Un culto ancora vivo e ben radicato nel folklore rubastino, fin dal secolo scorso, è quello dei Santi Cosma e Damiano. La devozione ai fratelli martiri non nacque, come alcuni ritengono, nel territorio ruvese ma fu importata dalla vicina Bitonto, grazie all’iniziativa di mons. Aurelio Marena, al tempo vescovo della diocesi di Ruvo – Bitonto, rimasta attiva sino al 1982.
L’arrivo a Ruvo di Marena favorì la rapida diffusione del culto che culminò con l’istituzione, nel 1954, della Pia Unione Santi Medici. Dopo la realizzazione dei simulacri dei martiri, si provvide a collocare gli stessi in una nicchia della cattedrale e, successivamente, presso la chiesa beneficiale di Santa Maria di San Luca nel centro storico, ceduta dalla famiglia Testini alla curia vescovile.
Questi brevi cenni sulla genesi di una solennità così sentita, sviluppatasi in un passato relativamente recente, sono utili a capire quanto quest’anno la ricorrenza abbia avuto un sapore diverso. Torna tuttavia utile riflettere sull’importanza dei medici nella società, soprattutto nell’attuale periodo di emergenza, in cui, dinanzi alla carenza di strutture e a privatizzazioni poco oculate, si acuisce il bisogno di essere affiancati e supportati da queste figure.
Ad esprimere il rammarico per il mancato svolgimento del corteo processionale, che, come tradizione, si sarebbe dovuto tenere domenica scorsa tra le strade di Ruvo, è il presidente dell’associazione Pia Unione Santi Medici, Michele Pellicani che, in tempi di Covid, ha voluto farsi promotore di tre meritorie iniziative, grazie alle offerte dei fedeli: l’istituzione di due borse di studio che diano “ossigeno economico” a giovani ruvesi iscritti alla facoltà di medicina, una donazione a favore dell’ospedale pediatrico “Bambin Gesù” di Roma, la raccolta di generi alimentari per i più bisognosi.
A causa delle restrizioni imposte dalla pandemia, è mancata anche la piccola mostra “Foto e memoria – Il culto dei Santi Medici a Ruvo di Puglia” – inaugurata lo scorso anno con la benedizione del parroco don Giuseppe Germinario – che tanto successo aveva riscosso tra i cittadini: la narrazione per immagini di una devozione popolare nata agli inizi del ‘900, quando furono realizzate le statue dei santi taumaturghi su commissione delle sorelle Maria ed Elisabetta Altamura e destinate, successivamente, alla venerazione dei fedeli. I simulacri riprendono l’iconografia tradizionale dei due fratelli riccioluti, nativi di Egea, in Arabia, maestri di lettere greche e latine, addottrinati nelle scienze sacre e profane ed esperti nell’arte medica. I santi sono ritratti giovanissimi mentre reggono tra le mani una palma, simbolo del martirio, e una cassetta contenente gli strumenti chirurgici allusivi alla professione di medico.
Santini, statuette domestiche, quadretti, spartiti musicali avrebbero scandito uno spazio espositivo impreziosito da mosaici di foto colorate, testimonianza concreta della vitalità e della persistenza della devozione dopo quasi un secolo. Tra queste ricordiamo le splendide immagini in bianco e nero dal ’48 al ’54, che documentano la presenza del culto anche a Genova da parte di una cospicua comunità ruvese; quelle del decennio ’76 – ’86 destinate a conservare la memoria di mons. Tonino Bello e le più recenti che abbracciano gli anni ’90 fino ai nostri giorni.
Riecheggiano i vividi cromatismi dei mantelli ricamati dei martiri: il rosso per San Cosma simboleggia il sangue di Cristo versato per gli uomini, il verde per San Damiano esprime la speranza di ottenere la guarigione del corpo e la salvezza dell’anima. Tornano in mente infine gli abiti raffinati, simili alle vesti dei martiri, confezionati in piccole taglie per i manichini che portano i segni distintivi di Cosma e Damiano. I coriandoli, che volteggiano nell’aria al passaggio dei santi, restano l’istantanea più bella e più rappresentativa di una tradizione popolare così intensamente vissuta da grandi e piccini.
La foto dei Santi Medici, in alto, è di Tommaso Altamura