Con “Caro Michele” il Bif&st riflette sulla crisi del modello maschile

Il festival del cinema barese si apre con un omaggio a Mario Monicelli, maestro indiscusso di una delle stagioni più felici del cinema italiano del secolo scroso

E siamo al racconto del primo giorno di Bif&st, in questo scorcio di settembre, in cui Bari è gremita in ogni suo angolo. Si respira quell’aria tanto agognata di normalità, mentre tantissime persone si spostano verso i teatri del barese. Molti hanno prenotato il loro posto in platea e altri si sono riservati un posto in un palchetto e da lì assistono ai primi incontri, presentazioni, proiezioni, in questa dodicesima edizione del festival del cinema di Bari.

Molti hanno atteso con trepidazione il primo giorno, mentre sono in fila al Petruzzelli per godersi la visione di Caro Michele, film del 1976 di Mario Monicelli con una straordinaria Mariangela Melato. Nessuno si accalcaì ma attende il suo turno in fila, mostrando all’ingresso il posto prenotato e il green pass. Dopo di che, si entra e si viene condotti alla propria poltrona, da cui godersi lo spettacolo del cinema, a teatro. Mi siedo accanto ad un signore di Corato. Ha preso il treno alle sette e trenta per essere qui. Con la sua coppola in mano, siede composto tra i sedili. Non vede l’ora di assistere al film. Caro Michele l’ha visto tante di quelle volte, mi racconta, che neppure ricorda quante. Ma al cinema mai, da che ne ha memoria. Forse tanti anni fa, ma non ne è convinto. Si gode questa visione, come fosse la prima volta.

Mariangela Melato in una scena di “Caro Michele”

 “Sai –mi dice, sognante, guardando verso il palco vuoto- una volta l’ho visto. Monicelli, dico. Ero a Roma per lavoro. Avrò avuto quarant’anni e io sono del ’35. Quindi lui avrà avuto un sessant’anni, e aveva degli occhiali rotondi e un cappello bianco. Un anno dopo, all’incirca, uscì il film, che io ricordi”. Mi dice di non fidarsi dei riferimenti temporali. In fondo, è passato tanto tempo da allora, ma quel breve racconto, seguito da tante suggestioni, arricchisce la visione del film. Il bello di un festival del cinema è che unisce tante persone, diversissime tra di loro. Permette loro di parlare, pur non conoscendosi, di affidarsi l’una all’altra solo in virtù di quel profondo amore per lo schermo.

Caro Michele è una riflessione sul presente, sul passato, su quanto si perde nel corso del tempo. Una riflessione sulla vita che passa e, come direbbe Leopardi “quasi orma non lascia”. Di come sia tragica l’interruzione di un evento che si ripete perché cause superiori e imperscrutabili si frappongono, e mettono fine all’abitudine. Come la morte del padre di Michele, che giunge inattesa, e triste preludio è che lui abbia saltato un appuntamento fisso che aveva con l’ex moglie, da anni, sempre nello stesso bar. E Michele è fratello, figlio, amico, perfino padre. Viene nominato, cercato, rintracciato ma di lui già si prevede che non arriverà, ma si è sempre immersi nell’attesa, tanto i personaggi quanto il pubblico.

Un altro momento di “Caro Michele”

Dov’è Michele e chi è davvero Michele? Nessuno lo sa, nessuno pare averlo mai totalmente conosciuto. Sembra che sia sempre sfuggito e di lui si posseggono solo delle lettere. Non risponde alle telefonate ma solo alle lettere, in questo misterioso scambio epistolare. Il meccanismo dell’attesa del protagonista è un meccanismo antico, teatrale e si confà al luogo in cui il film è proiettato, alle emozioni che circolano tra i palchi e le poltrone. E si adatta alla presentazione del libro, che si tiene poco più avanti al Teatro Margherita, dove si ospitano i due professori del barese, curatori della raccolta di saggi sul tema della mascolinità all’interno del cinema italiano: “Oltre l’inetto”.

Angela Bianca Saponari e Federico Zecca presentano la loro raccolta, che si colloca nei gender studies, quegli studi di genere così giovani nel panorama italiano. In questo libro si indaga il tema del tramonto della mascolinità, la crisi del maschio, che si sente scavalcato dalla donna, dalla femmina, sempre meglio inserita (nel corso nel Novecento), all’interno dell’universo maschile. Il maschio si sente privato di quello che prima gli apparteneva e non regge più il confronto con il modello di mascolinità promosso dalla società. È un latin lover che non conquista, un padre di famiglia che non riesce a mandare avanti la famiglia, un padre assente che non ottiene il rispetto del figlio.

La raccolta vuol studiare il fenomeno e rintracciarlo all’interno del cinema italiano. Analizza i film di Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e, così facendo, fa un ritratto della nuova Italia e di questo tentativo di superare la società patriarcale e la mascolinità aggressiva che la contraddistingue. Questi temi sono molto importanti nel Bif&st di quest’anno. Si rintracciano in tanti dei film proiettati e non è un caso che il festival si apra e si chiuda con due film che raccontano la parabola maschile. Queste realtà popolate da donne che si fanno da sé, lavoratrici, imprenditrici, che leggono e capiscono la società assai meglio degli uomini. Figure maschili quasi del tutto inesistenti, che scompaiono dietro alle donne o che cedono loro il passo, alla ricerca di una ritrovata fragilità, una debolezza che non viene mai raccontata, per lasciare spazio a questa mascolinità aggressiva.

Il libro vuol offrire una chiave di lettura al presente, in quanto punto di arrivo di un’evoluzione che avviene dall’inizio del cinema italiano”, come giustamente sottolinea il professor Zecca. E promuove nuovi modelli della mascolinità, come quelli di Valerio Mastandrea e Alessandro Borghi: “I due si fanno specchio di due tipologie nuove della mascolinità. Il primo di una comica, insicura, fondamentalmente immatura, mentre il secondo riesce a toccare vari modelli con la sua natura camaleontica, non modelli ideali ma reali. Come quello dell’abitante della borgata romana, il maschio passionale e carnale, ma anche uno smilzo Stefano Cucchi, ai margini, un personaggio che marca l’Italia, con cui l’Italia ha modo di identificarsi”, conclude la professoressa Saponari.

Nella foto in alto, un’immagine del film “Caro Michele”