L’innaffiatore innaffiato dei fratelli Lumière è un celebre corto del 1895, l’inizio della grande storia del cinema. Nei suoi cinquanta secondi, più che una semplice trama, offriva al pubblico un nuovo tipo di esperienza visiva: tempo e movimento fissati su pellicola. Da allora il cinema si è sviluppato rimanendo pur sempre una sorta di rettangolo magico in cui poter riscontrare molteplici significati, come in un gioco di specchi. Anche l’ultimo film di Christopher Nolan, più che una storia con un inizio e una fine, offre allo spettatore una grande esperienza cinematografica. Un caos apparente su cui, come sempre, il regista inglese esercita un controllo metodico e cartesiano, questa volta ispirato da un rebus millenario.
Il quadrato del Sator, o quadrato magico, è uno dei grandi enigmi del passato. Su di esso, a partire dal 1925, anno in cui venne rinvenuta a Pompei la sua prima parziale rappresentazione, si è sviluppata una letteratura sterminata, insieme a una grande varietà di interpretazioni. E l’enigma non poteva non aver affascinato Umberto Eco, che ne parlò in un libro del 2006 (Sator, Arepo eccetera), anche se il misterioso quadrato era solo lo spunto per un divertissement fatto di omonimi, omofoni, omografi, acronimi e altri virtuosismi linguistici.
Si tratta di un palindromo multiplo formato da cinque parole di cinque lettere, che possono essere lette da sinistra a destra o viceversa, dall’alto al basso o viceversa. Ma le parole, come insieme di lettere, sono in realtà tre, poiché due – SATOR e AREPO – ne contengono altre due – ROTAS e OPERA – se lette all’incontrario. La prima parola verticale e orizzontale è quindi anche l’ultima, mentre la seconda è anche la quarta. Soltanto una parola è sempre e solo la terza, sia in orizzontale che in verticale, ed è l’unica parola palindroma, cioè l’unica ad essere la stessa se letta da destra verso sinistra o da sinistra verso destra.
Questa parola, nelle due dimensioni, rappresenta una croce (da qui le interpretazioni cristiane), ma anche l’asse cartesiano del quadrato di lettere formato dalle cinque parole (da qui le interpretazioni esoteriche): TENET, terza persona singolare del verbo latino tenere. Le altre parole, anch’esse in latino, sono polisemiche, ovvero hanno molteplici significati, eccetto una – AREPO – che non ne ha nessuno, e viene generalmente interpretata dagli esegeti come nome proprio di persona. Parole polisemiche non possono che generare frasi polisemiche, con molteplici significati, tutti più o meno coerenti a seconda del significato attribuito a ciascuna parola. E se l’autore del misterioso multi palindromo intendeva proporne uno preciso, questo significato rimase noto soltanto a lui.
TENET è il titolo dell’ultimo film di Christopher Nolan, e il palindromo è anche l’asse cartesiano della sua trama, una sorta di parola d’ordine per i membri dell’organizzazione che cercano di prevenire lo scoppio della terza guerra mondiale, quindi la fine del mondo: “Quello che posso darti è una parola: Tenet, aprirà le porte giuste e anche alcune sbagliate. Usala con cautela!” viene detto all’agente chiamato archetipicamente Protagonista, magistralmente interpretato da John David Washington. Mentre le altre quattro parole del quadrato magico corrispondono ad altrettanti punti cardinali del film: SATOR è il nome del diabolico personaggio interpretato da Kenneth Branagh, Andrei Sator, oligarca russo venuto in possesso di una tecnologia del futuro in grado di invertire l’entropia degli oggetti, e di farli spostare nel tempo agendo sul loro flusso temporale.
ROTAS è l’agenzia di sicurezza da lui controllata in cui vengono conservate opere d’arte di dubbia provenienza (il nome appare in una targa sopra la porta d’ingresso del deposito presso l’aeroporto di Oslo). AREPO è il nome del pittore spagnolo autore del falso quadro di Goya che viene utilizzato dal protagonista per avvicinare la sposa di Sator. OPERA, infine, nella sua accezione di opera musicale, corrisponde alla scena iniziale ambientata nel Teatro dell’Opera di Kiev (girata in quello di Oslo), ma è presente anche nell’opera d’arte di Arepo, nel complesso schema ideato da Sator, e in ultima istanza nell’opera cinematografica creata da Nolan.
Più che una storia con un inizio e una fine, Tenet offre allo spettatore una grande esperienza cinematografica e un divertissement temporale (se è lecito parlare di divertissement per un prodotto costato oltre duecento milioni di dollari): quello che è successo deve ancore succedere e succederà, se si inverte l’entropia intesa come freccia del tempo. Un concetto difficile da afferrare, ma, come dice la scienziata che istruisce il Protagonista all’inizio del film (Nolan allo spettatore?), “Non cercare di capirlo, sentilo!”.
Molte sono le letture che si possono offrire di questa superba opera cinematografica. E se il suo cerebrale autore ne aveva in mente una precisa, questa è nota soltanto a lui. Lo spettatore attento può solo constatare che, dall’inizio e dalla fine del film, l’azione si svolge verso la parte centrale: la scena nell’aeroporto di Oslo, dove, traverso un tornello, si inverte la direzione normale del tempo dando luogo a un palindromo narrativo. E forse anche la stessa storia del cinema, la settima arte secondo la felice definizione del critico italiano Ricciotto Canudo, può essere letta oggi come un lungo palindromo: alla fine del suo sviluppo storico troviamo Tenet, invertendo la freccia del tempo l’Innaffiatore innaffiato.
In alto, il quadrato del Sator, rinvenuto nel 1925 a Pompei. Nelle altre immagini, alcune scene di Tenet