Aprite le finestre al nuovo sole, è primavera, è primavera! Un ritornello, di cui spesso ignoriamo l’origine, che canticchiamo in allegria all’arrivo di una stagione così mite e feconda, foriera di rinascita e buon umore. Perché la primavera non è un momento fugace, che funge da collante tra due periodi dell’anno palesemente dissimili, come l’inverno e l’estate, ma potrebbe definirsi un vero e proprio stato d’animo.
Parimenti all’incedere aggraziato di una fanciulla dalle sinuose rotondità, con il suo tocco leggiadro la primavera inebria di profumi e colori le bellezze del creato, che pian piano si risvegliano dal sopore dell’inverno. Lenta e indisturbata agisce la natura sulle foglie verdeggianti, irrorate da timide gocce di rugiada, e sui rami spogli che tornano a ringiovanirsi con silenziose gemme pronte a trasformarsi in meravigliosi fiori.
Se è vero che la stagione intermedia ci avvolge in un’aura di magia ed incanto, è altrettanto fondamentale il lavoro di chi, con le sue opere, sa cogliere le peculiarità descrivendone l’estasi. Vive su di sé una seconda primavera l’artista coratina Sara Rutigliano, che ha riscoperto la passione per la pittura dopo la dolorosa scomparsa del coniuge due anni fa. Forte dell’amore dei suoi figli e dell’importante sostegno ricevuto dai suoi amici fidati, la raffinata artista ha voluto ricominciare, in nome di un fervore fanciullesco mai totalmente perduto. Muove i primi passi verso il disegno fin dalla seconda elementare, quando si dilettava ad abbozzare schizzi sulle letterine natalizie e pasquali delle sue quarantatrè compagne di classe o, addirittura, quando si cimentava a riprodurre il Duomo di Milano che aveva visto solo in cartolina.
Sogna in grande iscrivendosi all’istituto d’arte e mantenendo sempre viva l’ambizione di diventare un’insegnante. Ma, come la maggior parte delle volte accade, non tutti i desideri diventano realtà: Sara abbandona definitivamente il suo progetto poiché si sposa giovanissima e decide di dedicarsi alla famiglia.
Quello con la tavolozza si rivela un prezioso rapporto di collaborazione che dura da più di trent’anni, ricco di ricerche e sperimentazioni di gusti ornamentali mai conosciuti prima. Inizialmente utilizza le tecniche ad olio, acquerello, carboncino e matita, poi improvvisamente arriva la svolta: “cercavo qualcosa che mi contraddistinguesse, quindi ho pensato di rivisitare le caratteristiche dell’affresco su tela con un procedimento preparatorio tutto mio. Grazie a questo metodo, la tempera su tela, ho riscosso davvero tanto successo in Italia e all’estero”, spiega soddisfatta.
Tuttavia l’inarrestabile flusso creativo di Sara la porta ad acquisire dimestichezza anche con altri numerosi materiali e stili differenti, quali le crete policrome su cartoncino e carboncino, la tempera su tavola nonché la pittura su tessuto e su vetro. “Per me l’arte è la più alta rappresentazione dell’anima. Mi ispiro ai grandi artisti del passato, come Caravaggio, Botticelli, Raffaello e Giotto”, racconta. “Naturalmente mi sento una pulce rispetto a loro, talvolta mi sforzo di emularli”, scherza. E con l’entusiasmo di una ragazzina, Sara ci rivela di aver realizzato omaggi a Cimabue e a Simone Martini, dipingendo San Francesco e Santa Chiara. Quella suggestiva sacralità che domina sulle due tele si riverbera altresì sulle rappresentazioni paesaggistiche nonché sulle nature morte dove, su uno sfondo solo poeticamente vagheggiato, a rubare lo sguardo dell’osservatore vi sono ceste o coppe ricolme di frutta o di fiori, con un elegante drappo sottostante che accarezza il tavolo massiccio.
Margherite, tulipani, rose all’occorrenza bianche o rosse, piccoli composizioni floreali di piante murgiane riconducono ad un’idea di natura ancora non contaminata dalle barbarie del progresso e dalla feroce inciviltà dell’uomo, il quale distrugge senza pietà tutto ciò che generosamente gli è stato donato. Il concetto di fertilità torna successivamente più accentuato nelle sue opere tutte al femminile laddove aggraziate signorine si adagiano dolcemente su triclini o su comodi divanetti in vesti discinte. Il loro sguardo languido verso un orizzonte sospeso rimanda a quel candido pudore che ogni donna interiormente conserva. Mite e diafana la figure femminile è colta nella sua dimensione più intima, in un momento di riflessione o di composta vanità, con occhi ora malinconici ora sognanti: “non so perché mi piace dipingere la femminilità e metterne in risalto le caratteristiche”, si domanda. “Forse inconsciamente potrebbe essere la figlia femmina che non ho mai avuto, mi consolo però con le mie due splendide nuore”, sorride.
Quel tratto sopraffino che Sara cura da tempo immemore le ha consentito di ricevere recentemente il prestigioso Premio d’Arte Venezia, conferitole per la sua opera Bellezza Soave alla Pro Biennale, un appuntamento imperdibile ormai da anni che mira a dare notorietà ad artisti di tutto il mondo. L’intraprendente coratina potrà quindi esporre la sua tela, già dai prossimi giorni, nella fascinosa cornice della Serenissima, con l’intento di dar lustro non solo alle sue grandi abilità ma anche al suo paese natio.
Con calorosa dedizione, esprime dunque gratitudine per i numerosi consensi riscossi da amici e recensori, quali Luigi Di Cuonzo, Cataldo Leone, Antonio Oberti, Ermanno Corti, Salvatore Perdicaro, Vito Cracas, Gerard Argelier, Giovanni Romano, Salvo Nugnes, Franco Leone e molti altri ancora. E confidando in un futuro più roseo, dalle tonalità quasi primaverili, Sara si augura di contribuire sempre nella divulgazione della bellezza e di poter continuare a comunicare attraverso la sua arte.
Nell’immagine in alto, l’opera “Bellezza Soave” con cui Sara Rutigliano ha vinto il Premio d’Arte Venezia