Entriamo nel Kursaal, sul lungomare barese, dopo esserci appena allontanati dal centro e dai teatri che lo hanno conquistato. Prima di entrare in quel gioiello che è il Kursaal, di recentissima apertura, sostiamo all’ingresso presi dall’emozione: siamo, in fondo, tra i primi a varcare la soglia, prima che nel giro di mezz’ora la platea sia già tutta occupata in questa domenica mattina, per rivedere uno dei film più belli di Nanni Moretti, un regista che ha arricchito il panorama cinematografico italiano con capolavori come Palombella rossa e Bianca.
Qualcuno, in platea, ricorda quando il regista romano venne al Petruzzelli, in una passata edizione del Bifest, per leggere gli appunti presi durante Caro Diario, per molti il suo film più bello, senz’altro il più autobiografico, capace di mostrare una Roma in movimento, con le sue strade, i suoi vicoli, la sua bellezza senza tempo. Era nato come un cortometraggio di lui che girava in vespa per la città e, invece, era diventato l’incipit di uno splendido trittico.
Molti spettatori in sala Habemus papam l’hanno già visto; hanno avuto modo di assaporarne bene ogni inquadratura. Sanno bene che cosa stanno per guardare, ma ogni occasione offre un’attrattiva diversa, cui è impossibile sottrarsi. Il teatro Kursaal, in primis, era in restauro da due anni e finalmente ha aperto le porte al suo pubblico, mostrando la sua bellissima sala liberty. Non un nuovo teatro, ma un tesoro di Bari rimesso a nuovo, con i suoi affreschi, le decorazioni in legno, i lampadari luccicanti. “E pensare che questo teatro, questo bellissimo teatro, doveva essere una sala da ballo -commenta, ridendo, lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo, al termine della visione- e, invece, ha arricchito la grande tradizione teatrale di questa città. Abbiamo bisogno di teatri, non di sale da ballo”.
“Il meglio dei teatri baresi” o come è stato più volte definito alla sua riapertura, avvenuta con il film omaggio a Morricone, Ennio, del regista amico Giuseppe Tornatore. E, in effetti, un bel teatro arricchisce il territorio del capoluogo e della Puglia tout court. Le luci si spengono e inizia il film. Si vede la folla radunata in piazza San Pietro, che piange il papa defunto e attende che venga eletto il nuovo pontefice. L’inquadratura si sposta in quelle sale a tutti precluse e possiamo finalmente scoprire che cosa avvenga a porte chiuse, come si faccia a eleggere il papa. E qui subito notiamo l’umanità di questi cardinali, che pregano Dio di non essere scelti. Nessuno si sente all’altezza, in tempi così difficili, e ad essere votato dai cardinali è proprio l’uomo che meno se la sente in assoluto.
Una volta indossati gli abiti da papa, quasi sul punto di parlare al popolo, il pontefice neoeletto ode la frase Habemus Papam e lancia un urlo disperato, scoppia in lacrime e scappa via, chiude le porte al suo passaggio. La folla resta attonita, vede solo un balcone vuoto con le tende rosse che svolazzano al vento. È un film potentissimo, tra i più belli dell’ultimo Moretti, e straordinariamente profetico, perché parla di un papa che abdica poco prima che Benedetto XVI mettesse fine al suo mandato. E ricerca l’immensa umanità del “gran rifiuto’” come direbbe Dante, di un pontefice. Così facendo, ha arricchito di significato quella rinuncia avvenuta nella realtà e ha reso meno acri le reazioni dei credenti.
Francesco Piccolo ricorda quanto grande fosse l’attesa di questo film, così ironico e delicato: “Moretti l’ha girato in un periodo in cui i suoi ammiratori quasi speravano di vederlo candidarsi come sindaco di Roma o come premier della sinistra. E non sarebbe stato il primo personaggio noto a candidarsi. Nel corso degli anni, attori progressisti come Robert Redford, Warren Beatty o George Clooney hanno avuto un ruolo attivo nella politica statunitense. Forse, c’era il desiderio inconscio che diventasse addirittura papa. Al punto che l’Espresso mise in copertina un fotomontaggio di Nanni vestito da pontefice, con tanto di mitra e paramenti. La trama del film ancora non si conosce, ma tutti danno per scontato che Moretti interpreti il papa!”, racconta, divertito, Piccolo.
La parte migliore del film è quando il papa va in terapia, come fosse l’ultima risorsa possibile. Lo psichiatra è interpretato giustamente da Moretti, perché il regista è per natura un attento lettore della realtà e della psicologia delle persone e il cinema è una lente che si sposta sul mondo e ne rende visibili i tratti più nascosti. Eppure, la psicanalisi non ha modo di procedere al meglio nello spazio claustrofobico del vaticano. E allora questo papa gira per Roma, prende il pullman, vive quella normalità che non ha potuto vivere per tanti anni e respira. Cerca rimedio al di fuori di san Pietro, una psicologa (Margherita Buy) che non sappia chi sia e a cui dice di fare l’attore di teatro, come ha sempre sognato. Subito nascono delle analogie: il papa, in fondo, è un attore di teatro, come tutti chiamato a recitare nell’immenso spettacolo che è la vita, costantemente sotto gli occhi di un grande pubblico.
Francesco Piccolo sottolinea la bellezza di un momento, commentando il film. Prima che il papa pronunci il suo primo e ultimo discorso, dinanzi alla folla di piazza San Pietro, si rivolge al suo portavoce che tenta di riportarlo ai suoi doveri: “Non si può fare che io scompaio? Sparisco? Tutto questo non è mai accaduto. Nessuno mi ha mai visto, nessuno mi vedrà più, ve lo prometto. Lasciatemi andare via, vi prego!”. Un discorso che ancora oggi fa effetto, a distanza di dieci anni da quando il film è stato proiettato nelle sale di tutto il paese.
Le foto sono tratte dalla pagina FB del Bif&st