Frange. Disegni parlati è il progetto editoriale, pubblicato da Edita Casa Editrice & Libraria, che l’artista Ezia Mitolo ha presentato alla galleria Nuova Era di Bari: un turbinio di silenzi e urla sommesse, protagonisti e grandi esclusi, un percorso in cui l’autrice si mette a nudo tra verso e immagine, esplorando i più remoti anfratti dell’essere. Ogni poesia fluttua, allude, manifesta e cela. Attraverso una soave e impietosa poetica del frammento – boato, stasi, attesa – l’artista imbastisce un racconto sofferto e remoto di una complessa metamorfosi emotiva, che sfugge, penetra, si annida e timidamente germoglia. Per comprendere meglio il senso di questa nuova e originale avventura creativa, che sarà proposta all’attenzione del pubblico in occasioni e sedi diverse, in giro per il Paese, abbiamo intervistato l’artista, che, con ampiezza e profondità di argomentazione, unita ad una rara capacità di analisi introspettiva, ci ha svelato il significato più profondo e complesso del suo lavoro.
Ezia, il processo creativo alla base del tuo lavoro è in continua trasformazione…
Tutta la mia poetica è legata al corpo e al nostro complesso mondo interiore. Attingo alle emozioni più profonde e nascoste, agli intimi passaggi, le nutrizioni, metabolizzazioni e trasformazioni di dentro; al nostro intimo dinamismo psichico, al continuo trasformarci in qualcos’altro. Siamo in perenne evoluzione interiore: moriamo e rinasciamo ogni istante. Io scavo dunque, e mentre lo faccio, precipitata o immersa nel centro di me stessa, fermo negli occhi quello che “vedo”, “visualizzo”, per poi risalire e “raccontare”. Dall’astratto di dentro, al corpo fisico. Generato dalla perfetta simbiosi tra le pulsioni più vere e profonde e lo stimolo esterno che l’ha originato, l’immagine di esso risale da dentro come un forte impulso, urta e spinge perché deve venire fuori, necessariamente, e a tutti i costi; diventando oggetto emotivo si trasforma in forma e corpo tangibile. Rivelandosi fuori mi espone al mondo, mi lega ad esso attraverso lo sguardo del fruitore e attraverso gli occhi di me stessa. Alle volte quello che “vedo” è doloroso e mi spaventa, ma il dolore non è un veleno, è una condizione esistenziale sempre pronta ad insegnarci qualcosa e trasformarsi in nuova poesia. Mi diverte dire che idee ed intuizioni “mi arrivano”, è proprio così, io non faccio altro che assecondarle, dare loro aria, soffio, e quelle comandano le mani che si mettono subito al lavoro.
Parlaci del tuo ultimo progetto installativo, ancora una volta un concentrato di pulsioni diverse, suggerite mediante un linguaggio artistico complesso e multiforme…
L’ultimo mio progetto installativo del 2019, presentato per la prima volta a Los Angeles, immediatamente successivo a quello editoriale del libro Frange, dal titolo Madre pensiero, può essere considerato un esempio concreto del risultato estetico di questo processo. Madre pensiero è un’installazione a parete dalle dimensioni considerevoli, che può cambiare ogni volta adattandosi allo spazio che la contiene. È composta da un grande disegno a pastelli, una madre-matrice-pensiero che nel pieno della propria spinta emotivo/intellettiva genera “figli”, sculture in terracotta e cera; segni grafici disegnati a carboncino direttamente sulle pareti, partono dalla madre come fossero “cammini di pensiero”, tentativi di cercare nuove possibilità, nuove soluzioni; di avviare trasformazioni e cambiamenti, indagando intanto, aspetti ignoti del proprio essere. Nel momento psichico più vero e profondo, una volta scoperta/trovata la loro collocazione, i segni si fermano e si fanno “corpo” nelle sculture a parete: i “figli”, le idee, hanno trovato il loro motivo e modo di essere, la loro nuova “casa”, una nuova vita autonoma, divenendo elementi identitari a sé, votati alla libertà e indipendenza.
Com’è noto, una delle caratteristiche peculiari del tuo lavoro sta nella pluralità delle tecniche utilizzate. C’è, tuttavia, una modalità espressiva che preferisci?
Utilizzo nel mio lavoro diversi linguaggi, dalla scultura al disegno, dalla fotografia al video, dalla scrittura alle video/performance, fino alle interazioni con il pubblico. Sono molto curiosa e pronta a sfidarmi, sempre, e amo il metodo della ricerca. Ogni linguaggio estetico è legato all’esigenza del momento di voler esprimere/raccontare in un tal modo piuttosto che in un altro quello che spinge. Il mio processo creativo è prevalentemente “iperattivo” – in senso buono ma anche ansiogeno – vulcanico, impetuoso, curiosamente caotico per chi mi guarda da fuori, ordinato per me, che invece mi danno per avere sempre tutto sotto “controllo”.
Il tuo libro è un po’ come metterti a nudo… Dove fluttuano queste frange?
Sì la parola scritta è di una onestà inconfutabile e quella di sentirmi all’improvviso terribilmente nuda è stata proprio la sensazione che ho provato dopo aver spalancato, impaziente ed eccitata, il primo cartone contenente le copie stampate. Se avessi dovuto rispondere in quel preciso momento alla seconda parte di questa domanda, avrei ribattuto di gradire che quelle frange libere, fluttuanti, sinuose e morbide si tessessero rapidamente in una grande coltre per avvolgermi e proteggermi proprio da quella nudità inaspettata e disarmante che sentivo piombarmi addosso annullando i vestiti. Dopo aver afferrato il primo libro tra le mani, infatti, emozionata come una bambina davanti ai regali di natale, “oggetto libro” da toccare, specchio mio, da odorare, sfogliare, guardare, leggere, penetrare, gli occhi sono caduti sugli innumerevoli multipli che, tutti uguali e tanti, tantissimi, giacevano silenziosi nel cartone, quasi a dirmi: “…e quindi, noi…?”. È stato in quel momento che è arrivata la consapevolezza, è saltato in testa, fulmineo, il pensiero dei viaggi futuri che da lì in poi avrebbero intrapreso finendo in altre mani, conosciute e sconosciute, in altre menti, occhi e luoghi a me ignoti.
Si può dire che questa ultima fatica artistica prosegue il lavoro di scandaglio personale a cui ci hai abituati?
Lavoro nelle arti visive mettendomi a nudo da decenni ormai con la mia ricerca così incentrata sulle pulsioni dell’essere più nascoste, scomode e complesse, ma questa volta è stato diverso: l’ “immagine” interiore, anche la più profonda e personale, manifestata con una scultura, disegno, performance, è sempre e comunque analizzata e concettualizzata in una dimensione paradossalmente più “astratta” che lascia un ampio margine di libertà interpretativa al fruitore. E’ subordinata comunque ad una lettura sempre filtrata dalla sua propensione; nei suoi occhi e psiche, prende inevitabilmente un’altra strada, tutta sua, a volte anche completamente diversa; la parola invece è quella, è diretta, non ha troppi margini, è quella e basta nel suo significato inconfutabile, nudità pura; il linguaggio scritto è decifrabile da tutti, tutti sanno leggere. Il nome “Frange” nasce dal titolo di una poesia contenuta nella raccolta, l’aggiunta del sottotitolo è scaturita dall’esigenza di indicare la presenza anche dei disegni, per me fondamentale, e di puntualizzare, nell’espressione ideata “disegni parlati” l’indissolubilità delle parole con il segno grafico, come scrive, nella postfazione al volume, la storica dell’arte Cristina Principale. È anche per questo che non considero appropriato il termine “illustrazione” per la tipologia indicata di questo progetto, ed ho valutato la parola composta “disegni parlati”. Le frange fluttuano, sono movimento, prolungamento, diramazione, la frangia ha un corpo centrale (in questo caso, un cuore) che muovendosi verso l’esterno si sfalda, si sfilaccia protendendosi più lontano, aggrovigliandosi anche; la frangia che si prolunga e si estende è desiderio smanioso di spingersi oltre, desiderio di raggiungere una meta possibile. E mentre le frange si muovono, intanto “sono”, sono impulso, emotività, tensione, cambiamento, metamorfosi in infinite forme diverse: lo stesso movimento che avviene nella nostra psiche, consapevole o inconsapevole che sia. “Frange.disegni parlati” è un nugolo cangiante di moti interiori.
La tua poetica spesso fugge. Cosa cerchi di afferrare?
Tutto il mio lavoro si sviluppa in frammenti che hanno un movimento di tensione verso l’esterno, in scultura. Prolungamenti articolati si protendono nello spazio dislocandosi da corpi centrali, i disegni sono sempre interrotti sui margini, così come accade anche nel libro Frange. Nulla si blocca nell’attimo della fine, piuttosto è “fissato” durante la sua metamorfosi; perché tutto è in continuo movimento, tutto può cambiare, morire e rigenerarsi in un nuovo possibile, come sottolinea la storica dell’arte Luciana Cataldo nell’introduzione al libro. In una ricerca tesa tra continue apnee e riemersioni, cerco di “afferrare” un equilibrio, un “ordine” possibile che acquieti e disciplini il rumore perenne di dentro. Rumore che appartiene a tutti, volenti o nolenti.
Ogni poesia ha la sua faccia… Le tue di cosa sorridono?
Ogni poesia ha la sua “faccia” nel senso che ogni poesia è la traduzione in testo di un’immagine interiore che, prima ancora della parola che le dà un nome e significato semantico, arriva alla mente mentre vivo una condizione psichica particolare e profonda. Quel sentire mi sale da dentro al petto trasportandomi nel battito più intimo e vero di me stessa assumendo una “forma” diventando scena che vedo chiara davanti agli occhi. Solo successivamente, quando ho “visualizzato” tutti i suoi contorni e sfumature, quell’immagine interiore diventa parola, poesia. E non mi posso sbagliare, la sua faccia è quella e basta. E’ lo stesso processo che si compie quando lavoro sulle sculture, disegni e tutto il resto. Quando ho iniziato a lavorare sul progetto del libro, avevo già le poesie, era una selezione di 40 testi scritti negli ultimi sette anni. Realizzare i disegni per ciascuna di esse, è stato facilissimo, ognuna aveva già “la sua faccia”, il suo aspetto, la sua fisionomia, io dovevo solo ritrarla. Tutta la parte progettuale composta da bozze grafiche, appunti di strutture del libro, post it scarabocchiati, scatti fotografici che ho prodotto durante tutto il lavoro durato mesi, oltre alle tavole originali di tutti i disegni, sono stati oggetto della mostra allestita alla galleria barese Museo Nuova Era. Le mie poesie, a dire il vero, sorridono poco, ahimè!, perlomeno quelle presenti in questo libro per il quale è stata compiuta una scelta tematica assieme alla curatrice della collana, la scrittrice e poetessa Mara Venuto, che ha saputo cogliere quanto la mia poesia “somiglia a un ganglio, un grumo, che si mostra orgoglioso nell’intersezione dei capillari della vita, finché, un giorno, si apre, e il dolore attualizza l’esperienza routinaria, convogliando ogni esigenza verso un’analisi salvifica del senso che, nel caso dell’autrice, si incarna nella poesia e nell’arte”. Possono sorridere di speranza le mie poesie, quello sì.