Il karate scorre nelle vene

Salvatore e Fabrizio Cioce, responsabili della disciplina presso il Punto Sportivo di Bitonto, raccontano una passione che allena il fisico ma forse più lo spirito

Riuscire a instaurare con il proprio fratello un rapporto di pura complicità è una gran fortuna riservata a pochi. Ma condividere la stessa passione è un privilegio raro. Lo sanno bene i due bitontini Salvatore e Fabrizio Cioce (rispettivamente di 24 e 22 anni) il cui rapporto, fin dall’infanzia, si è potuto cementare attorno al comune interesse per uno sport ancora oggi troppo poco conosciuto nella nostra Italia “calciocentrica”: il karate.

L’amore dei due fratelli per questa disciplina è sempre stato talmente smisurato da influenzare le loro scelte scolastiche e professionali: dopo un’adolescenza trascorsa negli ambienti agonistici i due, infatti, hanno intrapreso il percorso universitario in Scienze Motorie (Salvatore si è già laureato mentre Fabrizio sta ancora studiando) e, attualmente, gestiscono da responsabili l’area karate della palestra Il Punto Sportivo a Bitonto.

Nonostante abbiano intrapreso la strada di istruttori solo da qualche tempo, il gruppo da loro seguito ha già ottenuto ottimi risultati, collezionando alcune medaglie regionali e qualificazioni agli Open (gare di qualificazione per la nazionale).

Ma questo è solo l’inizio, come assicura Salvatore: l’obiettivo è fare sempre meglio dal punto di vista dei risultati sportivi e anche di assicurare più notorietà – anche a livello locale – a uno sport avvincente e portatore di una cultura agonistica positiva, ma ancora di nicchia.

E dunque, proprio per un maggiore approfondimento sul tema, abbiamo intervistato Salvatore Cioce.

Come si articola il percorso di un karateka?

Ci si può affacciare alla disciplina già all’età di tre anni, ma ancora sotto forma di gioco. In questa fase, i bambini eseguono dei combattimenti – kumite singoli e kata in gruppo – che sono in realtà delle forme, ovvero performance valutate secondo criteri di forza, velocità, tecnica ed esecuzione. Dai dodici ai trentacinque anni si può combattere in maniera agonistica in categorie divise per peso e sesso: uomini e donne possono allenarsi insieme, ma gareggiano separatamente. Infine, dopo i trentacinque anni si può continuare a gareggiare nei master, campionati in cui le categorie sono differenziate in base all’età dei combattenti.

Come si struttura la disciplina sul territorio nazionale?

Noi facciamo parte della Federazione Italiana Judo, Lotta, Karate, Arti marziali (FIJLKAM) che si articola nei suo comitati regionali, tra cui ovviamente quello pugliese. Gli atleti che si distinguono nelle gare regionali, possono entrare nei circuiti nazionali e di lì aspirare alla partecipazione ai campionati europei e mondiali. Ma la vera grande novità di quest’anno è che il karate per la prima volta sarà alle olimpiadi, anche se il suo debutto come sport olimpico è avvenuto nel 2018 a Buenos Aires: per noi atleti è un risultato enorme perché in Italia abbiamo tanti campioni meritevoli tra cui Viviana Bottaro, prima karateka italiana ad essersi qualificata di diritto per Tokyo 2020. È un sogno che si avvera e che certamente darà maggior lustro al nostro sport.

Adesso parliamo un po’ di te: come vi siete avvicinati, tu e tuo fratello, al karate?

Da bambini, insieme, a distanza di un anno l’uno dall’altro. Da quel momento abbiamo percorso tutta la formazione insieme: allenamenti, gare, qualifiche. Una figura chiave nella nascita della nostra passione è stato nostro padre a cui, forse, sarebbe piaciuto in prima persona intraprendere questo percorso. Non si è limitato a indirizzarci verso il karate ma ci ha seguito sempre, in ogni appuntamento, e continua a farlo tutt’ora. Magari da piccolissimi abbiamo subito un po’ il fascino del calcio come succede a tutti, ma il karate è sempre stato il nostro grande amore.

Com’è stato il passaggio da atleta a insegnante?

Premetto che in questo momento non sto gareggiando, ma comunque mi alleno e niente mi vieta di ricominciare non appena avrò più tempo. In ogni caso, devo dire che il passaggio da agonista a istruttore è stato graduale, perché ho cominciato quando ancora combattevo, e naturale perché ho sempre pensato che la strada dell’insegnamento fosse la più giusta per me. Già quando ero solo un atleta fantasticavo sul mio futuro da istruttore.

Qual è il valore del karate nella crescita sportiva ma soprattutto personale di un bambino o di un ragazzo?

Io credo che il suo valore sia immenso. Non per discriminare altri sport, ma capita a tutti di guardare una partita di calcio e di assistere a uno scatto d’ira di un giocatore nei confronti dell’arbitro. Questo nel karate non può succedere perché il primo grande insegnamento di questo sport  è l’autocontrollo, anche di fronte a situazioni che ci appaiono ingiuste o spiacevoli. Il karate è anche in grado di infondere sicurezza in se stessi e nelle proprie capacità: nei combattimenti, infatti, si impara a individuare il pericolo e a gestirlo facendo affidamento sui propri mezzi. Infine, un altro valore che questo sport trasmette è la costanza nel perseguire i propri obiettivi: non esiste “il tutto e subito”, ma per raggiungere i diversi traguardi occorre lavorare duro. A me, crescendo, tutto ciò è servito tanto e, da istruttore, vedo riscontri nei bambini che seguo: magari arrivano insicuri ma, intraprendendo il giusto percorso, dopo qualche mese sono rinati.

Com’è la situazione del karate a livello nazionale e locale?

Stiamo vivendo un momento storico molto positivo perché il numero di quanti praticano questo sport è in costante crescita e ciò è dovuto, in buona parte, al sogno olimpico che finalmente è realtà anche per noi e ci regala grande popolarità. In ogni caso, lo sport più seguito e, dunque, più sovvenzionato e praticato in Italia rimane il calcio. Tanto, però, potrebbero fare le istituzioni per diminuire questo divario, in primis offrendoci maggiore attenzione. Anche a livello locale potrebbe farci comodo una maggiore visibilità. Certo, quando possiamo, siamo sempre felici di partecipare alle varie iniziative, come la Festa dello Sport. Tuttavia, non abbiamo spazi solo nostri come potrebbe essere un campetto da calcio. E, decisamente, ci meriteremmo una maggiore copertura mediatica.