In una società in cui la realtà – spesso e volentieri – si fonde con i nostri desideri, alimentati quotidianamente attraverso i social, siamo costantemente bombardati da immagini che scegliamo di apprezzare con like tattici o che scartiamo perché “non ci dicono niente”. Ma perché scegliamo un’immagine al posto di un’altra? Cosa stiamo cercando e cosa condiziona la nostra scelta?
Sono solo alcune delle domande che hanno portato il giovane bitontino, Francesco Albanese, ad interrogarsi su queste dinamiche, che ha vissuto in prima persona e che accomunano i giovani millennials che utilizzano i nuovi media per mostrare il loro talento.
Come altri coetanei, anch’egli condivide sui social i suoi lavori, ma quando i followers si ritrovano ad ammirare i suoi quadri dal vivo, spesso rimangono sorpresi dalle grandi dimensioni delle sue tele e dalla loro forza espressiva. Questa reazione mostra come spesso crediamo di conoscere un artista basandoci solo su ciò che mostra sui suoi profili, trascurando quanto sia emozionante e riflessiva la visione diretta di quegli stessi lavori. Un contatto che viene meno a causa dei ritmi frenetici e della nostra abitudine di consumare rapidamente la nostra vita, così voracemente da non riuscire più a godere a pieno di buona parte di ciò che ci circonda.
Da questa riflessione nasce la personale Non è Instagram, allestita nella galleria di Palazzo Roberti a Mola di Bari, organizzata da Rotary Club Rutigliano e Terre dell’Uva e fortemente voluta dal suo presidente Antonella Linsalata. Con questo titolo l’artista invita i visitatori ad andare oltre la falsa riproduzione delle immagini proposte dagli schermi dei nostri smartphone.
Francesco racconta che a dieci anni iniziò a seguire il primo corso di disegno nel suo paese, e di lì a poco capì che un giorno avrebbe studiato all’Accademia di Belle Arti, obbiettivo raggiunto e concluso appena l’anno scorso. Questo artista poliedrico è capace di spaziare dalla caricatura alle illustrazioni al fumetto, ma ciò in cui si riconosce è la pittura che gli permette di instaurare un dialogo più profondo con le donne che abitano le sue tele: modelle occasionali o di sua conoscenza che cerca di indagare e di svelare nel rispetto della loro intimità, alle quali affida anche una parte della sua vita e delle sue ricerche stilistiche, che lo hanno portato ad un punto di svolta proposto con forza ai visitatori del Palazzo.
Una parte della mostra è stata dedicata ai bozzetti, che mettono in evidenza tutta la fase preparatoria, ma anche il tempo e la sensibilità necessari per riuscire a penetrare la più banale apparenza e restituire l’essenza più vera dei soggetti ritratti. Un’altra parte, invece, ha dato ospitalità alle sue donne, maestose, dolci e fragili, rese nella loro semplicità con armonia, vivacità nei colori e pennellate delicate, capaci di instaurare un dialogo con l’osservatore.
Il percorso si è concluso con una sezione riservata alla produzione più recente, introdotta da una serie di studi preparatori. Da una parte, sono state collocate due tele in cui la figura femminile si staglia su due campiture diverse e contrastanti tra loro; sull’altro lato, due quadretti precedentemente dipinti con un colore diverso e ridipinti con un sottile strato di bianco. I soggetti di questi ultimi due lavori, sono risultati particolarmente interessanti: a differenza degli altri, con le loro tinte oscure, hanno voluto racchiudere la personalità e la storia del soggetto rappresentato, generando un contrasto sia ottico che concettuale.
Ma il vero punto di svolta è stato rappresentato dalle due tele al centro della parete, in cui il processo di annullamento totale dello sfondo figurativo viene portato a termine. In questi lavori lo sguardo è rimasto smarrito nel bianco totalizzante, asettico, opprimente e sovrastante facendoci concentrare esclusivamente sulla figura che lo abita: un corpo femminile nudo, reso con un realismo talmente definito, da sembrare una foto scattata ed incollata sulla tela. Privi di supporti visivi, questi corpi sono sembrati sospesi nel vuoto, in uno spazio mentale, da cui sembrano rivolgerci nuovamente la domanda di magrittiana memoria: davvero conosciamo la differenza tra realtà costruita e realtà autentica?
L’intera mostra può essere considerata una summa del percorso culturale di Francesco Albanese, che ci invita a riflettere sul nostro rapporto con l’arte, chiedendoci di fermarci ad osservare questi sguardi e lasciare che essi ci parlino. L’opera d’arte trova il suo compimento in questa relazione che è anche specchio della nostra società; ristabilendo un contatto con essa riacquisteremmo quell’umanità che ultimamente ha ceduto il passo alla paura, aumentando il divario e le incomprensioni tra noi stessi.