“Trenino del mio paese” render pittorico di Francesco Speranza

Il dipinto del maestro bitontino non è solo un capolavoro ma anche un prezioso documento della conformazione dell'antica stazione della città degli ulivi

Nel nostro immaginario il termine trenino evoca l’infanzia. Richiama alla mente il giocattolo o i modellini che riproducono in scala ridotta la ferrovia: le locomotive, i vagoni, i carri merci, ma anche le più evolute versioni di quelli elettrici, con i meccanismi per il movimento su rotaia, siano essi di legno o di latta, per plastici o diorama. Insomma, un insieme che comprende tutto quel mondo con cui da piccoli, in un modo o nell’altro, un po’ tutti abbiamo avuto inevitabilmente a che fare. A questo fa pensare Trenino del mio paese, dipinto di Francesco Speranza del 1954, di proprietà della Provincia di Bari, che ha la forza di rievocare questo scenario fanciullesco.

Con questo lavoro, il maestro bitontino mette in campo tutta la sua capacità di trasportare emotivamente lo spettatore, riuscendo a riportare la memoria indietro nel tempo, a ricordi legati all’infanzia.

A guardare fissamente il dipinto, infatti, ci si sente come coinvolti, rapiti dalla scena e proiettati nella dimensione dell’opera, a tal punto da divenirne protagonisti, finendo per assumere idealmente i panni del partente raffigurato nel quadro. L’uso del diminutivo nella titolazione, poi, anche se riferito alle ridotte dimensioni del convoglio che attraversa questa piccola stazione paesana, sembra proprio alludere al giocattolo e vuole evidentemente condurci in un viaggio nel tempo, in una sorta di paese dei balocchi.

Persino le figure rappresentate ai lati del mezzo di trasporto, nelle loro proporzioni appaiono più pronunciate rispetto a quelle del treno, quasi a sminuire così il vero rapporto del veicolo ferroviario, dando enfasi, al contempo, al carattere giocoso dell’opera.

Tutte le figure non sono disposte in maniera casuale, ma sono collocate, come sempre, con un senso geometrico che è tipico dell’autore e sembrano disegnare segmenti di rette immaginarie che sottendono il fermento vitale di questo luogo. I tre bambini che si rincorrono, ad esempio, disposti ad intervalli stretti, ne definiscono uno. Le altre due coppie di persone sulle banchine, quelle che salutano i partenti e le altre che si allontanano con le valigie assieme al capostazione, con una scansione diversa e più ampia, ne individuano un altro.

Il dipinto è pervaso da una radiosità, una solarità unica, che traspare tutta dalla palette dei colori utilizzati. Speranza, per di più, con qualche dettaglio riesce addirittura a fissare il particolare momento della giornata. È mezzogiorno e il sole è alto, a sud; ce lo rivela l’ombra del palo, che segna come una meridiana l’ora esatta in cui viene fotografata, immaginata e poi riprodotta su tela l’ambientazione. La luce è intensa, come solo quella del Sud sa essere, e lo si avverte nel riverbero della scala cromatica: col giallo, l’ocra, l’arancio, il rosso, il rosa e il porpora.

Questa risonanza coloristica risalta rispetto al biancore del costruito, delle abitazioni e dei muri di recinzione delle stesse, che circondano la stazione, ed emerge attraverso le fabbriche dell’impianto ferroviario: da una parte il corpo, più alto, dei viaggiatori, dall’altra quello, più basso, dei servizi igienici, entrambi a destra, contrapposti all’edificio merci a sinistra.

Queste costruzioni sono perfettamente inquadrate nella composizione dell’opera, quasi equidistanti dal centro, segnato dalla torre-serbatoio. Quelle a destre sono trattate con varie sfumature di rosso, rosa, porpora e macchie di giallo, per meglio riprodurre i rapporti chiaroscurali delle ombre, toni che poi sembrano prolungarsi sul piano dei terreni attigui. L’altra a sinistra, invece, è di un giallo intenso, ricoperto di arancio.

Anche il suolo, a seconda della consistenza materica, è trattato diversamente dal punto di vista cromatico: di bianco è segnata la massicciata della fascia dei binari, di color ocra il battuto ai lati, di giallo la parte più polverosa a margine, corrispondente alla zona del magazzino merci; mentre di grigio la banchina pavimentata, il “parterre” degli edifici di pertinenza della stazione, con il fabbricato viaggiatori e il corpo dei servizi igienici, il cui paravento metallico è raffigurato con dovizia di dettaglio.

Infine su tutto campeggia il blu del cielo, che occupa quasi la metà della struttura del quadro, definito da una linea immaginaria, un orizzonte che si materializza attraverso il profilo degli ulivi e delle case, dal quale svetta l’elemento della torre: la cisterna utilizzata per caricare l’acqua nel serbatoio delle locomotive a vapore.

La stazione risulta inserita in un contesto pressoché rurale a giudicare dalle pochissime case che, oltre il muro di recinzione, la circondano e dalla massa arborea degli ulivi che si dispiega oltre i termini da cui fuoriesce il binario. Sulla campagna spiccano in lontananza degli edifici alti: un insieme composto dalla scuola Fornelli, dal cinema Odeon e dagli opifici che, una volta, sorgevano al posto dei fabbricati con i portici su Via Repubblica.

Trenino del mio paese Speranza
L’impianto della vecchia stazione in una foto di fine 1950 inizio 1960 (per gentile concessione della ditta “Leccese Impianti”)

Oltre il valore artistico, a quest’opera non si può non attribuire una rilevanza storica, per il modo dettagliato con cui l’autore documenta quella che era la conformazione della stazione di un tempo. Un luogo che ora non c’è più, che si trovava nell’area su cui oggi sorge la scuola media Carmine Sylos – non a fondale della strada, ma lateralmente ad essa -, talmente minuziosamente rappresentato che potremmo quasi equiparare l’artista Speranza all’architetto ideatore dell’impianto ferroviario. Tutto è infatti illustrato con grande efficacia tramite una prospettiva a volo d’uccello, assimilabile a un vero e proprio “render pittorico”, che ancora oggi ci fa percepire, come un déjà vu, la presenza di quel trenino.

Una sensazione, del resto, che abbiamo grazie anche a qualche cartolina, in cui si vede la locomotiva a vapore, la St. Leonard fabbricata a Liegi, in Belgio, nota a tutti come “la ciuf ciuf” che giunge da Terlizzi, su per l’attuale via Ammiraglio Vacca, raccordandosi con il tratto curvo di via Vasari, passando tra i fronti stretti costruiti prima dell’arrivo nella stazione.

Trenino del mio paese Speranza
La “ciuf ciuf” che giungeva da via Vasari

Erano 7 le locomotive di questa tipologia che costituivano il parco iniziale della tranvia Bari – Barletta, la società che gestiva la linea in cui era inserita la fermata di Bitonto. Successivamente integrato con l’aggiunta di altre due della medesima azienda e sempre di nuova fabbricazione, e dopo ancora con altre due, uguali, ma usate. Ampliato, infine, con altre due: una di provenienza britannica e l’altra tedesca.

Con la dismissione e il successivo spostamento della nuova ferrovia – inaugurata nel 1963 – posta alla fine di “Via Stazione”, intitolata poi a Giacomo Matteotti, l’impianto assume la veste di fondale alla strada, acquisendo così anche un significato urbanistico più consono.

Trenino del mio paese Speranza
Il “trenino” che passa su via Stazione (via Giacomo Matteotti)

Quel luogo di Speranza ha lasciato spazio all’edificio scolastico e come per uno strano caso del destino, una fatale coincidenza, quei ragazzi raffigurati dall’artista, che si rincorrono con aria di leggiadria e allegra spensieratezza, continuano a rivivere tramite gli alunni della scuola, in un contesto diverso, ma sullo stesso suolo.

Nella foto in alto, “Trenino del mio paese”, dipinto di Francesco Speranza di proprietà della Provncia di Bari