Emergenza sanitaria? I problemi della scuola vengono da lontano

Tra spazi insufficienti, banchi in arrivo, lezioni in presenza e in remoto, la difficile sfida del nuovo anno, come spiega Francesco Lovascio, preside dell’Ites di Bitonto

Dopo mesi passati a parlare di ripresa delle lezioni in presenza e di possibili alternative, con l’ipotesi del collegamento in remoto da casa per gli studenti, come già per tutti i lunghi mesi del lockdown, la campanella è tornata a suonare regolarmente in gran parte delle scuole in tutto il paese.

Non senza timori e difficoltà, causati dalla necessità di mettere a punto il complesso meccanismo degli ingressi differenziati, della necessaria distanza tra i banchi, della distribuzione delle mascherine, dell’utilizzo dei bagni e del prelievo di bevande dai distributori sino ai molteplici turni per disinfettare arredi e spazi condivisi da parte del personale ausiliario.

Francesco Lovascio è il dirigente dell’Ites “Vitale Giordano” di Bitonto, che insieme agli altri istituti superiori della città, ha già dato avvio alle lezioni già da qualche giorno, secondo il calendario dell’Ufficio Scolastico Regionale. Per le altre scuole, come da apposita ordinanza comunale, lo start è stato rinviato a lunedì prossimo. Col preside Lovascio abbiamo fatto il punto sui difficili e macchinosi preparativi per la riapertura e ascoltato le impressioni sui primi giorni di scuola. Il quadro che vien fuori ci sembra sufficientemente rappresentativo di tutta una serie di situazioni e criticità che investono la scuola ormai da anni, da ben prima dell’emergenza sanitaria, ma anche dell’abnegazione, del coraggio ma anche dell’entusiasmo che i dirigenti, i docenti e gli stessi alunni stanno mettendo in campo per affrontare la sfida di un anno particolarmente impegnativo.

Allora, preside, i ragazzi sono tornati a scuola…

Finalmente sì! Ed è davvero una bellissima esperienza oltre che una grande soddisfazione ritrovare tra i banchi tanti volti conosciuti insieme a quelli di molti nuovi giovani allievi. Come pure rivedere tanti docenti, il cui impegno e il senso di responsabilità in tanti mesi così difficili non sono mai venuti a mancare.

I timori della vigilia sono, dunque, scomparsi? 

Quello appena varato resta un anno particolare. L’emergenza sanitaria è ancora in atto e non possiamo nasconderci che da un giorno all’altro potremmo tornare all’insegnamento a distanza. Siamo comunque pronti ad utilizzare le piattaforme dedicate alla didattica online. Abbiamo acquistato router per la connessione ad internet e verificato il numero di pc da affidare in comodato d’uso agli allievi che non ne dispongano, in caso di lockdown. La possibilità di un ritorno alla didattica a distanza è, infatti, concreta. Il rischio di scoprire contagi all’interno delle scuole esiste. È molto difficile, d’altra parte, prevenire ogni situazione di rischio poichè non è possibile eliminare tutte le occasione di incontro tra i tanti soggetti che interagiscono negli istituti, per quanto sia stata predisposta ogni misura precauzionale e adottata ogni strategia di prevenzione. E, comunque, non si può pensare di trasformare la scuola in una caserma: la scuola è per definizione un luogo di socializzazione. Allora sarà necessario che ognuno faccia la propria parte a scuola e, direi, soprattutto fuori: ogni precauzione adottata a scuola sarebbe vanificata, infatti, da comportanti imprudenti degli allievi al di fuori di essa. È importante che le famiglie diano il loro contributo, siano collaborative e presenti per evitare situazioni spiacevoli.

Qual è stato, ad oggi, il problema più difficile da risolvere?

Certamente quello dell’utilizzo degli spazi. Ma occorre fare una premessa. Molti degli edifici in cui si trovano le nostre scuole sono fermi – nella migliore delle ipotesi- agli anni ’90, e in molti casi è proprio da trent’anni che non vengono né rinnovati nè sottoposti a manutenzione. Proprio perché ferme a più di trent’anni fa, molte scuole rispecchiano quelle che erano gli standard dell’epoca. Ma le platee di studenti sono radicalmente cambiate da allora, e con queste anche le misure di sicurezza: ci troviamo difronte a un’edilizia scolastica ormai vecchia, obsoleta. Questo ci ha costretti, negli anni, ad aumentare il numero degli allievi per classe, portandolo ad una media di 27, con picchi, a volte di 30-33. Oggi il problema sta esplodendo: il Comitato tecnico-scientifico e il Ministero ordinano la distanza minima di un metro tra gli studenti e di due tra studenti e docente. Immaginate una classe composta da 28 alunni e un’aula di 50 metri quadri: è matematicamente impossibile realizzare quanto previsto. E il problema non si ferma alle aule: occorre garantire la stessa distanza nei laboratori e in tutti gli spazi comuni.

Quali soluzioni ha adottato?

Il mio problema principale ha riguardato una classe composta da 28 alunni, impossibile da sistemare negli ambienti dell’istituto. La soluzione è stata unire due aule da 37 metri quadri in un unico ambiente. Ma ci sono ancora diverse classi il cui numero di alunni non è compatibile con gli spazi di cui la scuola dispone, e nessun tipo di alternativa – sedute particolari, banchi più piccoli, etc.- è in grado di fornire una soluzione adeguata. È impossibile garantire allo stesso tempo lo spazio necessario alla circolazione in totale sicurezza nelle aule e la distanza di un metro minimo per gruppi di alunni che oscillano sempre intorno alle 26-27 unità. La soluzione, che è stata proposta ed elaborata proprio dal Ministero, è, nei casi limite, attivare la didattica a distanza integrata. Nelle classi in cui c’è effettivamente il problema dei posti, il numero eccedente di alunni seguirà da casa, nel rispetto di una rotazione settimanale. Questo sarà garantito dalla presenza di un computer e una connessione di rete in aula, che permetterà agli alunni da casa di seguire le lezioni in sincrono, con uno stacco di qualche minuto tra una lezione e un’altra.

Sono arrivati i nuovi banchi?

Al momento no. Il fatto è che esiste un problema di tipo quantitativo a livello nazionale. Soltanto il mio istituto ne ha ordinati 380, per sostituire i banchi troppo grandi e per guadagnare lo spazio necessario. Immaginate che ogni scuola in Italia abbia fatto più o meno lo stesso: si parla di centinaia di migliaia di banchi da consegnare. Magari c’è anche la possibilità di sostenere una spesa tale, ma chi li produce tanti banchi e quando saranno pronti? Tutto ciò crea inevitabilmente un rallentamento significativo che, ad oggi, non ci ha ancora consentito di disporre del nuovo mobilio. Nell’attesa, stiamo improvvisando varie alternative, valutando e misurando gli spazi a disposizione. Le ultime comunicazioni del ministero, comunque, parlano dell’arrivo dei nuovi arredi alla metà di ottobre. Sarebbe un bel successo.

Si è parlato di classi numerose: cosa succede alle classi prime? E’ stato previsto un numero massimo di alunni?

Il nostro istituto conta numerosi alunni diversamente abili – due per classe – che si accingono ad iniziare l’anno scolastico. Questo ci permette di ridurre notevolmente i numeri prima citati, portandoci a formare classi di 20-21 allievi. La nostra scuola ha una lunga tradizione in questo senso, ed è grazie al corpo docenti di sostegno – numeroso, agguerrito e ben preparato- che possiamo dirci fieri di accogliere tanti studenti diversamente abili ogni anno e di poter garantire loro il giusto supporto e l’istruzione che meritano.

Con quale spirito va affrontato il nuovo anno?

Quello che si appresta a cominciare è un anno del tutto diverso, caratterizzato da ostacoli e difficoltà. Occorre ricordare, tuttavia, anche quello che viene messo in gioco: l’opportunità di stare a scuola e poter imparare, spesso sono viste come obblighi piuttosto che, come in realtà sono, fortune e grandi privilegi. Conoscere, apprendere e potersi confrontare, è al giorno d’oggi forse l’unico mezzo per costruire una società del futuro più attenta e responsabile, e bisogna farne tesoro. Perciò non possiamo far altro che augurare un buon anno scolastico a questi ragazzi, seppur diverso dal passato.

Nella foto in alto, il preside Francesco Lovascio (al centro) e i docenti Vito Stallone e Maddalena Bellocchio, responsabili Covid