Speranza è certamente tra le personalità più autorevoli a cui Bitonto, nel corso del Novecento, ha dato i natali. È anche vero che incarna una figura speciale, cui la cittadinanza stessa deve essere grata, soprattutto per il patrimonio di opere che le ha consegnato in eredità, molte delle quali rappresentano proprio la città. Sono molti, infatti, i dipinti che raccontano spazi e luoghi cittadini, raffigurati con grande maestria mediante una scelta accurata degli ambiti illustrati e delle inquadrature, ovvero dei quadri prospettici individuati per le composizioni e, non ultimo, anche delle palette dei colori.
Porzioni di città, piazze, strade, chiese e scorci vengono inquadrati in modo totalizzante, ravvivati non di rado da figure umane: donne intente a conversare, bambini che giocano, uomini al lavoro. Luoghi avvolti da un’aura metafisica di un passato oramai andato, che testimoniano, in alcuni casi, i cambiamenti considerevoli lì sopravvenuti. Memorabili visioni obbedienti ad una poetica personale, riflesso di un’indole semplice ed umile, capace però di sprigionare una straordinaria forza evocativa.
Tra gli ambiti dipinti, particolarmente prediletto da Speranza è certamente quello naturalistico della Lama Balice, intorno al quale l’artista costruisce alcune opere estremamente interessanti. Tutto ciò reso possibile soprattutto dal vuoto sulla Lama che, ancora oggi, permette una vista privilegiata ed unica sul fronte della città vecchia, oramai non più consentita da nessuna altra parte; così come lo è stata, ad esempio, un tempo quando l’Abate Pacichelli ha potuto illustrare, in una sua celebre veduta, la città dall’ingresso principale.
Tra le opere di Speranza che riprendono la città dalla Lama vi è “Paesaggio Italico” dipinto del 1932, che ha inaugurato una stagione nuova nella sua produzione artistica perché con molta probabilità rappresenta il suo primo paesaggio. Un’opera che è servita al pittore come precedente per un altro suo importante capolavoro, “Panorama del mio paese” , dipinto del 1939 di proprietà del comune di Bitonto, esposto in maniera permanente nella sala di Palazzo Gentile destinata al primo cittadino.
Rispetto al precedente questo ne ripete la scansione verticale, ma allarga notevolmente il campo visivo per la narrazione. La scelta del punto di vista, per la costruzione del quadro prospettico, si rivela ancor più determinante, tanto da divenire ideale per la composizione messa in atto nell’opera. Qui emerge tutta la straordinaria capacità di Speranza di cogliere l’essenza della città e riportarla con estrema chiarezza ed efficacia su tela, dando, con scrupoloso dettaglio, il giusto risalto ai suoi elementi rappresentativi.
Il paesaggio urbano bitontino viene così raccontato con grande sintesi: il vuoto sulla Lama, la cortina della cinta, il tessuto. E poi gli oggetti più emblematici: i tre campanili. Il magnetismo del dipinto scaturisce proprio dal rapporto tra i campanili e la composizione è tutta mirata ad esaltare le differenze che intercorrono tra di loro, nell’importanza e nella consistenza. La città appare come sospesa. I tre campanili si stagliano contro il cielo ed emergono, come unici elementi, dal compatto tessuto del nucleo più antico, contenuto dalla cortina edilizia continua di Via Castelfidardo, con il vuoto della Lama Balice sotto.
Il campanile della Cattedrale segna il cento del dipinto, il punctum. Quasi equidistanti da questo, gli altri due: quello più basso ed esile della Chiesa di San Domenico e quello più alto e robusto della Chiesa di San Francesco. Una miriade di piccole case e tetti, rappresentati ad una scala più minuta, che ben delinea la frammentazione del primitivo tessuto urbano, affiora dalla cinta urbana. Quest’ultima costituita da un insieme di edifici accostati che assecondano l’andamento ricurvo della lama in un susseguirsi di palazzi, ritmati da bucature su facciate dall’impaginato rigoroso, con superfici colorate di bianco, di giallo, di ocra e di arancio.
Nella continuità di questa cortina edilizia risalta l’interruzione segnata dalla verticalità del biancore degli elementi ai lati della porta urbana del Carmine, resa appena visibile, per effetto della prospettiva, dall’adiacente torre. Sotto, l’ambiente naturalistico della Lama Balice si rilegge mediante l’ordito degli orti e la trama puntuale dei covoni nei campi. Infine, l’orlatura di tegole raffigurata in basso svela chiaramente il punto reale da cui Speranza ha costruito l’immagine prospettica del dipinto.
Le tegole appartengono, quasi certamente, alla copertura del muro dell’ala di pertinenza del Villino Castellucci, di lato all’Istituto Maria Cristina di Savoia. Attraverso la sequenza delle tegole, infatti, si percepisce l’impostazione del quadro prospettico che governa la composizione dell’opera. L’unica tegola rappresentata per diritto, posta sulla destra, a circa un terzo della larghezza del dipinto, segna l’asse della prospettiva, che guarda nello specifico in un punto, posto tra il campanile della Chiesa di San Michele, più in basso rispetto a quello di San Domenico, e la parte più alta dell’edificio delle Vergini.
Una serie di minutissime figure umane, rispetto alla scala urbana, come filigrana rivitalizza il dipinto. Nulla è lasciato al caso. Anche queste forme risultano disposte secondo una logica compositiva: alcune in una cadenza ritmica sembrano assecondare le bucature dei palazzi di Via Castelfidardo, altre fanno da contrappunto ai covoni negli orti, infine una concentrazione di carri anima l’ingresso alla città dalla Porta del Carmine. Tutto il dipinto sembra pervaso, a livello cromatico, da un tono terroso che, in modo preponderante, fino ad impastare persino la luminosità del cielo, viene disteso con mano leggera in maniera omogenea sulla tela ad amalgamare tra loro tutti gli elementi che costituiscono la narrazione: il paesaggio, i campi, i muri di recinzione, le facciate, i tetti e i campanili.
Il cromatismo che si sostanzia in materia. Una scelta di fondo che lascia trasparire il profondo radicamento del pittore alla sua terra, operata su un valore estetico mirante all’astrazione e alla volontà di idealizzare il paesaggio reale. Non a caso, di questa tendenza di Francesco Speranza a idealizzare il paesaggio, suscitando suggestioni nella memoria, con visioni liriche e idilliache allo stesso tempo, molti hanno già scritto. Un aspetto fondamentale questo, che come un filo rosso segna quasi tutta la produzione artistica del pittore, ben evidenziato nel prezioso catalogo dell’importante mostra realizzata anni fa in occasione del centenario della nascita del pittore.
Si tratta di un testo che raccoglie molte delle sue opere; non tutte, ma a sufficienza per permettere comunque di cogliere la visione personale che Speranza aveva del paesaggio nelle sue varie declinazioni: urbano, marino, rurale e persino umano. Se da un lato si può ascrivere l’opera dell’artista nel pieno solco della tradizione dei vedutisti, dall’altro essa manifesta la sua capacità di concretizzare il paesaggio reale attraverso una visione idealizzata, in cui il contesto fisico viene tradotto in un testo figurativo e cromatico metafisico che fa dell’artista un pittore sui generis.
Con le sue magistrali composizioni Speranza non perde mai occasione di mostrare l’importanza del punto ideale di ripresa dell’opera, incentrata costantemente da una “visione sempre frontale”, come egli stesso afferma. La scelta delle inquadrature, sempre ben impostate e meditate, sembra oggi quasi suggerire l’approccio giusto per riprendere fotograficamente la città. Occorre ricordare, a tal proposito, che un altro artista bitontino, l’amico Franco Sannicandro, recentemente scomparso, aveva in mente di realizzare, con l’utilizzo della fotografia, un progetto sui luoghi dipinti da Speranza, mettendo a confronto la realtà odierna con quella raffigurata dal pittore. Davvero un gran peccato che non sia mai partito.
La lezione di Speranza su come vedere e rappresentare la città purtroppo non sembra sia stata recepita, a giudicare dagli interventi previsti sulla Lama Balice, che non puntano ad alcuna riqualificazione dell’area da cui Speranza ha riprodotto “Panorama del mio paese”. Non abbiamo più Speranza, insomma!