Novecento all’infinito

I ritratti iconici, i grandi protagonisti e i documenti della storia del secolo scorso nella mostra "Il Volto del Novecento", curata da Anna Maria Lamonica a Corato

Novecento, il secolo breve, disse lo storico britannico Eric Hobsbawm. Breve proprio no! Piuttosto sterminato, a sentire lo storico Veneziani; arcipieno e quasi distrutto da troppi mutamenti, guerre, olocausti, sovversioni, terrorismi. Ma alla fine di questo smisurato, esagerato, incontinente secolo, che soltanto da due decenni ci siamo lasciati alle spalle, può essere lecito dire che l’uomo è misura, anziché di tutte le cose, di tutte le casualità, le irrazionalità. L’uomo che annaspa in una terribile risacca.

Un secolo che sta assieme solo per le sue inaudite sofferenze e follie: le due guerre mondiali, i due “diluvi” di sangue, l’Olocausto, il terrificante equilibrio atomico, così terrificante che ha come portato oltre la paura l’umanità, sorda e insensibile. E, dopo questo secolo, il terremoto effetto covid dei giorni nostri, che ha generato un clima di assoluto spaesamento. Cosa dobbiamo fare? Come ci dobbiamo comportare? Sabbie mobili. E adesso, il rinascere del terrorismo – i fatti di Parigi lo dimostrano – sorto dalle stesse banlieu parigine. Ma per l’Occidente l’integrazione resta una chimera.

Anna Maria Lamonica, curatrice della mostra

Da questo punto di vista, la pandemia è solo la punta dell’iceberg di un problema ben più grande: si stanno recidendo una serie di fili sociali fondamentali e diventa forte la richiesta di decisionismo. In Italia e non solo. C’è chi, populisti e una certa parte della sinistra, invoca l’uomo forte per superare questo stato d’incertezza dominato da un assoluto presente, imprevedibile e foriero di ansie. Finora riuscivamo a vivere, molto spesso, trascinati ma anche rassicurati nelle nostre abitudini quotidiane e quando queste si interrompono cominciamo a domandarci. Cosa siamo diventati? È ciò che ognuno di noi dovrebbe chiedersi.

Come fare, ripiombati in un nuovo ma non conclamato lockdown, a tessere i fili di quella ragnatela che è la socialità; ora che siamo fuori dal nostro ufficio, i negozi chiudono presto, parliamo attraverso i nostri pc ma non possiamo vedere gli altri? In che modo rivitalizzare il passato riqualificando il momento attuale, tra disastri ambientali, pandemia e conseguente crisi economica? “Ho lavorato in passato a mostre concepite per far riflettere il pubblico. Ora dico: obbedisco a quello che ci viene detto e mi rimbocco le maniche per non ammainare la bandiera”: spiega Anna Maria Lamonica, curatrice di Il Volto del ‘900 – Secondo atto, l’unica mostra di Corato pensata prima di questo lockdown “leggero”.

L’esposizione racconta, con una leggerezza e un entusiasmo davvero contagiosi, il grande flusso della storia del Novecento italiano, con l’intendo di non smarrire la memoria legata ad eventi, luoghi e persone. Lente privilegiata attraverso cui ripercorrere alcuni spaccati di vita quotidiana, gli articoli dei principali quotidiani cartacei a cavaliere tra gli anni Settanta e i Novanta. La mostra, organizzata dall’associazione Il Tempio di Serapide presso la Cooperativa sociale Terra Maiorum, si presenta come una mostra-film.

Come e perché nasce l’idea di allestire la mostra?

Torno sulla storia dopo un anno, per ragionare proprio su come il Novecento ha rotto una continuità secolare, a cominciare dagli eserciti e dalle guerre. Vista nella sua nudità, come spazio aperto, la mostra è impostata come fosse un film, però ripreso tra i corridoi di una teca artistica che funge da film d’epoca. Il visitatore, con saggezza e col passo giusto della prudenza, si immerge in quell’atmosfera storica penetrandola in tutte le sue molteplici manifestazioni culturali: dalla moda alle avanguardie artistiche, dagli accessori e dagli arredi d’epoca al design. Mi ha molto colpita la reazione di una bambina che, all’uscita dalla mostra, mi ha rivelato, gioiosa, di voler realizzare il suo desiderio nel cassetto: diventare una curatrice di mostre d’arte. Prosit!

Quanto hanno influito le vicende del Sessantotto nella storia del nostro paese?

A mio avviso, più che di Sessantotto al singolare si dovrebbe parlare di Sessantotto al plurale, distinguendo il maggio francese dalla rivolta dei campus americani e dal movimento studentesco italiano. In quegli anni, la classe operaia lottò per l’emancipazione, l’affrancamento dalla cultura del padre autoritario e dalla religione in vista della società redenta e senza classi. Nel novembre del 1970 gli operai della Pirelli scioperano e manifestano a Milano, in piazza Duomo. Salirono sul monumento a Vittorio Emanuele II. L’Italia era anche questo: l’arte e la protesta che si incrociano per strada. Pino Pascali, morto a trentatré anni nel ’68, è la stella che brucia in fretta lasciando più segni di tutti: i bachi da setola, le coperte di Penelope, le armi giocattolo, mentre quelle vere sparano in Vietnam».

Arte, cinema e fotografia: quale di queste forme di creatività ritiene sia più efficace?

L’arte rappresenta oggi il luogo privilegiato dove vivere le contraddizioni della storia nel suo rapporto con la realtà. Nel corso della storia troviamo “arte” anche nelle cose di ogni giorno: vasellame, gioielli, oggetti votivi, corredi ecclesiastici, suppellettili di ogni tipo, opere architettoniche. Fuggirla oppure estremizzarla, cavalcando la tigre del presente? Nel primo caso “ci sediamo”, geni incompresi, su un’antiquata funzione consolatoria – rifugio, torre d’avorio – nel secondo accettiamo che gli aspetti più inquietanti e crudi della realtà sfidino le nostre possibilità espressive. Se cogli un’idea che ami quello è un giorno veramente bello.

Per un’artista, in effetti, il dialogo con tutti gli aspetti del tuo tempo, anche se scomodi, dovrebbe rappresentare un’esigenza naturale, una delle manifestazioni della sua arte, un confronto automatico e imprescindibile. Oggi, invece, a causa delle vorticose trasformazioni provenienti dalle tecnologie informatiche, l’artista tira il fiato. Non traina più, insegue. E anche le arti visive si sono ammalate di quella cecità auto-protettiva che preferisce voltarsi dall’altra parte. A questo alludeva, del resto, Ad Reinhardt con l’arte per l’arte, in cui l’autosufficienza delle forme era generatrice della pura e semplice, residua gioia del visibile.

Qual è la sua religione?

Sono cresciuta in una famiglia della classe media coratina. Già prima dei diciotto anni, seguivo con passione le vicende storiche a livello sia nazionale che mondiale. Poi ho iniziato a percorrere la mia strada, mano nella mano con l’arte in un rapporto che si è rafforzato col tempo; cercavo uno sguardo sulla realtà più ampio di quello offerto dall’intelletto. I miei gusti artistici sono sempre stati eclettici: il razionalismo, penso a Boccioni, l’espressionismo, il dadaismo, Guttuso, l’arte näif. Tutto è utile quando si tratta di trovare le chiavi per accedere a quella porta. In questa mostra il silenzio e la fotografia mi hanno aiutata a togliermi di mezzo e a fare spazio.

La mostra scava in momenti della nostra storia anche molto duri. Stiamo attraversando un periodo drammatico di cui non si vede la fine…

Dobbiamo renderci conto che, pur volendo ricostruire le vestigia gloriose del passato, dopo una distruzione si ha nostalgia del tempo passato, si cerca di rimetterlo in piedi, sembra possibile ma non lo è, bisogna andare avanti verso l’ignoto a tentoni. Continuiamo a fare i conti con l’emergenza sanitaria che sta mettendo a rischio certamente la vita sociale e lavorativa, ma anche la cultura. Eppure, le forze politiche cittadine continuano a credere che i luoghi della cultura, imprescindibili fonti del sapere, debbano essere visti come isole sicure, in cui condividere le speranze e i desideri di ognuno di noi.

Anche i grandi giornalisti omaggiati del Corriere della Sera, testata nonché media partner della mostra, avrebbero reagito così alla pandemia. “Avrebbero fatto la stessa cosa che sto facendo io: continuare a creare”, conclude Annamaria Lamonica. Il progetto, sostenuto anche dal dipartimento del Turismo e della Cultura della Regione Puglia, diretto da Aldo Patruno, intende promuovere attività culturali come strumenti chiave per la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio culturale sul territorio. Attraverso un’arte quotidiana, “dal cucchiaio alla città”, per dirla con la grammatica dell’architetto Ernesto Rogers.  Insomma, la mostra è un albo prezioso, che consigliamo, oltre che agli appassionati di storia, a tutti gli amanti dell’arte, nonché agli studenti più curiosi.

Nelle foto, il materiale documentario esposto nella mostra