Perchè Sanremo è Sanremo

Fuori il bel canto e le proposte più interessanti, la gara trasformata in talent e i voti surclassati dai followers. La rassegna resta, tuttavia, l'evento della canzone italiana

È stata un’edizione particolare, perché particolare il momento storico in cui si è svolta. Sanremo, da una decina di anni a questa parte (dopo l’era Baudo per intenderci), è diventata una macchina da soldi. Non che prima non lo fosse, ma almeno in quella “macchina” trovavano linfa vitali anche le canzoni, le case discografiche, le tournée e tutto l’annesso mondo dello spettacolo dal vivo. Il discorso è troppo lungo e meriterebbe un focus particolare, ma da quando la musica è diventata prettamente consumo da “piattaforma”, si sono spostati gli equilibri e verosimilmente anche quelli del festival.

L’assenza di pubblico ha condizionato il corso della kermesse, rendendo l’atmosfera sospesa, surreale. Ce ne siamo accorti tutti nel momento in cui si declamava la classifica finale. Sembra niente ma quei “buuu” di disapprovazione per una preferenza di un cantante che non raggiungeva la posizione giusta (a loro dire), rendeva il festival sincero, popolare, per la gente comune, appunto. D’altra parte assegnare al televoto il 33% del giudizio finale, mi sembra una follia legata ai tempi che stiamo attraversando.

I Maneskin, vincitori della 71ma edizione del festival di Sanremo

Passiamo alla musica, che alla fine c’è stata, così come c’è stata la forma canzone, qualche arrangiamento curato, qualche testo figlio di poesia. Il nuovo movimento “indie” che si pensava stravolgesse il festival, non è riuscito a farlo. Colapesce e Di Martino hanno portato a casa un premio, ma senza annusare il podio. Così come La Rappresentante di Lista, i Coma Cose, lontano dai primi posti.

Non hanno trovato terreno fertile neanche quei gruppi “particolari”, che sfruttavano l’impatto scenico legato alla satira “scanzonata”; lontani dalle prime posizioni sia Lo Stato Sociale che gli Extraliscio. Fuori portata anche gli “amici” di Maria De Filippi, che non trovano riscontro. Addirittura imbarazzante la presenza di Random, di cui davvero non si capisce la scelta da parte della direzione artistica, soprattutto leggendo il nome degli scartati per fargli posto.

Assente, mai come in questa edizione, anche il bel canto. L’intonazione ha fatto stragi  nella maggior parte delle esibizioni. C’è voluta un Orietta Berti a fare capire agli altri come si canta, soprattutto alle “nuove leve”, che non si sono salvate neanche con l’utilizzo dell’autotune.

Orietta Berti

C’erano delle canzoni belle, scritte bene, perché venute fuori da “penne” sicure, come Pacifico, Gazzè, ad esempio. Resta un mistero come una canzone così forte, come quella di Willie Peyote, non sia arrivata sul podio; il posto probabilmente gli è stato rubato da Michelin e Fedez, con una canzone terribile, ma con una Chiara Ferragni che ha incitato ventitré milioni di followers a votare il marito.

Passiamo alla forma spettacolo. A tratti ha avuto una collocazione di “programma televisivo” piuttosto che una gara. Amadeus e Fiorello sono una bella coppia, ma come tutte le cose belle, dopo un po’ stancano.

Le performance di Achille Lauro forse verranno capite dai posteri. Forse siamo noi a non saperlo “collocare”, perché io credo che cantare e fare musica sia l’ultimo dei suoi desideri. Sarà un “performer”? E quindi dove sarà collocato? Azzardare paragoni con Renato Zero o David Bowie credo sia un errore primordiale.

Una performance di Achille Lauro con Fiorello

Sanremo, da quando esiste, fa sempre scatenare il confronto generazionale, che quando diventa costruttivo è anche una bella occasione di riflessione sul cambiamento inevitabile della musica, con tutto ciò che ne consegue: scrittura, suoni, arrangiamenti e così via. Ma quando sale sul palco Ornella Vanoni e infila quattro brani consecutivi di Califano, Umberto Bindi, Luigi Tenco, immediatamente succede qualcosa nella pancia, arriva un pugno di emozione a soffocare la gola.

Credo, alla fine di tutto, che alcune canzoni siano immortali, che durino il tempo stesso che accompagna la vita. Delle ventisei in gara, credo che nessuna abbia questa bellissima velleità. Ma Sanremo è Sanremo e lo è stato anche quest’anno.