Ho pensato a lungo a come potessi disciplinare in poche scarne parole tutta la mia autentica gratitudine nei confronti del grande maestro Matteo Masiello; il mio affetto senza tempo, la mia ammirazione per un intellettuale consacrato sul panorama contemporaneo internazionale, un filosofo appassionato, un amico carissimo.
Ci siamo incontrati per la prima volta ad una sua personale, allestita negli spazi austeri e ancora praticabili dell’Istituto Maria Cristina, tanti anni fa. Ero una ragazzina impaziente di esplorare quel mondo così apparentemente incantato e turbinoso, che caratterizza le sue magistrali opere. Ma ero anche timorosa di incontrarlo, di comprendere fino in fondo il mistero di quella pittura così fascinosa eppure labirintica, che il mio taccuino immacolato stentava a interrogare. Temevo di non esserne all’altezza. Eppure mi feci trasportare dall’emozione. E non dimenticherò ciò che lui mi disse, dopo aver scritto la mia prima recensione al suo lavoro: “tu, così giovane, sei riuscita ad entrare nei mie quadri… che coraggio!” E da allora non ho più smesso di esplorarli.

Così, quello è stato solo l’inizio di un’amicizia speciale, di un rapporto di stima reciproca, senza anagrafe, di mostre, conferenze, confronti e collaborazioni autorevoli, come quella con l’università di Bari. Mi mancheranno molto le sue visite, i nostri dialoghi che si tramutavano in riflessioni sulla vita, sul senso dell’arte, sull’essenza, mentre mi mostrava di volta in volta i nuovi lavori nel suo studio. Esperienze che ho sempre considerato un “privilegio” sublime, eppure paradossalmente era lui ad essermi riconoscente, dimostrando la sua incredibile umiltà di uomo d’altri tempi, immerso in un incantevole universo in bilico, tra sogno e realtà.

Ciò che ho sempre apprezzato nelle sue opere, infatti, è la sua caparbia levità d’animo, il suo pervicace accenno fanciullesco, affondato in una sconfinata cultura trasversale. Un aspetto peculiare della pittura di Masiello, infatti, è proprio l’impegno di condurre il lettore dell’opera alla comprensione nel suo poliedrico divenire, con la consapevolezza di chi sa di non poter possedere ogni risposta.
“L’arte è un gioco, è l’eterna infanzia dell’uomo, ma anche l’unica fonte e forma di verità”: un leit motiv da lui sempre ripetuto, un monito, una chiave di lettura, affidata a chi vorrà approcciare la sua arte, superando l’euforia del colore e la schiettezza della forma, per andar oltre.

Le sue tele affollate potrebbero stordire un fruitore disattento, infatti, inducendo invece ad una rigorosa tensione chiunque vi si accosti col giusto animo, affrancato da stereotipi, immerso in tutti quei dubbi, angosce, inganni, sospiri, investigati con piglio perentorio ma lieve. L’autore, borgesianamente vinto del carattere quasi allucinatorio del mondo e dalle perplessità che attanagliano l’uomo di sempre, partecipa agli affanni quotidiani e ne distilla le infinite questioni. La pittura di Masiello è idea, giudizio, a volte dissacrante e satirico, meditazione e gioco.

La sua arte è soprattutto ciò che non si vede, un trionfo di illusione e inesorabile. Personalmente ho sempre dedicato i miei scritti a lui, che mai mancava di chiamarmi, puntuale, dopo aver letto ogni pezzo. E voglio ricordarlo così, fluttuante in quel respiro del divenire, di cui lui stesso si è fatto audace indagatore, testimone di quanto sia magnifica l’arte e i suoi capricci.

Nell’immagine in alto, l’opera “Il significato dell’inconoscibile”