Il mondo? Un’esperienza “palindroma”

Tenet, l’ennesimo rompicapo del regista Christopher Nolan, è un invito a guardare la realtà da molteplici punti di vista, evitando sentenze sommarie o definitive

Affascinante perché intricato. Coinvolgente perché spettacolare. Complesso perché il regista è Christopher Nolan. Abbiamo tra gli occhi qualcosa di scomodo, straniante, subdolo, inquietante, che ci costringe a chiederci che cosa significhi ancora oggi vedere un film. Questo è Tenet, undicesimo film del regista britannico, uscito recentemente nelle sale. Ancora una volta, Nolan gioca con noi a carte scoperte coniugando, egregiamente, lo spettacolo da grande schermo con le sue ossessioni, i temi ricorrenti e, perfino, i suoi difetti. Guardare un film di Nolan è come gettare i dadi sul tavolo e non sapere quale potrebbe essere il risultato; è un gioco di prestigio continuo, assoluto, a metà strada fra il tempo, lo spazio, il ricordo, il sogno. Le vite si incrociano in una maniera angosciante e, talvolta, multipla.

Ma qual è la filosofia che sorregge la trama? Che scopo si prefigge? La scena è quella di un mondo “crepuscolare” dove non ci sono amici al tramonto e che può trasformarsi o invertirsi proprio grazie agli amici: il tramonto diventa alba, il crepuscolo diventa luce. Rimarremmo a bocca aperta, se Nolan si accontentasse. E invece no, ci spinge a guardarci dentro, a chiederci quanto la sua psicologia del tempo intercetti della vita, del libero arbitrio: possiamo ancora scegliere? Come ogni film, anche Tenet ha sollevato una diatriba tra gli spettatori. C’è chi non l’ha apprezzato e si è detto confuso, spaesato da un film che intrattiene ma non fa emozionare, facendosi dimenticare in fretta. Chi l’ha apprezzato, dal canto suo, dichiara che non è poi così importante capire proprio tutto, che bisogna prima godersi il potente e sorprendente spettacolo visivo che è il film e solo dopo, con calma, ragionarci su.

A metà film arriva il coupe de theatre, inaspettatamente, con un’inversione, mediante cui personaggi e situazioni si muovono in avanti e insieme indietro nel tempo. Lo spettatore rivive la prima ora del film da un nuovo punto di vista. Il vile Sator, interpretato da Kenneth Branagh, è intenzionato, alla sua morte, a distruggere il mondo. Il protagonista, Neil (Robert Pattison), entra in scena per impedire la catastrofe. Entrambi procedono all’inverso, fino a inserirsi in una missione bellica in una città sovietica per impedire ai fedeli di Sator di raggiungere i nove algoritmi che potrebbero distruggere il mondo. Nello stesso momento, Kat (Elizabeth Debicki) torna indietro e, salita sulla barca di Sator prova a impedirgli di suicidarsi uccidendolo al momento opportuno e portando a termine la missione. 

Una lotta contro, per e sul tempo. Tra direzione dritta (colore rosso) e direzione invertita (colore blu); gli stessi colori, per inciso, delle squadre di soldati che si affrontano per il destino del mondo. Una tenaglia temporale: usare sia il tempo e l’entropia del mondo nella sua direzione naturale che la sua inversione, conoscendo già la conclusione degli eventi in vista dello stesso obiettivo. Il protagonista questa volta è Ives (Aaron Taylor Johnson) il quale, infiltratosi nella squadra rossa, deve raggiungere l’ipocentro e prelevare l’algoritmo prima di Sator. Neil, invece, fa parte della squadra blu. Con l’algoritmo tra le mani, scissi tra la promessa di nasconderlo e di non rivedersi più, i tre personaggi si dividono prendendo ognuno la propria strada. O forse no? 

Se la missione di Kat, tornata indietro nel tempo per uccidere Sator, è abbastanza lineare, intricato è il ruolo del protagonista che, una volta scoperto, a suo modo capovolge ancora una volta il punto di vista del film. Dall’ottica dello spettatore, che segue durante tutta la durata del film, il protagonista è ancora ignaro del suo ruolo nel futuro e della sua decisione di creare l’organizzazione tenet, il cui scopo è eliminare ogni persona che conosce il segreto dei viaggi temporali. E solo in quest’ultima scena facciamo conoscenza del protagonista consapevole del suo ruolo, cioè il protagonista del futuro. L’uccisione di Priya, infatti, permette a Kat e a suo figlio di continuare a vivere sapendo che, come viene detto nel film, ogni generazione ha la sua bomba da disinnescare e un agente che vorrà vedere il mondo distrutto.

E, infatti, il film racconta di una guerra fredda, algida, capace di generare mostri. L’importanza di cambiare punto di vista sul mondo e la percezione delle cose è il cuore palpitante del film. Un invito a non addormentarci come gli spettatori seduti all’opera, bensì a rimanere desti e a conoscere. Non a caso, il pittore Francisco Goya riecheggia con potenza e prepotenza nella pellicola. Chi sono, in fondo, i mostri? Individui a tal punto egocentrici e individualisti da perdere ogni contatto con la realtà e pronti ad adoperarsi per la distruzione del mondo.

Sotto questo profilo, Tenet si dimostra un film di grande attualità. Suggestiva anche la valenza del titolo: il cosiddetto quadrato del Sator con l’iscrizione latina di cinque parole palindrome dal significato misterioso. Sator e Rotas, l’antagonista e la sua società. Arepo e Opera, il fatto e il pittore e il luogo in cui si svolge il prologo del film. Sono queste le chiavi che permettono di penetrare a fondo il significato dell’espressione “Tenet”: l’organizzazione, il titolo palindromo, il protagonista stesso, il centro del quadrato magico. Quattro parole sempre centrali all’interno di una frase che non cambia il significato, qualunque sia la prospettiva.

L’intero film è un lungo paradosso del nonno: per migliorare il proprio presente, il futuro sente il bisogno di tornare nel passato e modificarlo auspicando un miglioramento. Sono i nipoti che ucciderebbero il nonno cambiando il mondo in anticipo, senza rendersi conto che il futuro già prevede il loro viaggio nel tempo e le loro modifiche. Tenet è un film di spionaggio e d’azione alla James Bond, dove il protagonista gira il mondo cercando, di volta in volta, qualcosa o qualcuno, per impedire a qualcuno di far compiere azioni malvagie. Ma che c’è anche della fantascienza che riguarda la fisica e che è di certo meno immediato da far passare rispetto al “sogno dentro un sogno dentro un altro sogno” di Inception.

Ciò che è potrebbe non essere, ciò che non è potrebbe essere e quello che ricordi può essere il sogno o addirittura il futuro di un altro. Il presente, forse, è il futuro passato di un futuro che forse verrà o forse non avverrà. Tuttavia, rispetto alla cristallina linearità delle pellicole precedenti – Batman, Inception, Interstellar, Dunkirk – il discorso si fa caotico anziché complesso, confuso piuttosto che lineare. Soprattutto perché il film è tutto focalizzato sulla nozione di tempo come energia capace di modificare il presente e il futuro. Ciò determina un gioco di inversioni visive con annessi problemi di comprensione e di visione. Questo è il cinema di Christopher Nolan, ci abitua a vedere e a sentire, emozionandoci. Allo spettatore dei film di Nolan non è estraneo questo gioco di scatole cinesi, questo caleidoscopio di possibilità.

Arrivati a questo punto, avete un po’ di mal di testa? Senza dubbio, il film di Nolan è complesso nei temi, supera le complicazioni, senza mai ripetersi e innovandosi. La magia del cinema sta proprio in questo suo fascino. Il regista non è facile ma è democratico: dà quanto si chiede e rivendica al cinema un altro mondo possibile, un universo parallelo che tracima le aspettative dello spettatore ed esonda un flusso di coscienza autoriale e demiurgica. Se ancora non lo avete visto, fatevi sotto.

Nelle immagini, alcune scene tratte dal film di Christopher Nolan