Quando Mirabella era un bambino, c’era un medico a Bitonto che si occupava con zelo e con affetto dei suoi pazienti, recandosi, all’occorrenza, a casa loro, senza costringerli ad estenuanti attese nella sala d’aspetto del suo studio. Si trattava, tuttavia, di una persona che incuteva un certo timore in tutti i bambini che, vedendolo arrivare, correvano a nascondersi. Michele, invece, era inspiegabilmente attratto da questa vecchio professionista, che nonostante l’apparenza, piuttosto burbera, e l’incedere lento e incerto, esibiva un fare e un eloquio molto rassicuranti.
Un dottore, che Mirabella chiama nel suo libro “don Ciccio”, uno pseudonimo molto familiare, che ha il merito di rendercelo subito simpatico. Questo personaggio è, in realtà, il simbolo di quel passato ormai lontano, fatto di tanti rimedi “casalinghi” (spesso affidati più al buon senso che a complicate e lunghe ricette di farmaci), con cui si affrontavano i problemi di salute, e che ancora oggi, per fortuna, sono in auge nelle case dei nonni. E’ l’icona della bellezza dei tempi andati, dolci e semplici allo stesso tempo, che la medicina e i dottori moderni hanno spazzato via, quale effetto collaterale del progresso.
“E se prima c’era don Ciccio, ora c’è il dottor Google”, afferma sardonico Mirabella: simbolo di un presente in cui il contatto umano viene sempre più “accuratamente” evitato, a discapito di una corretta diagnosi e di una cura appropriata che solo un medico vero, in carne e ossa, può fornire visitando di persona il paziente.
Tra i tanti meriti, don Ciccio ha avuto anche quello di aver instillato nel nostro scrittore una forte passione per i temi della medicina, assecondata con estenuanti e continue letture sull’argomento. Un interesse per una materia – così pesante per gli studenti che se ne occupano all’università – che lo ha portato ad affrontarne tutte le infinite sfaccettature nel corso di centinaia di trasmissioni televisive, e sinanche ad ottenere una laurea honoris causa dell’ateneo barese, e, infine, a riassumerne le principali scoperte, leggende e aneddoti in un libro dal titolo iconico, un po’ come il suo mentore putativo, “Quando c’è la salute. Storie vere o supposte: curiosità, miti e dicerie della medicina”, scritto insieme a Sandro Settimj e pubblicato da Libri Rai. Un volume che si nutre di tanti spunti e approfondimenti di temi desunti dal copione di “Tutta salute”, il programma condotto da Mirabella tutte le mattine su Rai 3.
Era un’epoca, quella impersonata da don Ciccio, in cui “la cultura si trasmetteva come un pettegolezzo”, ha spiegato Mirabella, nel corso della presentazione del libro alla Galleria Devanna di Bitonto. Un po’ quello che fa lo stesso scrittore, riportando storie di tutti i tipi su personaggi illustri, poeti, santi, musicisti, pittori affetti da malattie al tempo gravissime e che oggi, invece, con l’enorme progresso della medicina, appaiono di poco conto.
Mirabella racconta che Monet, il padre dell’impressionismo, soffriva di cataratta bilaterale (il che potrebbe spiegare, in qualche modo, il suo originale modo di dipingere) e che il termine “daltonismo” deriva da John Dalton, suo scopritore, che effettuò diverse ricerche sul disturbo visivo, forte del fatto che fosse una caratteristica di famiglia. E dovremmo ringraziarlo, perché altrimenti dovremmo parlare ancora di discromatopsia, termine di certo meno agevole, derivante da quei cari greci, cui Mirabella rende omaggio per le loro prime ricerche e scoperte, spesso ignorate nei secoli successivi.
E, ancora, che la tremenda sconfitta di Napoleone a Waterloo sia derivata proprio da un problema, diremmo “tecnico”, che obbligò il grande condottiero a rinviare l’attacco e, per giunta, a non poter osservare il campo di battaglia, rinchiuso com’era in una carrozza, alle prese con una dolorosa infiammazione delle emorroidi. E immaginate se, davvero, l’esito della battaglia che decise il destino futuro dell’Europa, sia legato proprio al deretano di Napoleone!
Nel libro viene pure raccontata l’origine dell’inno inglese, “God save the queen”, in realtà riconducibile all’idioma francese e dedicato al Re Sole, anch’egli con un problema imbarazzante che fu efficacemente risolto dalla mano ferma di un chirurgo e dal suo bisturi. L’Inghilterra, insomma, deve il suo celebre inno a questo fortuito evento. Partendo dai nostri cinque sensi e, poi, procedendo con altre parti del nostro corpo, Mirabella ci parla di Beethoven e della sua sordità, di Edith Piaf e dei suoi problemi d’artrosi, dell’artrite di Renoir, degli attacchi di panico di Charles Darwin, dell’Alzheimer di Rita Hayworth e del tracoma di San Francesco, che morì perché obbligato a farsi operare, quando invece sarebbe stato sufficiente che si sciacquasse bene il viso per eliminare l’infezione dagli occhi.
Una serie di racconti brillanti, vivacissimi, appassionanti, che spingono e obbligano alla lettura, facendoci conoscere un lato inedito dei luminari e di tanti illustri pazienti dei secoli scorsi. Quel passato che Mirabella spesso ci restituisce in chiave personale e familiare, citando la signora “dabbasso” e le signorine “disopra”, che contribuivano a costituire, con la figura di don Ciccio e di tanti altri personaggi, la “corte” magica ed onirica di un’infanzia semplice ma straordinaria, vissuta tra le strade e i palazzi del centro antico di Bitonto.
“Quando don Ciccio si fermava a casa dei suoi pazienti, li accarezzava, teneva loro compagnia, sorseggiando un caffè, e nel momento in cui si congedava, a chi gli chiedeva di indicare un compenso per il suo servizio, rispondeva laconico: ma pensa alla salute! La parcella poteva aspettare”, ha concluso Mirabella, con gli occhi lucidi di ammirazione per quel vecchio dottore e di infinita nostalgia per quei tempi che non tornano più.