Svariate ricerche hanno dimostrato come, tra i vari incubi che possono popolare le notti di ogni individuo, ce n’è uno che mette i brividi solo a evocarlo: rivivere l’esame di maturità. Che il suo ricordo provochi sentimenti di orrore oppure di tenerezza nostalgica per i bei tempi andati, è innegabile che la maturità rappresenti una tappa fondamentale nel percorso di crescita di ognuno, un punto di raccordo tra il bambino/adolescente che si è stati e l’adulto che si vuole diventare. Da un lato, infatti, segna la conclusione di una carriera scolastica durata ben tredici anni e, dall’altro, è anche il primo vero esame che la vita ci mette davanti, a cui seguiranno innumerevoli altri (universitari e non solo).
Vale la pena, pertanto, chiedersi come i maturandi di quest’anno (classe 2001) abbiano vissuto quest’ultimo anno assolutamente fuori dall’ordinario e stiano vivendo questi primi giorni di esami, che eccezionalmente prevedranno solo un colloquio orale della durata di un’ora. A pesare su di loro, infatti, a partire dallo scorso marzo, non è stata solo l’ansia delle prove scolastiche da affrontare o l’incertezza del futuro, ma anche la difficoltà di vivere l’ultimo anno di scuola ai tempi di una pandemia mondiale che li ha privati della possibilità di frequentare le lezioni in presenza, di vivere la normale vita scolastica con i compagni degli ultimi cinque anni e, finanche, di sentire, con il cuore un po’ più leggero del solito, il suono dell’ultima campanella.
A questo proposito, abbiamo invitato tre maturandi a condividere le loro riflessioni su didattica a distanza, esami di maturità e futuro.
“Al di là delle competenze scolastiche l’aspetto più trascurato dalla didattica a distanza è stato quello sociale. Siamo stati privati del contatto con i nostri compagni di classe, fondamentale in un’esperienza scolastica che non miri solo a impartire nozioni ma anche a formare individui capaci di vivere in società. Allo stesso modo è venuto a mancare il confronto con i professori: non poter alzare la mano e intervenire durante le lezioni è stato per me un grosso limite che ha affievolito il mio interesse anche per le materie che più mi piacevano”, spiega Simone, 19 anni, studente del liceo classico Carmine Sylos di Bitonto ed ex-rappresentante nella Consulta degli studenti.
E prosegue: “Mi vergogno un po’ a dirlo, ma a volte ho deciso arbitrariamente di abbandonare alcune lezioni: questo atto equivarrebbe all’abbandono della classe nel bel mezzo di una spiegazione eppure non c’è stata una punizione e io stesso mi sono sentito meno colpevole. Di fatto, i professori non hanno avuto modo di controllare se davvero stessimo seguendo e questa cosa ha fatto venir veno, in parte, il senso di responsabilità che invece proprio a scuola dovremmo apprendere.”
“C’è però anche un aspetto positivo: la didattica a distanza mi ha dato il tempo e la flessibilità necessari per organizzare autonomamente il mio piano di studio, cosa che può tornare molto utile in ottica universitaria“, continua.
“Per il futuro, mi auguro che la scuola possa essere in grado di imparare dagli errori commessi e di risolvere al più presto le falle emerse in questo periodo anche grazie a maggiori investimenti. Se una situazione del genere dovesse presentarsi in futuro, spero che gli studenti non debbano trovarsi ad affrontare i nostri stessi problemi logistici ovvero difficoltà di connessione, di reperimento dei mezzi elettronici e di utilizzo delle piattaforme digitali“, conclude Simone.
Chiara, 18 anni, studentessa del liceo delle scienze umane Tommaso Fiore di Terlizzi, afferma: “Per me la didattica a distanza è stata un po’ caotica perché non tutti i professori hanno seguito lo stesso metodo: alcuni facevano lezione in diretta, altri registravano le loro spiegazioni e poi ce le inviavano e altri ancora ci rimandavano a specifici link di youtube e poi verificavano se avessimo appreso i contenuti con apposite domande. A partire da marzo, sono stati aboliti i compiti a distanza e siamo stati valutati attraverso un voto unico che dipendeva anche da alcuni fattori come l’assiduità nella presenza alle lezioni e la disponibilità ad accendere la webcam”.
“Considerando, però, le condizioni emergenziali in cui la scuola si è dovuta muovere, io direi che la DAD tutto sommato può essere promossa. Per il mio futuro ho tanti progetti, ma credo che comincerò a preoccuparmi dei test di ammissione all’università una volta finito l’esame di maturità: un problema alla volta!”, conclude.
“Forse sono l’unico a pensarlo, ma la quarantena, soprattutto nel primo periodo, non mi è pesata particolarmente: certo, mi è mancata un po’ la vita fuori dalle mura di casa, però allo stesso tempo ho potuto dar libero sfogo alla mia creatività e alle mie passioni”, osserva Emanuele, 18 anni, studente del liceo classico di Bitonto.
“I problemi sono cominciati a maggio quando gli esami di maturità hanno cominciato a profilarsi all’orizzonte. Credevo di avere tanto tempo per studiare, invece mi accorgo che i giorni sono passati veloci, gli esami sono qui e io sono stanco mentalmente. Buona parte dello stress che ho vissuto quest’anno -spiega- deriva dal fatto che le modalità dell’esame sono state chiarite meno di un mese prima dell’inizio della prova; tutto ciò dopo mesi in cui si sono rincorse le ipotesi più disparate. Una situazione che mi ha destabilizzato e fatto sentire perso. L’unica cosa che mi auguro ora è di fare del mio meglio durante la maturità e riuscire a ottenere un buon risultato”.