Il premio Oscar Zbigniew Rybczyński e tre Leoni d’Oro alla carriera, Flavia Mastrella, Antonio Rezza e Giacomo Manzoni. Solo alcuni degli artisti che, nel corso degli anni, sono stati ospiti del Circolo del Cinema “Ricciotto Canudo”, fondato a Bisceglie nel maggio 2001 da Antonio Musci e Daniela Di Niso. Oggi, il cineclub, dopo alterne fortune, può riprendere la sua luminosa attività: si è aggiudicato, infatti, il bando “Italian Council” del MiBACT, classificandosi secondo, con 96 punti su 100, a pari merito con Istituzione Bologna Musei.
Riparte, dunque, con maggior entusiasmo e determinazione, l’impegno dei fondatori per promuovere e diffondere la cultura cinematografica e le arti visive, nella loro complessa relazione con le altre forme d’arte contemporanee. A Ricciotto Canudo si deve l’ormai celebre definizione del cinema come “settima arte” e sintesi delle arti tradizionali, capace di rappresentare la realtà non solo nel suo aspetto materiale ed esteriore, tradizionalmente oggetto della fotografia, ma soprattutto il mondo onirico e mentale, la vie profonde, intérieure che la poesia o il gesto teatrale non possono che “indicare” e la musica si limita a “suggerire”.
Con il loro (non) festival Avvistamenti, dal 2002 ad oggi Musci e Di Niso hanno esplorato la filmografia sperimentale di decine d’autori, dai più giovani a quelli di riconosciuta fama internazionale, facendoli dialogare e incontrare (fisicamente e non solo metaforicamente), sempre muovendosi su un terreno ibrido, fatto di contaminazioni fra linguaggi e media diversi. La prima edizione prese forma nel 2002 nella chiesa sconsacrata di Santa Margherita a Bisceglie, con una rassegna curata da Valentina Valentini, docente all’università La Sapienza di Roma, esperta di teatro, arte e nuovi media. Ma già dopo pochi anni Avvistamenti divenne itinerante, anche per la difficoltà di trovare un interlocutore istituzionale in grado di prendere davvero sul serio il progetto e sostenerlo attraverso l’attribuzione di risorse adeguate e di una sede stabile.
Un problema che si è riproposto con frequenza nel tempo. Nel febbraio 2011, dopo nove edizioni, Daniela e Antonio per la prima volta pensano di essere ormai al punto di porre fine al loro progetto. Ma le cose, per fortuna, non vanno così e il sostegno dei tanti amici del (non) festival convincono i due fondatori del Cineclub Canudo a proseguire nella loro idea che la Puglia non possa essere solo il luogo in cui venire a girare i film, ma spazio di un dibattito critico tra artisti, critici, curatori italiani e stranieri, in grado di riaffermare l’urgenza della visione, restituendo all’atto del guardare (e dell’ascoltare) la sua centralità, come già chiedeva il Cristo di Pasolini in quei 25 secondi di nero (che sospendevano la visione della crocifissione ne Il Vangelo Secondo Matteo) ad un popolo che aveva “indurito le orecchie e chiuso gli occhi”, per “non vedere con gli occhi” e per “non sentire con le orecchie”. L’edizione quell’anno si fece lo stesso, a Molfetta, con la rassegna Made in Italy, di cui fu ospite Carlo Michele Schirinzi, una presenza emblematica nel percorso, comune con quello di Daniela e Antonio, di resistenza “ai catastrofici tentativi di omogeneità ed alle, ancor più gravi, urgenze di nuove identità”.
Poi di nuovo, alla vigilia della quattordicesima edizione, in programma a dicembre 2016, le istituzioni locali si dimostrano ancora una volta disinteressate alla possibilità di custodire e tutelare nel proprio territorio la preziosa esperienza di laboratorio culturale e artistico portata avanti da Avvistamenti, decidendo di tagliare il contributo alla manifestazione, ridotto ad appena 2925 euro. Si rende, così, necessario un nuovo appello, a cui aderiscono nomi del calibro di Peter Campus, che con le sue sperimentazioni minimaliste sulla dislocazione spaziale e sulla visione multipla si afferma come pioniere della video arte negli anni Settanta, e Pierre Coulibeuf, il cui cinema, “dèmon du passage”, si pone il difficilissimo compito di trasporre forze appartenenti a opere già esistenti (di Pierre Klossowski, Michelangelo Pistoletto, Jan Fabre) in film-simulacri autonomi ed indipendenti, attraverso una “trasposizione di energia” e contenuto tra media che Avvistamenti ha sempre cercato di difendere. Anche per questo Rybczyński giunge ad affermare che “immaginare la Puglia senza Avvistamenti” sarebbe come immaginarla senza Castel del Monte. Come “Roma senza Cinecittà”, come il “neorealismo senza Rossellini”, come “Fellini senza Rimini”.
Ispirandosi al nome della “fabbrica di immagini e suoni” rilevata dal cineasta francese Jean-Luc Godard a metà degli anni ’70 a Grenoble, diventata poi il luogo di un profondo ripensamento dei “rapporti di produzione fra immagini e suoni”, nel 2013 il Cineclub Canudo inaugura la prima edizione di Sonimage, laboratorio di ricerca e formazione nell’ambito dell’audiovisivo, del cinema (anche di animazione), delle arti elettroniche (analogiche e digitali) e della musica contemporanea nel suo rapporto con le immagini, promuovendo la realizzazione di proiezioni e sonorizzazioni dal vivo.
Tra gli ospiti della prima edizione, Eugenia Tretti, sorella del regista Augusto Tretti, venuto a mancare proprio nel luglio di quell’anno. Il Cineclub Canudo aveva già dedicato a Tretti una precedente edizione di Avvistamenti e ancora oggi Antonio e Daniela custodiscono gelosamente i ricordi e le testimonianze di lunghe conversazioni telefoniche in cui il regista de Il Potere, “un fenomeno isolato o, peggio, da isolare”, come lo definì Flaiano, “il matto di cui ha bisogno il cinema italiano”, secondo Federico Fellini, si raccontava loro con grande generosità. Anche dopo la sua morte, i due fondatori del Cineclub non hanno mai smesso di diffondere l’opera di Tretti, con proiezioni e dibattiti organizzati presso il Laboratorio Urbano di Palazzo Tupputi a Bisceglie, che dal 2015 gestiscono con la consapevolezza che un simile spazio non possa essere ridotto ad un luogo in cui opere, quadri, sculture, vengono accostate senza criterio e messe in fila (luoghi dove “morte visioni sono allineate come bare”, diceva provocatoriamente Adorno), ma debba essere luogo in cui “raccogliere e moltiplicare le forme di creatività presenti sul territorio”. Seguendo due direttrici fondamentali: l’etica e la coerenza.
Adesso che il Cineclub Canudo ha vinto il bando “Italian Council” del Ministero dei Beni Culturali,Antonio e Daniela possono ancora una volta rivendicare di aver raggiunto l’ennesimo traguardo grazie solo alla bontà delle proprie idee.
Dei 19 progetti complessivamente finanziati in tutta Italia, la candidatura del Circolo del Cinema biscegliese è tra le uniche due provenienti dal Sud, la sola a non avere alle proprie spalle una istituzione museale “ingombrante”. Ad essere stato finanziato con 100.000 euro (dei 125 che ne servono) è un corposo progetto espositivo dedicato a Paolo Gioli, che sarà ospitato nelle sale del Three Shadows Photography Art Center di Pechino, con cui è stato stretto un partenariato internazionale grazie al lavoro svolto in questi mesi da Rosario Scarpato. Un progetto che il Cineclub Canudo insegue da circa 10 anni e che si concretizzerà nel 2021 nell’esposizione di oltre cento opere dell’artista italiano, attraversando 50 anni di attività di Gioli ed effettuando una ricognizione critica sul corpus della sua opera filmica, fotografica e pittorica, attraverso l’analisi delle “ambiguità, le ridondanze e le deficienze” dell’uomo senza macchina da presa, come lui stesso titolò un suo lavoro ribaltando il titolo vertoviano.
L’intero progetto, che sarà preceduto da una “anteprima” che si svolgerà in Puglia in una sede ancora da definire, è intitolato Paolo Gioli Antologica/Analogica – L’opera filmica e fotografica (1969-2019) e curato da Bruno Di Marino, che Gioli lo studia da anni e che con il Cineclub Canudo collabora proficuamente dal 2007, quando Avvistamenti dedicò la sua quinta edizione a Studio Azzurro, gruppo che più di altri ha tentato con le proprie opere, caratterizzate da una continua oscillazione tra elementi reali e virtuali, di costruire un contesto comunicativo che prevedesse la partecipazione attiva e non trascurabile dello spettatore.
Il lavoro svolto negli anni da Studio Azzurro, accettando in pieno la sfida tecnologica, così come quello di Rybczyński, che per decenni smise di fare film per dedicarsi alla progettazione di dispositivi che potessero servire a farne di nuovi e di migliori, sentendosi in costante “difetto” tecnico rispetto alle opere che avrebbe voluto realizzare, esprimono bene quello slancio inesauribile verso nuovi traguardi che ha caratterizzato nel tempo l’attività del Cineclub Canudo, tesa sempre “alla comprensione” prima ancora che alla divulgazione. Impegnarsi nel tentativo di capire è testimonianza fondamentale di amore verso il proprio lavoro e di umiltà nei confronti dei propri successi. Come affermava un bellissimo e folgorante verso da Le Ceneri di Gramsci: “Quanta gioia in questa furia di capire”.