieri”, conclude il figlio Marco commosso.
Le foto sono tratte dal sito del Bif&st