Due le immagini che, in questi giorni di segregazione forzata in casa, si sono impresse nella nostra mente: papa Francesco, pellegrino per le deserte vie di Roma, la prima. La sua immagine bianca, con lo sguardo rivolto all’immagine miracolosa del crocifisso, nella chiesa di San Marcello a Roma, la seconda.
Con passo lento. Con il desiderio di portare a quel Cristo in croce da oltre duemila anni un mazzetto di fiori, deporli sull’altare e, muto, parlargli fissandolo negli occhi. Deciso e impacciato. Come quando, da piccoli si andava a casa della zia per il suo onomastico e i fiori li portava sempre il più piccolo della famiglia. Facevano più festa. Lì, nel silenzio di quell’antica chiesa, non c’erano auguri da fare. Ai piedi di quella Croce, c’era l’umanità della prima ora, l’umanità di oggi, l’umanità di sempre.
Fermo, prima in piedi, poi seduto, muto, con il cuore in tumulto, carico di fiducia, di fede, Francesco era lì, a fissare il Signore negli occhi, a parlargli a tu per tu. Immaginiamo cosa possa avergli detto.
“Basta, ti prego. Molti sono già morti. Molti soffrono. Con un soffio, questo virus, terribile e potente come un diluvio universale, sta ricoprendo la terra. Siamo impotenti, con i nostri mezzi che credevamo invincibili, che a volte si rivelano improvvisati e precari. Tanti i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari, i volontari che si prodigano generosamente fino allo spasimo per alleviare sofferenze improvvise. Mancano respiratori e letti con terapia intensiva. Tu, crocifisso sulla Croce, hai provato il dolore di chi non può respirare. Fino a morirne. Signore, questo è il mio venerdì di passione. Quello che tu hai preparato per me. Sono il Cireneo che vuole aiutarti ad alleggerirti del peso della Tua Croce che devo portare per Te fin sul Calvario. Ora, eccomi: sono qui, solo, sotto la Tua Croce. Affidasti a Tua Madre l’apostolo Giovanni: affidasti a lui la Chiesa. Oggi, come puoi ben vedere, non sono solo ai piedi della Tua Croce. Con me, qui, da Te, ho portato tutta la Chiesa. Siamo in una grande sofferenza. Ascolta il nostro dolore, la nostra preghiera. Gli sguardi di un’umanità smarrita sono tutti rivolti a me. Mi hanno chiesto di supplicarTi una tregua, di porre fine a questa situazione di dolore. Signore, ferma l’epidemia. Signore, fermala con la tua mano. Siamo già in guerra per tanto altro in tanti Paesi. Fa che non si aggiunga, Ti supplico, sofferenza a sofferenza. Il mio sguardo non si stacca dal Tuo viso. Tutti ricordiamo cosa fosti capace di fare, morendo in Croce, per noi. Non vogliamo il silenzio del sepolcro. Liberaci da queste sofferenze. Donaci la gioia della Tua Resurrezione”.
Sento che sia stata questa la preghiera che Francesco ha fatto ai piedi della Croce, ricordando con quanta fede il popolo romano si rivolse a quel crocifisso per far cessare la peste nel 593 e per far finire il colera a Roma nel 1837.
Oggi – come nell’Anno Santo del Duemila, quando papa san Giovanni Paolo II lo volle in San Pietro alla fine del Giubileo, nella Giornata del perdono – Francesco prega quel crocifisso, lo invoca perché a livello planetario finisca la pandemia del Coronavirus.
Ma egli rivolge anche a noi tutti, obbligati a restare barricati in casa, l’invito perché “in questi giorni difficili possiamo ritrovare i piccoli gesti concreti di vicinanza e concretezza verso le persone che sono a noi più vicine, una carezza ai nostri nonni, un bacio ai nostri bambini, alle persone che amiamo. Sono gesti importanti, decisivi. Se viviamo questi giorni così, non saranno sprecati. Capire che nelle piccole cose c’è il nostro tesoro. Ci sono gesti minimi che a volte si perdono nell’anonimato della quotidianità, gesti di tenerezza, di affetto, di compassione, che tuttavia sono decisivi, importanti… Sono gesti familiari di attenzione ai dettagli di ogni giorno che fanno sì che la vita abbia senso e che vi sia comunione fra noi.”
Francesco non si lascia sfuggire l’occasione per insegnarci a ritrovare le ragioni profonde della convivenza umana nelle piccole cose di ogni giorno, quelle che nel turbinio del nostro correre quotidiano non siamo più in grado né di capire né di realizzare.
Dalle macerie di questa grande tribolazione improvvisa e violenta può rinascere la vita e la fede. Francesco ci ha indicato anche come fare: con la preghiera rivolta in Santa Maria Maggiore a Maria Salus Populi romani. Una grande mediatrice in grado di far rinascere in tutti la speranza.
Nella foto in alto, Francesco prega davanti al crocifisso miracoloso della chiesa di San Marcello a Roma