La storia di Bitonto risplende dell’opera dei suoi vescovi

Il nuovo volume di Stefano Milillo traccia un percorso unitario della diocesi, sottolineando il legame secolare tra la comunità cittadina e i suoi pastori

Se la storia di una città è la storia, soprattutto, dei suoi fatti, dei suoi accadimenti, di ciò che è sopravvissuto all’oblio, evidentemente, molto spesso, la storia è la storia delle strutture, delle realtà di potere, di ciò che esprime i segni di una solidità tale da sopravvivere alla storia stessa che passa.

Lo sa bene Stefano Milillo, presidente del Centro Ricerche di Storia ed Arte – Bitonto, socio fondatore nel 1968 del sodalizio, in più prolifico autore di studi dedicati proprio alla storia della città in cui vive e che profondamente ama. La città è Bitonto, naturalmente, inserita però in un territorio non di meno studiato dal nostro.

La copertina del libro “I vescovi a Bitonto” di Stefano Milillo e Mons. Aurelio Marena

Il suo ultimo volume, il ponderoso I vescovi a Bitonto, edito da Schena per la collana del Centro Ricerche di Storia Religiosa in Puglia, va ad unirsi alla sua ingente produzione bibliografica sulla storia e le storie di Bitonto, dei suoi uomini illustri (ecclesiastici o laici), dei suoi casati, delle sue bellezze artistiche, delle sue tradizioni, del suo patrimonio materiale ed immateriale.

La storia della chiesa di una città è la storia della città, quantomeno di una sua parte importante, in certi contesti dominante, influente. I segni di una possanza che tanto più si fanno energicamente e visivamente presenti in una comunità che è stata sede di diocesi come Bitonto. Magari talvolta persino in tempi in cui tra potere civile e potere ecclesiastico il confine si faceva sempre più impalpabile. Una chiesa ritratta in una sorta di ‘cammino’ in cui non rinuncia alle sue funzioni di guida e ferma perseveranza nella concezione di madre nella fede, certo in una sempre rinnovata pastorale, utile a comunicare il messaggio di Cristo nell’evolversi dei tempi e dei contesti sociali ma senza che siano questi a dettar, a tutti i costi, l’agenda alla chiesa.

Mons. Cornelio Musso, padre del Concilio di Trento (a sin.) e lastra tombale del vescovo Leucio nella chiesa di San Francesco della Scarpa

Il prof. Milillo cerca, allora, di raccontare questo percorso anche della chiesa di Bitonto, attraverso le figure dei suoi pastori. E lo fa con un’idea di cammino che segna anche la lettura del libro stesso. Sarebbe stato lecito aspettarsi un libro di mera consultazione all’occorrenza, un libro utile agli studiosi specialistici, in senso quasi limitante. Il volume, invece, segna un lungo tragitto attraverso secoli e figure umane, ma tratteggiate in modo dialogico, consequenziale, dinamico, così che il percorso stesso sembri (ed è) unico. Quindi, una storia della diocesi.

Una ricostruzione storica che serve alla città, così come serve sempre un lavoro di ricerca effettuato con metodo e consapevolezza. Non per allegare argomenti ad un tronfio orgoglio municipalista: piuttosto, per capire e carpire i fili di un discorso che, se è antico, non di meno guarda e deve guardare avanti. Ma urge la ricostruzione di quel ‘discorso’, di quello stesso passato comunitario. Ed ecco le strutture di cui si diceva all’inizio. Tra queste, nei territori, decisamente la chiesa, con i vari episcopati, con le figure straordinarie ed ordinarie tra gli uomini del clero secolare e regolare oppure tra gli uomini e le donne della spiritualità e del misticismo, così talvolta legati, nella storia italiana, ai territori stessi.

Mons. Giovanni Barba (a sin.) e Mons. Filippo Massarenghi

Le figure ecclesiali o del monachesimo o persino dell’ascetismo talvolta si sono incarnate in un’aderenza perfetta alle esigenze dei luoghi e così la storia, anche laica (diremmo soprattutto laica), di una porzione consistente di italianità molto deve, per presumibili ragioni, a queste dinamiche di fede. Un vescovo che emerge come ‘protettore’ di uno spazio, un santo medievale ritratto dai maestri del bello con la sua città turrita contenuta nella mano, una monaca claustrale che –fuor di grata- riesce ad esprimere un ruolo ‘sociale’ grazie alla venerazione di cui è già circondata in vita. Ecco che chiesa e città non solo non divergono ma, addirittura, sembrano coincidere. Tanti i momenti di una storia che viene da lontano, non facile dunque ripercorrere i passaggi.

“La frequenza dell’Archivio storico diocesano e il suggerimento più volte caldeggiato da parte di alcuni amici -scrive Milillo nella premessa al testo- mi hanno spinto ad intraprendere questo lavoro che pure avvertivo il bisogno di fare, se non altro per vederci più chiaro su molti momenti della storia dell’episcopato bitontino che sembravano contraddittori, campati in aria, privi di riscontri. La difficoltà nel reperimento delle fonti mi ha spesso dissuaso dall’impresa”. Elemento importante e decisivo quello dei riscontri documentali. La storia è sempre da interpretare e decifrare. Ancor di più essa è da riconoscersi nella sua materia storiografica stessa, pura, necessariamente slegata dal mitico o da quel nebuloso che sfugge alla definizione di certezze.

Mons. Girolamo Pallantieri (a sin.) e Mons. Giovanni Battista Fortiguerra

E se la storia talvolta certifica anche l’impossibilità, su certi passaggi, di pervenire all’assolutamente certo, altrettanto può e deve cercare quel che, secondo il rispetto delle fonti (e non della nostra mentalità corrente), appare più verosimile e credibile. Nonostante questo, “non tutti i dubbi dunque sono stati sciolti -continua l’autore-, mi riferisco al periodo che va fino agli inizi del quattrocento, quando le fonti diventano più attendibili e frequenti, tuttavia molti equivoci rilevati nella ricerca sono stati sbrogliati; sono venute fuori nuove figure di vescovi, mentre sono rimaste in ombra se non oscurate altre figure che la tradizione ha tramandato”.

Molto interessanti alcune considerazioni di Milillo sulla rilevanza di tradizioni consegnate dalla storia ai posteri. Si pensi alle immagini sui fondatori delle diocesi, spesso solo supposti o tramandati, pur sempre però prestigiosi quando non addirittura riferibili direttamente all’età apostolica o dei primissimi tempi dell’era cristiana. Non sfugge a questa tradizione anche Bitonto. Riprendendo un pensiero del medievista Pasquale Corsi, l’autore ribadisce come “la critica ha il dovere di operare, ed infatti ha operato, con severa acribia, distinguendo il vero dal falso”. Milillo aggiunge, però, che “le fonti agiografiche, o in ogni modo imprecise, non vanno rigettate ex abrupto.

Cattedrale, acquasantiera con stemma del vescovo G. B. De Pontibus

Nelle leggende si nasconde, comunque, un fondo di verità che bisogna andare certamente a ritrovare; fosse anche di natura psicologica. Per quel che riguarda, ad esempio, le origini della cristianizzazione delle città, si è avvertito il bisogno di fondare le proprie convinzioni sull’autorità di qualche personaggio celebre, a tutti noto e quindi indiscusso ed indiscutibile. La tradizione, la leggenda deve essere presa per quello che vale: è la voce del popolo che ha bisogno di conferme”. Non solo: “La tradizione, talvolta, può essere stimolo ad indagini e suggerimenti per eventuali percorsi da seguire; strumento, insomma, di teorie da verificare”.

Quel che non sempre appare documentabile attraverso l’idea tradizionale di ‘fonte’, allora, può essere giustificato in un contesto culturale, persino emotivo. Sarebbe poi lungo, da parte nostra, soffermarci su alcune figure del lungo ‘cammino’ proposto da Milillo attraverso i vescovi della storia della diocesi di Bitonto, sede episcopale che, come noto, dal 1818 diventa di Ruvo-Bitonto, città unite aeque principaliter, per volere del papa Pio VII, all’interno di un percorso di ridefinizione delle diocesi. Il vescovo è di Ruvo-Bitonto ma risiede in quest’ultima città. Un cambiamento ben più drastico avverrà poi nel 1982.

Bitonto perde la sua diocesi, perde il suo vescovo. Già nel 1978 Aurelio Marena, ultimo grande vescovo di questa diocesi (qui dal 1950), lascia la città. Un segnale dell’imminente sipario su di una lunga storia. Dopo qualche passaggio delicato e di certo non facile per i bitontini, la nuova diocesi assume l’ufficiale ed attuale denominazione di Bari-Bitonto. Siamo nell’ottobre del 1986. Tutto il resto sarà storia di momenti più vicini nel tempo. Milillo ci racconta anche questo ‘nostro’ tempo in un libro che arriva ad abbracciare praticamente i nostri giorni.

Nell’immagine in alto, mons. Marena benedice la prima pietra del nuovo Santuario dedicato ai Santi Medici