C’era una città che tra metà ‘800 e primo ‘900 doveva darsi ancora un tono. Un tono da capoluogo che aveva appena finito di soffrire una capitale. Il capoluogo era Bari e la capitale, ormai persa con l’unità d’Italia, Napoli. Quella Napoli importante città europea e mondiale tra XVIII e XIX secolo, che indubbiamente andava scontando i ritardi di una politica non sempre perfetta, e che in pochi decenni sarebbe stata derubricata a mera provincia del meridione del nuovo stato unitario.
Da qualsiasi parte si veda la stagione risorgimentale, è un fatto indubbio che Napoli vide drasticamente ridotto il suo spazio vitale, la sua antica pregnanza di ex capitale. Anche in questo quadro si spiega l’arrembanza borghese di Bari, che deve costruire, col mattone ma anche col cervello, un suo ruolo. Ma gli è che la città costiera e mercantile ebbe bisogno ancora della provincia più interna. Questo è successo con costanza in quegli anni.
I Laterza, Armando Perotti (tra gli storici più importanti di sempre sulle vicende di Bari), il sindaco Sabino Fiorese, il podestà e anch’egli gran ricercatore storico Michele Viterbo: tutti provenienti da paesi della provincia. Anche la città di Bitonto seppe offrire il suo contributo. Trovi così, nei primissimi anni del ‘900, due sindaci baresi di origine bitontina: Giuseppe Capruzzi e Giuseppe Capaldi (al primo, sindaco per tre mandati, è intitolata la famosa estramurale). E la cultura, l’arte, la musica, il teatro? Dicono nulla, partendo già dal secolo precedente, i nomi di Angelo Cicciomessere (poi Messeni), Pasquale La Rotella, Giovanni Capaldi, fino poi al grande maestro Vincenzo Bellezza?
Potremmo persino allargare il discorso alla politica nazionale e ad altre zone della Puglia, fugando ogni dubbio circa supposti rischi di orgoglio municipalista da parte nostra. Ma come non pensare al fatto che, tranne qualche eccezione socialista (Formica, Signorile), poi Bari, quando ha dovuto farsi rappresentare ai più alti livelli della politica nazionale, con Aldo Moro e Pinuccio Tatarella, ha dovuto farlo con un salentino e un cerignolano? Riflessioni a voce alta. Domande. Ma eccoci ad un grande nome. Eccoci cioè a Giovanni Capaldi (6.10.1889-7.7.1969), esponente di una famiglia di origine bitontina, figlio del citato sindaco di Bari. Giovanni è stato un protagonista assoluto del mondo musicale barese. A lui si devono tantissime cose. Lo ricorda una mostra allestita al conservatorio “Niccolò Piccinni”, egregiamente curata da Maria Grazia Melucci, musicologa e presidente dell’Istituto di bibliografia musicale di Puglia, docente e bibliotecaria dello stesso conservatorio.
Capaldi, scrittore, giornalista (collaboratore per decenni della Gazzetta del Mezzogiorno) ed intellettuale a tutto campo, è stato colui che più si è battuto per la nascita di un conservatorio a Bari, solo dopo tante lotte convertito nella struttura che ben conosciamo e intitolata ad una gloria del ‘700 musicale pugliese. Capaldi fu direttore del conservatorio per poco tempo, passando poi la mano proprio al bitontino Pasquale La Rotella. Intanto, nel 1955, a Capaldi sarà conferita la medaglia d’oro da parte dell’amministrazione dell’allora liceo musicale “Piccinni”.
“Molti anni, forse troppi, sono passati per tornare a riflettere sulla figura di Giovanni Capaldi, per ricordarlo a chi lo conobbe ma, soprattutto, per farlo conoscere a tanti giovani che oggi traggono beneficio, senza saperlo, dal frutto della sua storica impresa”, così la ricercatrice Melucci. È stata, del resto, Maruzza Capaldi, la figlia più piccola del maestro, a volere fortemente che il cinquantesimo anniversario della scomparsa non passasse in silenzio. Da qui la mostra biografica per raccontare la vita straordinaria di suo padre “nella dimensione inedita dell’impegno educativo e civile dell’intellettuale”, come ha chiarito Melucci.
Il progetto del conservatorio nella sede di villa Lindemann-Bucciero, le tante difficoltà, i ritardi, le delusioni. Giovanni Capaldi è dentro questa suggestiva storia culturale di una città che provava a pensare in grande. La mostra attinge esclusivamente alle memorie – fotografie, lettere, vecchi libri, cartoline, ritagli di articoli – conservate dalla famiglia Capaldi in un archivio privato che porta il nome dell’illustre congiunto. Lettere con i grandi dell’epoca, articoli di giornale, foto-rarità. Pannelli ben realizzati. Una mostra da vedere assolutamente, in cui s avverte l’eco di Benedetto Croce, Pasquale Villari, Gaetano Salvemini, Giuseppe De Robertis, Domenico Oliva, Sem Benelli, Ildebrando Pizzetti, Ottorino Respighi, Pietro Mascagni, Umberto Giordano e tanti altri. Tutti amici o interlocutori di Capaldi.
“Un intellettuale che non assiste inerte al proprio tempo, ma se ne fa protagonista, animatore e guida, fino a penetrare profondamente nel tessuto culturale della città con un’opera destinata a cambiarne i destini artistici. Da questo punto di vista, l’archivio di Giovanni Capaldi – spiega Maria Grazia Melucci – si configura come nuova fonte per la storia culturale della città e suggerisce nuovi percorsi di ricerca e interessanti raffronti tra archivi complementari presenti sul territorio cittadino”.
E prosegue: “Gli stessi documenti consentono anche di catturare, di riflesso, elementi sui contrasti interni all’ambiente culturale e lavorativo di Capaldi e forniscono squarci sulla sfera prettamente personale, fatta anche di dolori e sconfitte, professionali e private”.
Doppio il criterio dell’esposizione: da una parte gli originali dei documenti e poi su otto pannelli ecco le riproduzioni che raccontano, con taglio didascalico, le tappe salienti della vita di Capaldi. Un catalogo, a più firme, arricchisce l’apparato sia testuale sia iconografico di una vita riassunta e presentata organicamente e monograficamente la prima volta.
Per Giovanni Capaldi anche un concerto, all’inaugurazione della mostra, nel foyer e nella saletta dell’auditorium “Nino Rota” del conservatorio. Una rassegna a cura dell’associazione “Recherche”, di Bari, presieduta proprio da Maruzza Capaldi. Grande anche la collaborazione del dipartimento Turismo, economia della cultura e valorizzazione del territoriola della Regione Puglia, col dirigente Aldo Patruno. Chiaramente, la gran parte dell’organizzazione è stata curata del conservatorio, l’antico “Istituto Musicale” (e poi, come ricordato, liceo), figlio delle intuizioni di Capaldi.
L’iniziativa è stata realizzata sotto l’egida di un comitato promotore, formato da Maruzza, Franco Chieco, Dinko Fabris, Carlo Goldstein, Rino Marrone, Michele Marvulli e Gianpaolo Schiavo. Ad affiancare strettamente la Melucci soprattutto Dinko Fabris, musicologo di fama e docente universitario all’ateneo della Basilicata (primo italiano eletto presidente della International Musicological Society, dal 2012 al 2017). L’architetto Arturo Cucciolla, già docente al Politecnico di Bari, ha supervisionato il progetto di allestimento, l’elaborazione grafica e fotografica.
Il concerto è stato coordinato dalla prof.ssa Angela Annese ed eseguito da giovani allievi ed ex allievi del conservatorio: brani di musica vocale e strumentale di autori pugliesi (La Rotella, Gervasio, Millico, Paisiello, Giuliani, Van Westerhout e Piccinni; tutti autori amati da Capaldi nella sua vita di ascoltatore e ricercatore).
Il catalogo, edito da Adda, annovera gli autori: Annamaria Bonsante, Franco Chieco, Dinko Fabris, Alfredo Giovine, Domenico Losavio, Rino Marrone, Maria Grazia Melucci, Pierfranco Moliterni, Ferdinando Pappalardo, Corrado Roselli, Nicola Scardicchio.
La mostra, che resterà aperta sino al 30 novembre, rappresenta un momento di ricerca doveroso attorno a Giovanni Capaldi, un appassionato promotore e studioso (divulgatore specie delle gemme del ‘700 musicale pugliese, Traetta in primis) che andava e andrà ricordato, non solo e non tanto in ottica memorialistica quanto di autentico studio. Di sicuro il centenario dell’istituzione, nelle sue prime forme, del conservatorio di Bari (2025) offrirà una preziosa occasione.
Bitonto, la città di origine della sua famiglia, non può e non deve dimenticare i casati e i protagonisti che hanno contribuito a rendere più grande e moderna la Puglia e Bari, potendo vantare la provenienza di menti così illuminate ed illuminanti. Segno della migliore provincia dell’epoca. Portare la mostra a Bitonto? Perché no? La proposta è lanciata.