“Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno. Ci sono molti maiali, e le anfore si portano in bilico sulla testa”. E poi, ancora: “Brancaleone, in fondo, ha l’aspetto di Santo Stefano Belbo e i ragazzi e gli uomini mi ricordano il tempo dell’infanzia”.
Cesare Pavese, tra gli autori più grandi della letteratura italiana di ogni tempo, non solo del ‘900, sapeva che l’arte della scrittura, del metter su carta le proprie emozioni, non poteva non incontrare lo sguardo dell’uomo. Uomini e genti che il nostro autore va a trovare nella Calabria remota di Brancaleone, nel reggino, terra che sorprende e che sorprese, per primo, anche Pavese. L’autore arrivò nel Sud profondo a causa del confino fascista, misura di restrizione nei casi di dissenso. Così, un po’ come accadde per Carlo Levi, piemontese come lui, che si innamorò della Lucania di Grassano e Aliano (in provincia di Matera), tanto da ambientare in quelle zone il suo capolavoro, Cristo si è fermato ad Eboli, allo stesso modo Pavese entra in contatto con questa civiltà. In punta di piedi. E allora Brancaleone, zona bella della Calabria che attende i suoi visitatori, merita una visita già per questo.
Scrisse Pavese: “Qui ho trovato una grande accoglienza. Brave persone, abituate al peggio, cercano in tutti i modi di tenermi buono e caro”. Ricaviamo queste parole dall’opera “Il quaderno del confino”. Ma anche il romanzo “Il carcere” ne parla. Un rapporto ad alti e bassi, quello tra l’autore e i paesani. Certo, Pavese difese apertamente l’onore dei calabresi, mettendo a tacere alla radice ogni leggenda circa, addirittura –si pensi!-, la “sporcizia” di questa gente. Arrivò e diffidò, partì e rimpianse. Come capita, quasi sempre, nei casi degli spiriti autenticamente liberi. Da vedere a riguardo un documentario realizzato nel 1967, a cura di Giuseppe Taffarel, dal titolo “Il confino di Cesare Pavese”, oggi reperibile in rete.
Da vedere è però anche Brancaleone, paese simbolo di quell’Italia interna che, tra mille difficoltà di ogni sorta, resiste e resiste sempre. Resilienza, resistenza? Chissà. Sta di fatto che questa fetta di Italia, espressione poi della sua vera spina dorsale, l’Appennino, sta sempre più conquistando curiosi e visitatori. Nel nome anche di curiosità storiche e letterarie come quella di Pavese. Una passeggiata a Brancaleone è forse, allora, quel che ci vuole. Nome curioso, tra l’altro. Vien quasi naturale pensare al gran film di Monicelli, oppure alle rispettive, esilaranti scene. E invece Brancaleone è lì: non parla, ma foss’anche già per il suo aspetto paesaggistico, apparentemente dormiente, è lì che ti invoglia. Cosa vedere tra queste mura? Innanzitutto, i luoghi della sua storia. Poi, quelli più propriamente legati alla permanenza di Cesare Pavese (agosto 1935 – marzo 1936).
Vediamo. Anzi, camminiamo. Siamo sulla sponda ionica, bel mare. Brancaleone ha infatti una bella e frequentata località marina, ma anche un suggestivo paese storico abbandonato, con ruderi della vecchia Bruzzano e della fortezza di Rocca Armenia. Brancaleone Superiore era il nome del vecchio borgo, dai primordi risalenti al VI secolo dopo Cristo. È stato definitivamente abbandonato nel 1953, dopo una brutta alluvione. Brancaleone Vetus, più correttamente, era il nome dell’antico centro, appellativo e toponimo usato per i paesi sorti a monte degli attuali centri costieri.
Determinante, per la crescita e poi per la stabilità di questa zona, il ruolo dei monaci che fuggivano, per la persecuzione musulmana o iconoclasta, dalla Siria, dall’Armenia, dalla Cappadocia, monaci che seppero arricchire la zona, in cultura. Tante grotte e croci caratterizzano l’area rupestre, a qualche chilometro di distanza dal centro urbano. Splendore derivato anche dal contatto con la natura, dunque. Non si contano, quindi, le affinità culturali, ancora oggi rinvenibili, con la cultura armena.
Emerge infatti che gli Armeni arrivarono in Calabria a partire già dal V secolo dopo Cristo e che erano soprattutto commercianti, soldati o nobili condottieri. Si insediarono anche nelle vicine Bruzzano Zeffirio e Staiti, confinanti con Brancaleone. Un tema, questo, che in poco tempo ha alimentato un crescente interesse di turisti, visitatori e ricercatori da tutto il mondo, alla ricerca delle tracce di una cultura antichissima (greca e armena insieme) che ha caratterizzato questo territorio: una cultura, forse, ancora ignota ai più. Tutte storie custodite come un tesoro autentico da Carmine Verduci, giovane e però già memoria storica della Proloco di Brancaleone.
Carmine ama visceralmente il suo paese e la sua terra. Si deve anche a lui la riscoperta di un così interessante patrimonio. Questo lembo di territorio oggi è più comunemente conosciuto con la denominazione di Valle degli Armeni: straordinario e stimolante ai fini di un viaggio che dica conoscenza, anche di altre culture. Ad aprile qui si ricorda infatti il tragico genocidio armeno.
Una visita merita decisamente il parco archeologico urbano di Brancaleone Vetus (istituito nel 2008 e di cui Verduci è sapiente guida e curatore, con altri privati cittadini e volontari), che testimonia la grandezza e l’interesse di questo territorio. Una sorta di “borgo fantasma” dove poter rivivere nel presente i segni di un passato, con tutti i suoi splendori e le sue difficoltà, lascito di secoli non di rado duri per chi li visse. Ecco poi la piccola edicola rupestre dedicata alla Madonna del Riposo, al cui interno si conservano parzialmente affreschi risalenti al ‘600, con rifacimenti settecenteschi.
La chiesa nuova del borgo conserva al suo interno l’antico altare barocco della vecchia chiesa “protopapale” del borgo (visitabile), un tempo arricchito da marmi policromi intarsiati. Interessanti anche i silos scavati nella roccia per la raccolta delle acque piovane.
Ma non dimentichiamo Cesare Pavese, ragione originante del nostro viaggio di qualche tempo fa in Calabria. Dove i “luoghi pavesiani” di Brancaleone?
Grazie alla gentilezza del signor Tonino Tringali, è possibile visitare la piccola dimora reggina dello scrittore, divenuta ormai meta di numerose visite, nonché sede per convegni culturali, reading letterari e mostre d’arte. La casa dove Pavese visse è dunque ancora in ottimo stato. L’abitazione conserva tutto: il letto, la scrivania, la lampada a carburo, persino i segni dell’umidità sul pavimento. La casa si trova su corso Umberto I (proprietà privata, ma come detto facilmente visitabile) così come l’ex hotel “Roma caffè” (edificio privato e invece oggi abbandonato). Ci piace ribadirlo: Pavese fu benvoluto dai suoi concittadini calabresi.
Restò persino affascinato e colpito da questa particolare ospitalità, tanto che, in una lettera alla sorella Maria, datata 27 dicembre 1935, scrisse: “La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca. La spiaggia è intatta. I colori della campagna sono greci. Rocce gialle o rosse, verde chiaro di fichi indiani e agavi, rosa di leandri e gerani, a fasci dappertutto, nei campi e lungo la ferrata, e colline spelacchiate bruno oliva”. Brancaleone, infine, nota storicamente anche come la Città dei Gelsomini, principalmente per l’estrazione della preziosa essenza poi destinata alla filiera dell’industria profumiera, oggi è conosciuta per la fiorente crescita aziendale e produttiva del Bergamotto, frutto unico che ha la particolarità di crescere solo nella fascia costiera da Reggio Calabria sino a Gioiosa Jonica. E le tartarughe marine “Caretta caretta”? Da citare anch’esse: qui nidificano tantissimo e così Brancaleone è anche “Città delle Tartarughe”. Da visitare, dunque, anche il Museo del Mare, in pieno centro.
Per conoscere meglio il borgo vecchio e tutta l’area di Brancaleone, nonché gli stessi luoghi legati a Pavese e la casa in cui lo scrittore visse, è possibile contattare la Proloco al 347.0844564 (proloco.brancaleone2011@hotmail.it). Le parole di chi, come Carmine Verduci, ama profondamente la sua terra, non vi deluderanno. Nel ricordo di Pavese e di un territorio affascinante, selvaggio, ricco di storia.