Nell’ora buia la “resilienza” dell’arte

Inaugurata dai disegni di Roberto Kunstler, la rassegna "Vita d'artista" alla galleria InCinque Open Art Monti di Roma ha proposto un mese di incontri e opening calls

I legami più belli, quelli che ti porti dietro una vita, a volte iniziano proprio così, per qualche curiosa congiuntura che attrae e ordisce, accogliendo quei richiami che sussurrano nella quiete della notte e che non puoi rigettare nel silenzio.

“Vita d’artista” progetto nato dalla sensibilità di due persone speciali, Monica Cecchini, architetto e gallerista di InCinque Open Art Monti di Roma, e Jonathan Giustini, delicato e profondo scrittore, saggista, giornalista, ha riunito anime lontane, poeti, pittori, cantautori, artisti, curatori, nella gioia di ritrovarsi, con gli sguardi ebbri di emozione, tra note improvvisate e visioni sognanti. Esempio di raffinata e pervicace resistenza dell’arte in un periodo buio, in cui tutto, per un interminabile attimo, si è cristallizzato.

Ma l’arte non ha paura del buio, anzi. Spesso ne fa scudo per gridare al mondo ancor più forte. E ora, più che mai, si è affrancata, ha trovato altre vie, ha inseguito nuovi adepti.

Alla call, lanciata dai curatori durante il lockdown, hanno risposto in trentuno, ospiti della galleria romana, uno per ogni giorno del mese di luglio, a raccontare di sé, di proposte, di rinascita, con un pubblico interattivo, in un cortocircuito di suggestioni genuine, sorrisi ritrovati, vite a confronto. Una domanda per tutti: si può ancora vivere d’arte oggi? La stessa domanda che rivolgiamo ai promotori di questa iniziativa.

Jonathan, il vostro progetto è stato straordinario, ha favorito l’espressione, la condivisione, lo stare insieme, in un’atmosfera di autentica semplicità. Dunque, oggi, l’artista che vita ha?

L’artista oggi vive una vita molto difficile. Più è artista e più vive con difficoltà. Quando parlo di artista intendo colui che ricerca, che non si dà freni, che persegue una strenua curiosità intellettuale e sperimenta. Spesso l’artista deve essere artista dentro e fuori. Creare connessioni, farsi pubblicità. Sviluppare sforzi inauditi per la propria arte. Non basta essere bravi, avere talento. Ma serve riuscire a sostenere la propria arte. E’ questa la cosa più difficile. La parola artista poi è molto abusata. Perché quelli veri sono davvero pochi, rari. Come i poeti veri. Come diceva Moravia: un poeta vero che sia vero nasce ogni cento anni. Lo diceva guardando Pasolini negli occhi. Tutti gli altri ci provano.

Ora pongo a te la domanda alla quale tutti gli artisti hanno risposto. Oggi si può vivere d’arte? 

Vivere d’arte è praticamente impossibile, se non vivi le relazioni, se non crei i giusti contesti. Le giuste partecipazioni. Se parliamo di mercato dell’arte mi pare sia crollato, nel senso che la gente comune, della strada, non compra arte. La comprano i grandi collezionisti, coloro che si occupano d’arte. Ma l’uomo e la donna normale, non la comprano. Se ne guardano bene. Lo abbiamo visto anche con Vita d’artista. Si è persa l’attitudine a vivere con le opere, a circondarsi di arte, qualunque questa sia. Bella brutta non ha importanza. E’ l’attitudine che dovrebbe avere importanza e con quella imparare tutti a crescere.

Il lockdown ha certamente stimolato delle riflessioni nuove. Ricorso alla rete, multimedialità hanno sostenuto la diffusione e la comunicazione. Ritieni che le tecnologie possano spianare la strada a vie operative sperimentali?

Sì, la tecnologia può servire a sviluppare progetti, a tirar fuori nuove creatività. a farti venire in mente cose. Vale per chi vende, vale per chi fa. Vale per chi vuole semplicemente ricevere. È uno strumento, un linguaggio e come tale va usato. Un piccolo o grande alfabeto che può aiutare la comunicazione a viaggiare. Ovviamente il problema sta nell’offerta, nella quantità di chi ci prova. Senza le basi non distingui, confondi e credi a tutto. Io sono sempre per una seria formazione culturale alle spalle con la quale, se sai nuotare, puoi attraversare questa tempesta e magari approdare in qualche isola interessante. Come mi è successo con Ezia Mitolo: l’ho scoperta tramite una piccola asta on line durante il lockdown. Pensa un po’. Per caso.

A fare da spinta motrice all’iniziativa, la prima esposizione dei disegni originali di Roberto Kunstler, cantautore  che non necessita di presentazioni, magistralmente letti e raccontati da te nel delizioso pamphlet Vita d’artista. Un ragionare al margine dei disegni di Roberto Kunstler (Arsenio Edizioni). Ogni passaggio è un intreccio di emozioni condivise, in un continuum tra parola e immagine. Come nasce questo progetto editoriale? 

I disegni di Roberto nascono da taccuini, sono parole senza parole, sono opere compagne delle parole. Lo faceva Leonard Cohen, Bob Dylan, lo fanno in tanti. Mi sono accorto che nei suoi bambini secolari, in queste figure quasi feti adulti c’ero anche io, con le mie insicurezze, i miei sogni, la mia voglia di trasformarmi. Il non saper disegnare. Così ho immaginato un percorso di prematuri. Torniamo a quello che eravamo un tempo: sono cose d’altri tempi. Cose già vissute, già viste, già inventate. Già diventate. Ma che posseggono una veggenza. Come era per Rimbaud e la sua storia con Verlaine e così ho immaginato me e Roberto, come due sognatori e gentiluomini di altri tempi, che si mettono in cammino, in un ipotetico viaggio in Italia, forse in cerca della poesia, dell’arte. Forse in cerca di un nessundove. Magari di un lontano amore. Ci siamo presi per mano. Le sue canzoni a farmi compagnia e le mie parole a raccontare questa storia con sotto il braccio La ballata dell’antico marinaio di Coleridge. Una corsa nelle vaste pianure. Un rotolare a perdifiato dentro un mare di erba, dove non ti fai male, ma rotoli e rotoli senza sapere dove e quando ti fermerai. Una cosa romantica. Dove non ci interessava null’altro che stare insieme, sognare insieme, fare una cosa bella per noi e poi sono arrivati gli amici a sognare con noi.

Monica, l’arte contemporanea che direzione sta prendendo, tra tendenza, collezionismo, sperimentazione?

Stiamo attraversando una crisi importante e come in tutti i periodi critici c’è la possibilità di soffermarci e riflettere. La velocità della contemporaneità si è fermata obbligatoriamente, ma questo forse è una opportunità per capire come procedere. Molti pensano che l’arte si debba rivedere alla luce delle nuove tecnologie e che ci sia la necessità di partire dal loro uso, ancora poco utilizzate. Io credo che le tecnologie sono appunto strumenti, e che il cambiamento non può avvenire da questi, ma da una riflessione profonda e da un capovolgimento di contenuti. C’è bisogno che l’arte abbia un contatto diretto con le persone, e non solo, c’è bisogno che si occupi del sociale. La contemporaneità va verso l’arte pubblica e l’arte urbana. Noi di Incinque open Art Monti, cerchiamo di ritrovare un approccio diretto, far vivere l’arte attraverso il contatto che coinvolga il territorio in cui lavoriamo e viviamo.

Si può parlare ancora di sistema dell’arte? 

Sì, secondo me ancora si può parlare di sistema dell’arte, anche se negli ultimi quindici anni lo scenario è cambiato molto. Sono sorti ultimamente degli spazi ibridi oltre le gallerie intese nel senso tradizionale. Rimane comunque importante il legame tra spazio espositivo, curatela e artista. Le gallerie d’arte, anche nelle forme open, rimangono a mio avviso ancora un punto di riferimento per il collezionista o per l’appassionato d’arte. Incinque Open Art Monti è una galleria che nasce con l’obiettivo di rappresentare l’interconnessione tra arte, architettura e design e quindi non una galleria tradizionale.

Vista la tua esperienza, ritieni che committenza e strategia curatoriale siano vincolanti per lo sviluppo creativo? 

Nella mia modesta esperienza, ritengo che siano importanti ma non vincolanti. L’atto creativo è qualcosa di innato, nasce e si elabora come una necessità naturale e istintiva. La strategia curatoriale può riuscire a  vedere l’atto creativo in maniera più critica e quindi dare delle direttive ma credo che non possano essere vincolanti.

In alto e nel testo, alcuni disegni di Roberto Kunstler