La magia della Sardegna è nel respiro della storia

Lontano dai soliti percorsi turistici, i nuraghi, testimonianza della più antica civiltà, esercitano un richiamo irresistibile per chi voglia cogliere lo spirito dell'isola

Dici Sardegna e dici scoperta del luogo culturale, paesaggistico e antropologico in sé, scorgendo bellezze talvolta anche fuori dal flusso turistico “naturale”, quello rivolto, molto spesso, alla massiccia fruizione delle ambite e arcinote località marine.

Esistono invece posti di una Sardegna interna e profonda, anima ancestrale di un territorio. È, in realtà, la Sardegna più nota nell’immaginario collettivo e storico. La Barbagia e il suo vecchio codice, le miniere di Carbonia, la presunta rudezza e “ottusità” di un popolo coriaceo e quasi “geloso” di sé.

Questa è per noi la Sardegna da desiderare, laddove si imprima al viaggio la necessaria dimensione di scoperta delle radici di un territorio. Siamo stati recentemente in Sardegna alla scoperta di paesaggi, borghi, realtà storiche delle sue antiche vicende umane.

Foto Gianni Alvito

Tra i posti visitati, spazio per questa volta a due località dell’oristanese, molto vicine tra loro, dall’afflato comune, un substrato – lo sottolineiamo ancora una volta – prettamente antropologico. È l’umano che traspare perfettamente proiettato dalle imponenti strutture della civiltà nuragica, per fare l’esempio massimo a livello simbolico e identitario per questa terra. Siamo stati al Nuraghe di Losa, ad Abbasanta. Uno dei meglio conservati della Sardegna intera. E come respira l’anima sarda proprio qui!

“Nuraghe delle tombe”, questo il significato del suo nome: nurache ‘e losas. Possente il fascino, così come il silenzio d’attorno: uno dei luoghi più simbolici a livello europeo per questa particolare cultura del nuraghe. Una cultura studiata da secoli e che qui, su questo altopiano basaltico a cinque chilometri dal paese di Abbasanta, sembra come darci completo e felice appuntamento, riempiendo di stupore chi osserva e studia.

Foto Fabio Mura

Uno “studio” che è qui profondo e leggero insieme, alla maniera calviniana: si studia l’area, l’aria; si avverte un richiamo storico. Verrà poi il momento del libro e dell’approfondimento scientifico e storiografico (o, magari, può anche precedere il viaggio stesso). Qui l’incanto dettato da una bellezza consapevole del suo portato. Un’architettura perfetta, raffinata, benissimo conservata. Attorno i resti di un esteso insediamento, documentato fino al medioevo. A dominare la vista è anche la straordinaria “macchia”. Ineguagliabile pace.

Le tombe del nome non sono che le urne cinerarie romane che da queste parti venivano scavate nella roccia. Compiutamente funerario fu, infatti, l’uso romano dell’area. Una certezza, esito di scavi archeologici che qui sono partiti già dal XIX secolo. La struttura del nuraghe è davvero imponente, tanto più nella sua scenografica solitudine attuale: silenzio, possanza, l’eterno della storia. Che dire del complesso, in senso strettamente materiale ed architettonico? Il nuraghe, trilobato e costruito in basalto, è databile al periodo del bronzo medio, XV-XIV secolo a.C.

Foto Gabrile Calvisi

Qui, poi, anche i resti di un villaggio di capanne, datato invece all’età del ferro, XIII-IX a.C. Non si può spiegare, in un comune articolo di viaggio o di racconto di luoghi, il fascino che emanano questi importanti resti dell’altrettanto importante civiltà nuragica, come noto inseriti dall’Unesco nella lista dei beni patrimonio mondiale dell’umanità. Il nuraghe di Losa ha spazi molto larghi al suo interno, garantiti dall’eccezionale massa compatta, in straordinario stato di conservazione.

Il mastio principale è alto 13 metri. I resti delle case attorno, oltre che risalenti all’età nuragica, sono tardo-puniche, romane e così via fino all’età bizantina. Poco più in là anche i monumenti funerari collettivi: ecco la tomba di Giganti (come sono chiamate in Sardegna i tumuli di comunità), oggi smantellata rispetto alla sua edificazione originaria. Ci spostiamo solo di pochi chilometri.

Il Pozzo di Santa Cristina

Ancestrale e mitico-sapienziale anche il Pozzo di Santa Cristina, a Paulilatino (Oristano), dagli studiosi, nel corso dei tempi, descritto ora come “il culmine dell’architettura dei templi delle acque”, “equilibrato nelle proporzioni e razionale nella composizione geometrica”, ora come “l’area nuragica sacra per eccellenza”.

Di certo, il più preciso e mirabile caso di edilizia cultuale nuragica, in un territorio pienissimo di esempi importanti in tal senso. Solo a Paulilatino, ben 110 i siti nuragici. Siamo nel 1000 a.C., anche qui su un altopiano basaltico; adiacente la chiesetta di Santa Cristina (XI secolo). Caratteristiche le tante casette vicine l’area, le cosiddette muristenes, luoghi che ancora oggi ospitano i pellegrini durante le novene, a metà maggio, in onore della santa, ma anche a fine ottobre, per l’Arcangelo Raffaele.

Vista di Paulilatino

Due gli spazi dell’area archeologica: nella prima ecco il tempio a pozzo, risalente al Bronzo finale (XII secolo a.C.), attorniato da un recinto sacro (themenos), gioiello geometricamente perfetto (vestibolo, scala, camera con volta a falsa cupola ad anelli concentrici –il tholos-). Stupendo il vano a scala, trapezoidale, con i gradini (25) che, anche visivamente, si restringono fino all’ambiente sotterraneo, con sensazione di scala rovesciata.

Culti delle acque, una falda continuamente alimentata: la Sardegna profonda, che più profonda non si può, è qui. A pochissime centinaia di metri, ecco invece il Nuraghe Santa Cristina, ancora più antico (XV sec. a.C.). E siamo, del resto, vicini ad Abbasanta e al nuraghe Losa. Sardegna, Sardegna magica.

In alto, foto di Gianni Alvito