La nostra generazione farebbe fatica a immaginare una realtà priva delle comodità offerte dalla società dei consumi: pur consapevoli che automobili, telefoni e televisori sono entrati regolarmente nella vita di tutti non più di settant’anni fa, persino ipotizzare un solo giorno senza il frastuono dei clacson, il bip meccanico che ascoltiamo in attesa che qualcuno ci risponda al telefono o il ronzio di una tv accesa ci farebbe un effetto straniante. Siamo così abituati ai rumori e alle distrazioni che riempiono i numerosi vuoti presenti in una giornata qualunque, da considerare impossibile vivere in una società silenziosa.

Eppure, i nostri nonni e i loro avi hanno popolato la nostra terra in modi che per molti di noi forse risulterebbero poco confortevoli; ciononostante, sono stati in grado di tramandare di generazione in generazione una solida cultura che ha resistito ai vari corsi e ricorsi storici e dà ancora oggi i suoi frutti: la cultura contadina.
Bitonto, perla della Puglia degli ulivi, ha una tradizione agricola e artigianale di notevole interesse economico, storico e soprattutto sociale: dall’estrazione dell’olio alla viticoltura, dalla falegnameria alla sartoria, gli agricoltori e gli artigiani bitontini si sono sempre distinti per diligenza, competenza e soprattutto passione per il proprio lavoro. E, nonostante l’avvento delle macchine e della tecnica più avanzata stia sostituendo l’intervento dell’uomo in molti processi produttivi, la memoria e la valorizzazione degli strumenti che hanno garantito il benessere dei nostri progenitori si rivelano un utile antidoto alla tecnocrazia, al dominio assoluto della tecnologia, nonché una necessità etica, visto il forte ruolo identitario che le radici agricole costituiscono per la città.

Dall’anno della sua fondazione, il 1968, il Centro Ricerche di Storia e Arte di Bitonto ha rappresentato un punto di raccolta dei tesori della tradizione popolare. Partendo dalla passione per il recupero di materiale che testimoniasse di fatti e stili di vita della città, alcuni giovani appassionati, come Stefano Milillo e Nicola Piglionica, oggi tra i principali protagonisti della vita culturale cittadina, percorrevano il centro antico alla ricerca delle incongruenze tra gli oggetti che balzavano ai loro occhi, come una chianca fuori posto, e i propri tempi: era lì, infatti, che si trovava la via d’accesso alla cultura degli avi tutta da (ri)scoprire.

Spinti dall’amore per la città, negli anni Settanta i due docenti hanno intensificato i loro sforzi, col contributo di tanti altri esperti e appassionati, e hanno fatto della propria curiosità un principio etico e politico (nel senso stretto di “condivisione con la comunità cittadina”): è grazie al loro impegno se Bitonto può vantare oggi un ricco patrimonio artistico e artigianale di eccezionale valore documentario, oltre che di grande valore economico.

In più di cinquant’anni, infatti, è stato possibile raccogliere materiali provenienti dalle botteghe, dai frantoi e dalle campagne di molte famiglie, donate dai discendenti per garantire a quegli strumenti di lavoro, nonché ai prodotti più pregiati, una vitalità che rendesse giustizia alle innumerevoli gocce di sudore versate dai loro antenati. Seggiolini, carriole, finimenti dei cavalli, riproduzioni in legno della città, abiti da sposa, uniformi militari, aratri, botti, pestatoi, fìscoli: è solo un elenco sommario dei beni disponibili, che è necessario ammirare e toccare con mano per averne un’idea.

Tuttavia, a garantire la vitalità di un patrimonio non basta il suo possesso: un piano di valorizzazione, che preveda un allestimento museale, sarebbe più che opportuno, se non doveroso. Centinaia e centinaia di oggetti preziosi non meritano di essere rinchiusi, senza una giusta sistemazione, negli antri polverosi di un edificio del centro storico; e se si pensa che lo stesso edificio fa parte del complesso della chiesa di San Giorgio (l’antica chiesa dei Santi Medici), chiusa da più di due anni per un restauro che procede a rilento, è comprensibile lo sconforto dei soci del Centro Ricerche.

“E’ dai primi anni del 2000 -racconta il prof. Piglionica- che nei verbali comunali si fa cenno all’esposizione museale dei beni da noi raccolti; ma subito dopo l’inaugurazione del Museo delle tradizioni popolari, avvenuta nel 2005 alla presenza di mons. Francesco Cacucci e delle autorità, siamo stati costretti ad abbandonare l’ex seminario vescovile, destinato a museo diocesano, e a trasferirci presso San Giorgio. E’ stata una faticaccia smontare suppellettili e trasportare i beni esposti. Da allora ci troviamo in una situazione di stallo, con una collezione che si arricchisce di continuo, grazie alle donazioni private ma senza uno spazio adeguato in cui collocarle e soprattutto valorizzarle”.

“La testimonianza viva del nostro passato contadino -spiega il prof. Milillo- è di vitale importanza per la cittadinanza bitontina: al di là delle tecniche di lavorazione dell’olio, del vino e delle attività artigianali, questi beni hanno un grande valore didattico e storico. Conoscere la storia di chi ci ha preceduto è necessario, ora più che mai: nella confusione dell’età contemporanea, tempo coniugato solo al presente, il passato costituisce la condizione per progettare il futuro”. “Le radici della nostra identità -prosegue- risiedono nella tradizione agricola che ci ha caratterizzati per secoli. Facciamo appello alle autorità e agli enti pubblici affinché questo patrimonio, che di fatto appartiene all’intera collettività, sia valorizzato in uno spazio adeguato, in cui mostrare al pubblico i beni raccolti in cinquant’anni di ricerca tra le case e le località più vicine a noi. Confido soprattutto nella forza dei giovani appassionati: che possano salire a bordo della nostra nave per continuare a scoprire ed esplorare i tesori della nostra terra, ancora disseminati per i vicoli e le case della città vecchia”.

Un appello che non può rimanere inascoltato per fare giustizia non solo alla pluridecennale attività dei ricercatori, ma soprattutto alle grandi e importanti tradizioni culturali e popolari che caratterizzano la comunità bitontina, e che hanno fatto della città dell’ulivo uno splendore che rifulge in tutto il mondo.
Nelle foto di Alessandro Robles, alcuni degli oggetti e degli strumenti custoditi presso il Centro Ricerche a Bitonto