Giù le mani dal museo Jatta!

Tra le iniziative per impedire il trasferimento dei reperti a Bari, in attesa del restauro del palazzo che li ospita, l'idea di "un museo ad interim" dell'architetto Di Puppo

“Nessuna civiltà può pensare se stessa se non dispone di altre società che servano da termine di comparazione: un altrove nel tempo e nello spazio”. Così Salvatore Settis nel suo libro Il futuro del classico evidenzia la segreta e inarrestabile attrazione dell’uomo verso “le rovine del passato”, mosso com’è dal desiderio di rapportare la sua condizione esistenziale con le vestigia delle antiche civiltà o dei grandi imperi che, avvicendatisi nel corso dei secoli, hanno lasciato tracce indelebili nella formazione delle successive generazioni.

Non serve andare troppo lontano per ammirare le tracce di quel glorioso passato. La fama del nostro paese è legata, infatti, alla ricchezza di un patrimonio archeologico dal valore inestimabile. Significativi sono i reperti provenienti dalle necropoli disseminate nell’agro di Ruvo, che documentano la tendenza dei popoli antichi a seppellire insieme al defunto gli oggetti più cari che aveva utilizzato quando era in vita, simbolo di continuità tra la  contingenza terrena e l’aldilà. A confermare la fervida attività in campo edilizio e funerario, il rinvenimento, tra gli ultimi, del 25 marzo 2019: in un cantiere di costruzione tra via Alberto Mario e via Mameli, presso contrada La Zeta, laddove sorgeva in epoca neolitica un villaggio abitato, sono riemerse due tombe peucete, risalenti a 2400 anni fa, una delle quali con diverse ossa fuori e dentro il sarcofago. Una sepoltura tipica ruvese del IV secolo a.C., circondata da lastroni con scheletro rannicchiato (posizione fetale) dal sesso non identificabile, corredata di un cratere di mezza grandezza, una lucerna, un recipiente per olio ed altro piccolo vasellame. Nelle adiacenze della tomba sono state rinvenute altre ossa e piccoli oggetti di ceramica da far pensare alla sepoltura di un intero nucleo familiare.

Se, quindi, l’antico sopravvive attraverso opere d’arte e manufatti pur apparentemente insignificanti, l’archeologia diviene a Ruvo la disciplina dell’immortalità: cercando nel sottosuolo si aspetta ansiosamente che qualche frammento del passato ricompaia. Tuttavia parlare della città significa soprattutto tributare i giusti onori alla famiglia Jatta che, dai primi dell’800, ha mantenuto e consolidato una collezione di reperti appartenenti ad un arco cronologico che va dal VII al IV secolo a.C., fatti poi convergere secondo il gusto dell’epoca nello storico museo, acquistato dallo stato nel 1991 che ne ha inaugurato l’apertura nel 1993. 

Per le note vicende legate all’emergenza sanitaria in corso, il museo è oggi chiuso al pubblico per l’impossibilità di sanificare e mettere in sicurezza l’intero edificio. Sebbene si sia parlato più volte e a lungo di un progetto di riqualificazione del polo museale, i lavori di ristrutturazione non sono ancora iniziati e i tempi di attesa restano ancora da definire: stando al cronoprogramma il restauro durerà circa nove mesi, malgrado aleggi un fondato scetticismo sul rispetto della scadenza. Dinanzi ad una comunità che attende e spera in un epilogo dignitoso della vicenda, la querelle relativa al trasferimento di 25 vasi della collezione Jatta a Bari (probabilmente al Castello Svevo), forse per tutta la chiusura del gioiellino ruvese, non ha lasciato indifferenti i vertici della pubblica amministrazione nonché i professionisti e gli appassionati di storia. L’annosa questione inerente al prestito di un numero limitato di pezzi trova spazio già in un articolo di denuncia del lontano 1971, pubblicato ne Il Rubastino, anno III, fascicolo 5, dove – a corredo dello scritto – vi sono due belle vignette satiriche uscite dalla penna del prof. Domenico Scarongella, che traducono in immagini lo sdegno per la sottrazione di beni artistici ruvesi.

Vendite segrete o scippo consensuale? Un dubbio amletico a cui i più hanno cercato di rispondere ‘sfidandosi’ a suon di post su facebook, mediante i quali le testate giornalistiche del paese sono riuscite grossomodo a destreggiarsi in un dedalo di informazioni, vere o no, ma pur sempre da vagliare. Molti di loro, riuniti nel Comitato Giù le mani dal Museo Jatta, hanno lanciato una petizione su change.org diretta al ministro dei Beni Culturali e del Turismo Dario Franceschini, al sindaco Pasquale Chieco, all’assessora Filograno, al governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, e a Massimo Bray, assessore regionale all’Industria Culturale e Turistica. In una nota redatta dall’avv. Mariatiziana Rutigliani, consigliera comunale capogruppo di Forza Italia, si legge: “ci chiediamo perché l’amministrazione comunale di Ruvo di Puglia, così sensibile e propensa alla innovazione culturale non riesca, a puntare i piedi affinché la collezione resti a Ruvo, e, come più volte richiesto, che alcune delle opere più importanti restino fruibili alla cittadinanza e ai turisti. Davanti a questo rischio non si può restare inermi. Questo è un appello, un grido di sensibilizzazione a tutti coloro che hanno a cuore la nostra città, la nostra storia e il nostro nome nel mondo!”.

In linea con le dichiarazioni della Rutigliani, il coordinamento ruvese di Italia Viva manifesta le proprie perplessità sull’ipotesi di spostamento di una parte della collezione del museo sottolineando che l’esecuzione dei lavori, viste le lungaggini burocratiche e le lentezze già sperimentate per l’esecuzione di opere pubbliche, sarà senz’altro lenta e dirotterà l’attenzione del turismo culturale fuori dal territorio, con il rischio altamente prevedibile che i vasi non tornino più indietro. Allora “pensiamo che una strada possibile possa essere quella della ricerca di uno spazio espositivo alternativo temporaneo e iniziative di fundraising tra i privati e le aziende, tra gli industriali e i commercianti di Ruvo per una causa nobile di identità territoriale e di grande valore sociale, che porterebbe lustro alla città ma anche opportunità di sviluppo e lavoro per i nostri giovani che invece stanno sempre più lasciando il paese”.

Filtra invece un pacato ottimismo dalle parole del sindaco Pasquale Chieco che, tramite la sua pagina fb istituzionale, rassicura i cittadini in fermento: “Niente panico. Non c’è alcun rischio per la collezione, non c’è alcuna possibilità di impoverimento del museo. La direttrice Claudia Lucchese, a cui vanno la nostra stima e la nostra gratitudine, lo ha ripetuto moltissime volte e chiaramente; l’ultima volta ieri quando ha raccontato all’assessora Monica Filograno – che porta avanti con dedizione questo complesso processo in cui il Comune di Ruvo di Puglia non ha titolarità ma viene tenuto in conto dalla Direzione Regionale del Ministero – che il contratto con la ditta di trasporti che porterà a Bari i reperti del museo ora chiuso, prevede l’andata e il ritorno. Chi mette in giro notizie diverse da questa lo fa nel migliore dei casi per ingenuità e per poca conoscenza dei fatti, e nel peggiore dei casi per buttarla in caciara, per creare allarmismo, spargere confusione e tentare qualche desolante strumentalizzazione politica”.

Lungi da qualsiasi intento polemico, il suggerimento tecnico proveniente dall’architetto e dottore di ricerca Mario Di Puppo che in primo luogo si dice contento del restauro delle sale del museo, ricordando che il processo di richiesta per il finanziamento è cominciato con la dott.ssa Elena Silvana Saponaro ed è proseguito sotto la direzione della dott.ssa Claudia Lucchese; poi specifica che il progetto prevede – tra le tante cose – l’eliminazione di tutti i cavi e dei sistemi di illuminazione che impediscono la visione delle tempere sulle volte; le vetrine espositive ottocentesche saranno restaurate e dotate di un nuovo sistema di illuminazione e i divanetti torneranno allo splendore originario. Insomma, un lavoro importante che rilancerà nuovamente l’immagine del Museo Jatta che conserverà il suo fascino ottocentesco aggiornandolo ai dettami museali contemporanei.

Ma cosa accadrà alla collezione Jatta durante i lavori di catalogazione dei reperti, riscontro documentale, aggiornamento dell’inventario, restauro degli ambienti e delle vetrine? Vista l’importanza identitaria del patrimonio conservato, l’architetto Di Puppo propone la creazione di un “museo ad interim” a Ruvo. Le soluzioni sarebbero molteplici: la prima prevedrebbe l’esposizione di una parte dei reperti presso la Pinacoteca di Arte Contemporanea sfruttando le teche espositive presenti. Tale pista però non è percorribile in quanto la pinacoteca sarà oggetto di lavori di restauro e diventerà un grande cantiere edile; la seconda vorrebbe la collocazione di alcuni reperti presso una sala di Palazzo Caputi. Tuttavia questa idea non è esente da problemi di varia natura, poiché i reperti da esporre sarebbero pochi (c’è chi sostiene che sarà mostrato e analizzato solo il vaso di Talos) e sarebbero elevate le esigenze di sicurezza che – al momento – non sono presenti presso il Palazzo. Per far fronte a questo secondo quesito, è necessario investire risorse al fine di potenziare il sistema di sicurezza dell’ex dimora dei Caputi. Invece, sul primo punto non c’è molto da fare; il salone destinato all’esposizione dei reperti non è enorme. Siamo sicuri che il vaso di Talos, da solo, possa attirare l’attenzione dei turisti e dei visitatori che giungono a Ruvo di Puglia? Un quesito non immune da qualche perplessità.

La terza e la quarta possibilità porterebbero l’esposizione di alcuni reperti o presso gli ambienti del centro immigrati o a Palazzo Avitaya. Entrambi i piani risultano essere di difficile attuazione perché, nel primo caso, la sede presenta problemi di sicurezza non trascurabili e, nel secondo, l’edificio è oggetto di interventi strutturali: il piano terra, pur non essendo coinvolto nel progetto, è parte del cantiere. A queste, già prese in considerazione, se ne aggiunge una quinta che offrirebbe l’opportunità di ospitare una parte del patrimonio archeologico del Museo Jatta presso l’ex sede della banca, a sinistra della cattedrale, a piano terra del Palazzo Pirlo Rubini. Questi ambienti – che fino a qualche anno fa erano sede di un istituto bancario – potrebbero dare garanzie di sicurezza una volta ripristinati i sistemi di allarme. La grandezza dello spazio garantirebbe la possibilità di esporre un numero di vasi congruo per una mostra capace di attrarre visitatori. Inoltre, i reperti esposti potrebbero turnare ogni tre mesi secondo mostre tematiche dedicate: le donne nell’antica Grecia, i guerrieri, il simposio, le tecniche costruttive e via discorrendo, dando luogo ad un rinnovato interesse nel tempo.

Gli spazi della ex banca potrebbero ospitare una mostra di alcuni pezzi scelti della Collezione Caputi, dato che sarà difficile auspicare un ritorno totale dell’esposizione in pianta stabile a Ruvo, ma sarebbe bello se restasse qui per qualche tempo. Per dare esecutività a questa idea è necessario contattare i vertici della Banca Intesa San Paolo e trovare i finanziamenti necessari all’adeguamento impiantistico degli ambienti. Se così fosse, la città ne guadagnerebbe in termini culturali ed economici alla luce del fatto che la suddetta collezione, costituita da ceramiche attiche e magno greche risalenti al V-III secolo a.C. scoperte nei terreni ruvesi e iniziata dall’arcidiacono Giuseppe Caputi, attualmente è di proprietà di Banca Intesa ed è esposta a Palazzo Leoni Montanari, a Vicenza. E pensare che circa tre anni fa, proprio nelle Gallerie d’Italia a Palazzo Montanari, fu organizzata la mostra Le ambre della principessa. Storie e archeologia dall’antica terra di Puglia. Il nome dell’esposizione derivava dal corredo funerario, ricco di ambre e vasi, di una nobildonna peuceta, risalente al VI–IV secolo a.C. e trovato nei fondi Caputi nel 1876. I vasi sono parte integrante della collezione di proprietà della Banca, mentre le ambre e altri gioielli sono custoditi nel Museo Archeologico di Napoli. 

Ad oggi, possiamo solo limitarci a dire quasi con certezza che Palazzo Pirlo Rubini, luogo deputato alla raccolta di alcuni pezzi della Collezione Caputi, collocato in prossimità della cattedrale, sarebbe l’ideale per dare continuità fra due siti identitari della comunità. Anche questa eventualità, valutata di buon occhio dalla maggior parte dei cittadini, non è a buon mercato: sarebbero infatti necessarie risorse per il fitto mensile della struttura, l’adeguamento impiantistico e l’allestimento della mostra tematica da turnare nel tempo. In questo modo, tuttavia, la città non si priverebbe di uno dei principali attrattori culturali e turistici che la caratterizzano a livello nazionale ed internazionale. L’augurio è quello di trovare, in un futuro non così remoto, la figura di un ‘mecenate’ che abbia i requisiti e soprattutto la caparbietà di patrocinare questa iniziativa. Come si evolverà? Non ci resta che pazientare e lasciare ‘ai posteri’ l’ardua sentenza.

In alto, particolare del vaso di Talos. Nelle altre foto, reperti in mostra al Museo Jatta.