Accadde un po’ tutto sull’isola alla foce dell’Orinoco su cui Robinson Crusoe fece naufragio: scoprì nuovi orizzonti, conobbe facce diverse di se stesso, sfiorò la follia nella solitudine e se ne salvò rischiando la vita per salvarne un’altra, quella del fedele Venerdì. In fondo, è ciò che accade a questa Italia che riapre alla socialità e agli incontri en plein air. Dopo tanto streaming, dopo infinite presentazioni online, dopo martellanti dirette Facebook e Instagram, le nostre comunità tornano a rivendicare nei cinema, nei teatri, nelle gallerie, nelle piazze – luoghi fisici e concreti – il diritto ad ascoltare, vedere, ridere e applaudire guardandosi negli occhi.
A lungo rinviati, i festival ridiventano luoghi di appuntamento per le tipologie più disparate di ospiti: gli immancabili, gli entusiasti e i nauseati, che riprendono a darsi appuntamento in luoghi fisici, concreti, nei quali la cultura non potrà più essere derubricata a mero intrattenimento bensì dovrà ridiventare un’occasione feconda per raccontarsi e confrontarsi.
A Trani, trasformatasi in una “città invisibile” di calviniana memoria, al pari di tanti altri centri a forte vocazione multiculturale, tornano i Dialoghi, festival tra i più dinamici della Puglia, che quest’anno compiono vent’anni. Risale, infatti, al 27 settembre 2002 l’inaugurazione, presso il Castello Svevo, della kermesse che accoglie autori, editori, libri, scuole e lettori. “Sostenibilità” è il nucleo tematico a partire dal quale si snoderanno gli eventi in programma dal 16 al 19 settembre.
Una scelta quanto mai azzeccata, pienamente in sintonia con i 17 Obiettivi (Sustainable Developement Goals, SDGs) dell’Agenda 2030 dell’Onu, la cui ambizione è condurre l’umanità ad una transizione sostenibile, a partire da tre ingredienti fondamentali: tecnologia, governance e cambiamento di mentalità. Tra gli ospiti previsti, a settembre, in occasione del forum Disuguaglianze e Diversità, Enrico Giovannini, ministro dei Trasporti nonché fondatore dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis), e l’economista Fabrizio Barca.
In attesa, dunque, dell’avvio della rassegna, il festival, organizzato dall’associazione culturale La Maria del Porto e promosso dalla Regione Puglia insieme al Comune di Trani, ha proposto una lectio magistralis di Massimo Cacciari, docente emerito di filosofia presso l’Università San Raffaele di Milano, sul rapporto tra la natura (physis) e la giustizia (dike). Ad accogliere l’ex sindaco di Venezia nell’atrio di Palazzo Quercia, alla presenza di un folto pubblico, la direttrice dei Dialoghi, Rosanna Gaeta, che ha illustrato le ragioni di “un festival realizzato nel segno della responsabilità e della sostenibilità”, il cui tratto distintivo sono “contenuti che rispondono a una logica diversa, poiché spaziano dall’ambiente alla transizione energetica, dal diritto alla salute alle disuguaglianze, dalla green economy all’istruzione di qualità, dall’innovazione all’accesso alla giustizia e al lavoro dignitoso”.
“Nella lingua greca, ancor più marcatamente che in quella latina, emergono i diversi significati di nomos e physis. Il primo termine indica una legge ‘im’posta da un’autorità che detiene il potere, vincolante per la comunità, che cerca di garantire una convivenza pacifica sulla base di un comune accordo, il diritto positivo. Altra valenza racchiude il termine dike che esprime la giustizia, laddove invece la iustitia latina, dalla stessa radice di ius, conferisce il senso di posizione di norme che decretano la volontà di uomini verso altri simili”. Questo l’esordio “scoppiettante” di Cacciari, che propone un inquadramento generale di termini divenuti ormai logori nel discorso comune.
“Naturalmente chi esercita il potere compirà ogni sforzo necessario affinché esso rimanga stabile nel tempo, possibilmente eterno. Per far valere la propria legge, chi governa dovrà giustificare la sua auctoritas, rapportandola ad un’idea di giustizia che sappia rendere ragione di sé; il suo nomos è il testo visibile della giustizia, sicché l’obbedienza alle leggi significa insieme rispetto di Dike e la violazione, atto sacrilego contro l’ordine divino del mondo”, spiega.
Poiché il termine nomos racchiude in sé una dinamica duplice di presa e conservazione del potere e la sua equa distribuzione tra le parti di un tutto politico, “la legge del sovrano è immagine di Dike, sua giusta traccia; la sua violenza si impone sui nomoi dei mortali, ponendo in eterna tensione l’ordine positivo del diritto terreno con quello cosmico di Dike, non scritto o inscritto nello stesso ritmo del cosmo”. Il pensiero di Cacciari.
Quale fonte mai delle leggi è, però, questa giustizia addirittura sovra-divina? Dove rintracciarla e come definirla? “Solo in quanto figlia, Dike sembra poter assumere un volto, determinarsi ed esprimersi. È Themis, la seconda sposa di Zeus, a generare Dike e a concederle autonomia. Themis è Ordine-ordinante della Madre Terra; la legge del sommo re Zeus è chiamata a collegare quell’Ordine a disposizioni e decreti capaci di regolare la vita dei mortali, altrimenti la sua sovranità, mal fondata, vacilla”, spiega Cacciari. Diversa è la radice di Dike che “mostra, dice, giudica (iu-dex), sentenzia, esprime Themis e in-dica il possibile giusto cammino ai mortali. Themis-Dike è simbolo di una suprema auctoritas costituente, e come tale non a sua volta costituita”, precisa.
Passando al secondo termine polisemico physis, “nel suo timbro originario c’è traccia del participio futuro di natura e cioè l’idea di nascere, germogliare, crescere; nessun riferimento a un esteso insieme di oggetti inanimati in rapporto tra loro, bensì un’energia che genera incessantemente molteplici fenomeni e che eccede sia l’idea di natura naturata che quella di natura naturans”, afferma il filosofo, che aggiunge: “una legge, dunque, è giusta a patto che non entri in contraddizione con la natura”. L’idea deterministica di Natura quale si è andata imponendo a partire dalla rivoluzione scientifica del Seicento si fonda, altresì, sul presupposto che la natura sia governata da “leggi meccaniche, inattaccabili dal tempo, la cui validità rispecchia una concezione probabilistica e, dunque, una rigorosa capacità calcolatoria”.
La giustizia, dal canto suo, è un’idea che ha ben poco di “naturale” poiché evolve al mutare delle consuetudini, dei costumi, delle forme politiche, delle leggi stesse, laddove invece la natura parrebbe appunto svilupparsi secondo processi meccanici e calcolabili in termini geometrico-matematici. Dato il suo statuto “trascendente” di qualcosa che rimanda ad altro da sé, può la legge fare a meno di quelle consuetudini e costumi per loro natura mutevoli e cangianti? La rottura è in agguato a ogni passo. L’ordine può sussistere fino a quando Dike sarà “medio armonico” tra l’invisibile Themis e la legge del Sovrano. Il compito specifico di Dike consiste in tale mediazione. Ma se “chi giudica in base alla legge non sa mostrare di operare al servizio di Dike, il suo dire – ‘iu’dex – apparirà illegittimo e finirà col produrre giudizi iniqui e opere malvage. Un nomos disarmonico nega sé stesso: non riconoscendo alcun principio – archè- si rivelerà intrinsecamente anarchico”.
E, tuttavia, la relazione tra nomos e physis è tutt’altro che facilmente armonizzabile. Soltanto un diritto naturale, concepito a immagine di physis, potrà valere e durare nella città dei mortali. “È legge di natura che il più forte decida. La scena del tremendo dialogo degli ambasciatori ateniesi con i Melii assediati, di cui Tucidide ci ha reso testimoni nelle sue Storie, suggerisce che non gli dèi del mythos ma physis vuole e, ovunque, insegna che il più debole obbedisca e il più forte abbia l’archè; riconoscerlo è obbedire alla stessa physis, e dunque essere saggi”, sottolinea Cacciari.
Il nomos del più forte è convenzione e artificio come tutti i nomoi umani, relativi al tempo, prodotti e divorati dal tempo. “Contro la prospettiva, fatta propria dalla tragedia e dalla Sofistica, di isolare il nomos, relativizzandolo a opinione e convenzione degli uomini, il paradigma della Kallipolis nella Repubblica di Platone poggia, in tutta la sua drammatica apertura, sul tentativo di coniugare i due ambiti di Dike e Nomos grazie alla ‘buona natura’ di coloro che si prefiggono di fondare una costituzione bene armonizzata. Soltanto i filosofi legislatori ne saranno i custodi, poiché la loro anima è educata alla visione del Bene, l’Agathos”, enfatizza il professore.
Ogni forma di convenzione, patto o accordo, tuttavia, è di per sé artificiale: non qualcosa di spontaneo e immediato che nasca insieme con l’uomo, ma un negoziato, un ‘convenire’, un trovarsi d’intesa, sempre violabile e revocabile. Ma allora la giustizia, facendosi umana e terrena ‘esperienza’, si risolve nella pretesa di tutelare una o più categorie di interessi o realizzare uno o più ideali? Questo e altro è al centro del volume Elogio del diritto (La Nave di Teseo, 2019, pp. 158) scritto a quattro mani dallo stesso Cacciari e Natalino Irti, docente emerito di diritto civile presso l’Università Sapienza di Roma e accademico dei Lincei. Un ottimo punto di partenza per capire come questa fabbricazione in massa di leggi, che costituzioni e codici provano a restringere in misura ragionata, si è fatta ormai ossessiva e quotidiana.
“Siamo all’occasionalismo più sfrenato e convulso; la lex decade a disposizione tecnica, utilizzabile per singoli casi, e priva ormai di sguardo prospettico. La legalità diventa relativa, dura tanto quanto le scelte volontarie degli individui”, spiega Cacciari. Un “nuovo Evo” si inaugura, quello in cui la questione circa il valore del nomos “si configurerà in modo affatto diverso, non per trovare soluzione, ma, all’opposto, per manifestare ancora più radicalmente la propria natura aporetica”, conclude il filosofo.
Aristotele riteneva che l’ordinamento dei nomoi avesse come fine la felicità (eu-daimonia) dei cittadini della polis e stigmatizzava l’idea platonica di una giustizia matematica, astratta e impersonale, il cui esito inevitabile sarebbe stata la costruzione di un Nous divino che avrebbe annullato ogni intrinseca necessità nel rapporto tra consuetudine, ethos e legge. Se il diritto si limita a rincorrere la mera legalità legittimandola, esso perderà le ultime parvenze rimaste di “naturalità” e apparirà sempre più come il mero prodotto di una tecnica artificiale e potere che soggiace, occasionalmente, al dominio di singole volontà.
È lo stesso Aristotele, nella Politica, a ricordarci che lo Stato è “un insieme di persone che decidono di associarsi al fine di perseguire un bene comune. Per farlo hanno bisogno di darsi delle regole che disciplinano il vivere all’interno della comunità, la religione, il diritto, l’etica non preoccupandosi solo delle modalità con cui ricoprire incarichi pubblici. In che modo chi guida una comunità riuscirà a preservare democraticamente le libertà individuali è un tema su cui saremo costretti a ragionare nel prossimo futuro”, ha concluso Francesca Zitoli, assessora alle culture del comune di Trani.
Le foto sono tratte dalla pagina Fb de “I Dialoghi di Trani”