Una laurea in marketing e una professione di grafico, che esercita ormai da diversi anni: questo il biglietto da visita di Francesco Lauciello, raffinato cultore e interprete di storia locale nonché acuto indagatore di tradizioni ruvesi. Due passioni agli antipodi, quelle per l’informatica e per un’antichità ancora tutta da scoprire, che Francesco, classe 1991, riesce a coniugare perfettamente in un fruttuoso sincretismo.
Gli piace ricordare un’infanzia trascorsa a metà tra i moderni palazzi del paese e le mura diroccate del nucleo antico che, a quei tempi, pulsava frenetico di vita e speranza, suscitando in lui quel fanciullesco desiderio di curiosità per segreti e racconti locali al limite tra il reale e il leggendario. Una passione che cresce e assume progressivamente contorni ben definiti anche grazie al perfezionamento di un metodo di ricerca improntato, sempre più, all’analisi e alla valorizzazione di un passato dimenticato. “I miei studi universitari, ascrivibili maggiormente al ramo del sapere economico, potrebbero sembrare distanti dai miei interessi umanistici ma così non è. Lo scopo primario di chi ama la storia locale deve essere la diffusione e la comunicazione dei suoi risultati investigativi. Penso che le nostre radici debbano essere un volano strategico per la promozione della nostra città”, aggiunge.
Il tentativo di far emergere aspetti inediti o spesso trascurati di un folklore che inorgoglisce, rendendo positivamente campanilisti, converge nel suo ultimo contributo ZT – Un pittore nella Ruvo del Cinquecento, sesto volume della collana Studi Rubastini curata da Cleto Bucci, autore dell’introduzione al saggio. Un’idea nata nei primi mesi del 2019 e concretizzatasi mediante un ambizioso progetto di ricerca documentale, nel corso del quale Francesco si è imbattuto in un contratto conservato nell’Archivio Capitolare di Modugno relativo alla città di Ruvo, la cui lettura ha costituito uno stimolo ad approfondire la personalità di questo artista sconosciuto.
La pubblicazione, avvenuta al termine del 2020, rappresenta il prodotto più alto di un lavoro che intende illuminare e chiarire la polverosa questione relativa al nome del pittore, noto solo attraverso l’enigmatico monogramma ZT e firmatario delle più belle pagine della storia dell’arte cinquecentesca pugliese. Il fine precipuo del libro, come lo stesso Lauciello sottolinea, “è accendere un faro su Ruvo”, un’operazione divenuta possibile per mezzo di un cammino a ritroso fondato sul recupero di testimonianze scritte o figurative, veri punti di forza della città con cui il giovane ruvese restituisce al suo paese la splendida fama che vantava nelle epoche precedenti. Districandosi abilmente tra una miriade di informazioni, per ciascuna delle quali congettura ipotesi suggestive talora percorribili dopo il vaglio accurato delle fonti.
La perizia di un novello storico con la quale si dedica al racconto non è passata inosservata neppure al presidente, Rocco Lauciello, e ai membri della Pro Loco cittadina che auspicano una futura implementazione dei sistemi di ricerca per estendere il campo di indagine oltre i confini territoriali pugliesi, approdando ad una conoscenza perspicua di altre realtà limitrofe.
Ma chi è ZT? Cosa si cela dietro questo misterioso acronimo? Innanzitutto cominciamo col dire che gli esperti indicano un pittore, attivo in Puglia nella prima metà del XVI secolo, di cui mancano le generalità anagrafiche. A lui vengono associate circa venti opere, su tavola o su intonaco, dislocate nei centri di Alezio, Bari, Barletta, Corato, Gallipoli, Gravina, Ruvo, Spinazzola, Trani, Tricarico. ZT sono le lettere finali che appaiono sul primo rigo di un’iscrizione mutila, posta in basso al dipinto, risalente al 1500, della Madonna di Costantinopoli presso la cappella dell’ospedale di Spinazzola, cui è cronologicamente prossimo il trittico con la Madonna col Bambino, l’Annunciazione e santi della Cattedrale di Tricarico.
Il periodo di attività dell’ignoto maestro si colloca nel trentennio 1500-1539 che è necessario ripartire in due fasi: nella prima, il pittore si orienta verso l’ambiente napoletano mescolando elementi fiamminghi e catalani con quelli umbro-marchigiani importati da Francesco da Tolentino; nella seconda, si annoverano le icone più recenti della Matrice di Modugno, risalente al 1533, di San Giacomo a Barletta del 1536 e quella della Concattedrale di Ruvo di Puglia del 1539, fotografata in copertina, con le quali ZT diventa uno dei protagonisti del ritorno neobizantino pugliese, che ne condiziona pesantemente lo stile e il programma figurativo.
Proprio tra le carte miscellanee dell’Archivio Capitolare di Modugno, perfettamente conservate e inventariate dalla Soprintendenza Archivistica di Bari, Francesco ha ritrovato un contratto interamente in latino, datato 1540, relativo alla creazione di un’icona ovvero «maestà», dipinta per la città di Casamassima, che scioglierebbe le oscure iniziali ZT. Dalla lettura del documento si evince che doveva trattarsi di un polittico, composto da tavole di tiglio dipinte ed intervallate da colonne e cornici dorate incise, con l’immagine dei Santi Rocco e Sebastiano e quella della Pietà di Nostro Signore Gesù Cristo. La struttura dell’opera rimanda inequivocabilmente allo stile dell’anonimo pittore e riprende alcuni moduli espressivi già da lui sperimentati.
Quanto alla committenza, si potrebbe erroneamente considerare che il polittico sia stato richiesto dal clero casamassimese. Ma in realtà non è così: il 16 dicembre del 1532 il cardinale Geronimo Grimaldi siglò a Bitritto un atto giuridico con il quale si assicurava l’esecuzione dell’opera al costo di 25 scudi d’oro. Il contraente destinatario dell’accordo era il maestro Giorgio Teutonico, pittore laico residente a Ruvo ma con probabile origine nordica, come il cognome esplicita. Supponendo che quest’ultimo abbia una provenienza veneto-germanica, la Z è facilmente decodificabile. Non è raro infatti che in Veneto il nome Giorgio venga trasformato nella parlata quotidiana in ‘Zorzi’ o ‘Zorzo’, in virtù della variazione consonantica di ‘g’ in ‘z’ mutuata dal dialetto di quell’area.
Un rompicapo difficile a cui neanche la critica storiografica si è sottratta, legando indissolubilmente la personalità di ZT alle devastanti nefandezze della guerra tra francesi e spagnoli, che ha avuto il suo apice nell’assalto e nella distruzione della città di Ruvo. Tuttavia occorre precisare che l’avvento dei Carafa segna un punto di partenza importante per la genesi di un rinnovamento artistico volto ad assegnare al paese un posto di rilievo nella temperie culturale della nostra regione.
Dunque, un libro che profuma di novità ed è foriero altresì di una ventata di entusiasmo nei confronti di una materia straordinaria anche se a volte ostica, quale la storia dell’arte. A Francesco va il merito di averci donato una chiave d’accesso utile per la comprensione dei contenuti affrontati, resi fruibili attraverso uno stile di scrittura semplice e fluido. Uno sforzo poderoso quello del ruvese dedicato a sua moglie Teresa che sempre lo sostiene lungo le strade più impervie della vita. Ah, l’amore quanto bene è capace di «muovere il sole e le altre stelle»! E, sulla scia di questo sentire universale celebrato in tutti i modi dal padre della letteratura italiana, il più grande di tutti i tempi, si conclude il breve ragguaglio sulla parabola artistica di un pittore dalle generalità finora poco nitide.
Per quel che gli compete, Francesco nel suo piccolo continuerà ad occuparsi della storia cittadina, garantendo il suo apporto alla conoscenza della cultura locale con la pubblicazione di articoli sul suo sito web (www.ilsedente.it) e sul periodico “Il Rubastino” della Pro Loco di Ruvo di Puglia, nonché con tante idee in cantiere. Tradizione è infatti custodire il fuoco non adorare le ceneri.
Nella foto in alto, Madonna di Costantinopoli, opera di ZT custodita presso il Museo diocesano di Bari