Il Festival del cinema europeo di Lecce, che quest’anno si svolge eccezionalmente in remoto, ha deciso di omaggiare Dario Argento come Protagonista del cinema italiano. Il maestro del brivido ha, infatti, ricevuto l’Ulivo d’Oro alla carriera per la XXI edizione della rassegna diretta da Alberto La Monica, occasione per la quale sono stati selezionati sei titoli della sua filmografia per una retrospettiva online: L’uccello dalle piume di cristallo, Profondo Rosso, Suspiria, Inferno, Phenomena e La terza madre. Il cineasta romano si è concesso al pubblico del festival con una conversazione moderata da Steve Della Casa, attraverso la quale ha ripercorso le tappe principali della sua carriera, dal folgorante esordio del 1970 fino ai lavori televisivi per la serie Masters of Horror nel 2005.
Quando da ragazzo andò a studiare a Parigi, il giovane Dario Argento, terminate le lezioni, il pomeriggio lo passava alla Cinémathèque française. È lì che nacque la sua passione per il cinema, con le proiezioni dei film muti dell’espressionismo tedesco e con la scoperta della Nouvelle vague. Nel tempo, l’amore riversato nel cinema francese gli è stato restituito. Come spesso accade, sono stati i cugini d’oltralpe, quando ancora la critica italiana considerava i suoi film commerciali, a scoprire il cinema di Dario Argento. “D’altronde la critica italiana considerava film commerciali anche quelli di Hitchcock, che fu rivalutato solo dopo Frenzy”, scherza il regista. Che aggiunge: “I francesi ci azzeccano sempre e dissero fin da subito che ‘L’uccello dalle piume di cristallo’ era un film bellissimo”.
Non a caso Argento ha lavorato moltissimo all’estero, ripetendo sempre che “con gli americani si lavora felici”. Lì persino i tecnici sono appassionati di cinema, tutti i membri della troupe sono dei cinefili. “Ed è bellissimo lavorare così. Perché sono tutti entusiasti quando c’è da studiare qualche inquadratura complessa, elegante, in grado di regalare soddisfazione”, spiega. Gli europei se la cavano molto bene, soprattutto i tedeschi, ma con un maggiore distacco rispetto al proprio lavoro. Anche per gli attori, la nazionalità non conta: da Giuliano Gemma ad Harvey Keitel, ad Argento piace prendere un attore, rimuoverlo dal suo contesto abituale e fargli fare qualcosa di diverso da ciò a cui è abituato: “In quel modo anche l’attore si sente più stimolato a dare il massimo”. Quando si è trovato a lavorare con Keitel, ogni mattina si svegliava presto per andare sul set e parlare con lui delle scene che avrebbero girato. “Io però ho una grande passione per i personaggi femminili”, precisa. Un’eredità che gli ha lasciato sua madre, una fotografa bravissima specializzata in ritratti femminili. Argento ha passato la sua adolescenza osservando come illuminava quei corpi bellissimi nel proprio studio.
Poi le testimonianze sui grandi nomi del cinema italiano che il regista ha avuto il privilegio di incrociare nella sua lunghissima carriera. “Io, Sergio Leone e Bernardo Bertolucci lavoravamo alla sceneggiatura di ‘C’era una volta il West’ in un bugigattolo”, ricorda. E ancora: “Prima parlavamo di cinema in generale e poi dopo una mezz’ora di chiacchiere ci mettevamo al lavoro. Il giorno dopo non ci vedevamo. Ci prendevamo ventiquattro ore per scrivere autonomamente e poi ci rivedevamo nel bugigattolo per discutere di ciò che avevamo prodotto. Era un processo che occupava diversi mesi. Questo nel film si vede, perché è un film complesso, laborioso. Io e Bernardo eravamo dei ragazzini. Conquistammo Leone grazie alla nostra spiccata cinefilia”.
E Mario Bava? Chiede un ragazzo dal pubblico, intervenuto con una domanda via mail. È vero che c’è il suo zampino in Inferno? “Mario Bava lo conoscevo da quando ero bambino”, risponde Argento. “Poi il figlio Lamberto ha fatto l’aiuto regista per me. C’era un rapporto speciale con la famiglia Bava. Andavo spesso a nuotare nella loro villa. Lui fece un film (‘Schock’, ndr) con Daria Nicolodi, che all’epoca era la mia compagna. Abbiamo sempre parlato di cinema, ma non ci eravamo mai trovati insieme sul set. Almeno fino a quando non mi trovai in difficoltà per gli effetti speciali di ‘Inferno’. Lui in questo era fenomenale. Accettò il mio invito e comprò un cristallo immenso, lungo quasi 5 metri e alto altrettanto, con cui realizzò le sue famose proiezioni. È stato l’ultimo film a cui ha lavorato”.
A differenza di Monicelli, Argento non è invece un amante dei sopralluoghi. “Spesso li faccio mentalmente”, dice. “Opero una composizione e creo una città immaginaria: un po’ di Roma, un po’ di Milano, poi si gira l’angolo e si è a Torino. Come faceva Antonioni, che adoro e considero uno dei più grandi cineasti di sempre. Lui pure lavorava in questa maniera, rivoluzionando la toponomastica”. Un approccio libero, come quello che ha sempre adottato per scegliere la musica dei suoi film, elemento fondamentale nella costruzione della tensione. “Quasi sempre la musica la scelgo prima”, racconta Argento. “Ma è successo anche l’opposto, quando l’atmosfera del film completo mi suggeriva un compositore o un gruppo musicale diverso da quello che avevo pensato all’inizio. Io mi sono molto svagato con la musica. Sono andato ovunque, da Keith Emerson ai Goblin, che hanno inciso il loro primo album con me quando ancora avevano vent’anni, appena usciti dal conservatorio. È un mio grande orgoglio”.
E, ovviamente, rimangono indelebili nella memoria di ogni appassionato di cinema (e di colonne sonore) i cinque film realizzati con Ennio Morricone, che Argento conobbe proprio a casa di Sergio Leone: “Era amico di mio padre e fu lui a convincerlo a lavorare sul mio primo film. All’epoca suonava la tromba in una band di ‘musica moderna’, come la chiamava lui. La musica de L’uccello dalle piume di cristallo è stata praticamente improvvisata sulle scene che venivano proiettate e composta al momento. Penso sia una cosa che lui non ha più fatto nella sua carriera. Ho un ricordo bellissimo di Ennio. Era semplicemente sublime”.