Un poeta di Puglia ancora poco noto, persino tra gli addetti ai lavori. Un poeta e basta, ché le origini contano ma si è poi poeti a tutte le latitudini. Ecco, per il poeta di cui intendiamo parlarvi, le provenienze di terra e d’amore hanno la loro importanza, indubbiamente, ma la poesia poi s’accasa nella poesia stessa e i luoghi sono appunto i “luoghi” di quella poesia stessa e di una precisa poetica. Il tutto esiste prima: il luogo ne è un esito, certo felice. Ma è la poesia che raggiunge il luogo, questo è importante ribadirlo. La bellezza di un luogo può ispirare emozioni ma la poesia esiste in sé come fatto letterario.
Ed ecco il poeta: Argo Suglia, nativo di Mola di Bari, espressione piena della poesia essenziale e stringata del Novecento italiano. Un poeta riscoperto e da riscoprire. In che senso riscoperto? C’è stato a Mola un bel fenomeno culturale ultimamente, un momento che passa anche dalla rilettura di Suglia. È il progetto Mola crea, un percorso attraverso le migliori espressioni culturalli e letterarie della cittadina. Un libro che raccoglie diverse poesie di Suglia è, invece, pubblicato dai tipi di Giazira Edizioni di Cristiano Marti e ha per titolo M’ha guardato dall’occhio di un gatto, opera da oggi fondamentale per percepire la poetica del molese.

E del resto i suoi versi meritano: siamo qui più che a distanza di sicurezza dalle umorali produzioni sedicenti poetiche dei tanti, dei troppi. L’aggettivo umorali perché capita spesso di leggere composizioni figlie di un particolare abito psicologico, di un episodico ed equivocato frammento di tempo -l’emozione, ecco- ma prive di una profonda capacità di indagine letteraria, di ricerca stilistica, di accuratezza semantica. Forse chiediamo troppo? Vero. Ma almeno la grammatica minima, signori! La sintassi attenta, la morfologia dei discorsi, l’ortografia altrettanto basica. Lasciamo perdere questa nostra battaglia (persa, appunto: Guttemberg, quanti danni in tuo nome, per tacer di Calliope!).
Ed ecco Suglia, poeta “mediterraneo di Puglia”, come amava definirsi, nato nel 1921 nella cittadina del barese e morto a Roma nel 2018. Versi essenziali, poetica lieve ed altissima. Così Waldemaro Morgese nell’introduzione al testo: “La poesia di Suglia è stilisticamente in alcuni casi dolce, in altri molto aspra; l’andamento in alcuni casi è elegiaco o addirittura ridondante di affettività, in altri algido ed ermetico: pregno di riferimenti criptici”. Suglia scrive di una Mola che ama, che vorrebbe ribattezzare e chiamare Mola del Mare. Vicino a non pochi tra i grandi letterati del ‘900, fu apprezzato autore e regista teatrale.
Suglia scrive delle vite dei semplici, della vita da amare: la sua Mola è ancora al centro, in un rapporto quasi di amore e odio. Ma il paese è idealizzato, è un concetto, vale come realtà di vita comunitaria e va anche oltre Mola stessa abbracciando poi ironie, giochi dialettico-sarcastici, arie satireggianti, acrostici; composizioni con dediche a uomini e donne dello spettacolo, del teatro, dell’arte. Interessante la parte conclusiva, con amabili e ben riusciti haiku. Così recita uno: “Giro di luna,/gioca nuova la serpe/all’avventura”. E ancora: “Nella conchiglia/con il vento e i silenzi/di questa luna”. Suglia, allora, poeta della città degli uomini ma anche della bellezza candida di un lucore che nel buio della notte è guida. La bellezza della luna. E poi l’azzurro: “M’affaccerò alla finestra/a respirare il mio mare”. Perché si torna sempre alle origini.
In alto, una suggestiva immagine di Mola di Bari