Pietro Mascagni aveva ventisette anni quando compose la Cavalleria Rusticana, la sua opera più celebre, la prima in assoluto. Ne ha scritte ben sedici, ma sia per la complessità della partitura che per la bellezza della storia, sia per l’enorme successo ottenuto sin dall’esordio, nel bellissimo teatro romano Costanzi, la sua Cavalleria ha surclassato tutte le altre.
Ad impreziosirla ulteriormente è certamente la storia singolare legata alla sua composizione, perché Edoardo Sonzogno, famoso e benestante editore milanese, indisse un concorso nel 1888, a cui erano chiamati a partecipare tutti i giovanissimi compositori che non avessero portato in scena ancora nulla, e a cui veniva richiesto di realizzare un’opera in un solo atto. Sarebbero stati selezionati tre vincitori e tutte le spese relative alla messa in scena sarebbero state a carico dell’editore.
Mascagni seppe di questa imperdibile occasione solo due mesi prima della chiusura delle iscrizioni e subito si mise in contatto con Giovanni Targioni-Tozzetti, poeta e letterato che insegnava a Livorno, all’accademia navale, perché scrivesse un libretto. Questi, seppur preso alla sprovvista, scelse una novella di Verga assai popolare e chiese al suo collega, Guido Menasci, di aiutarlo nella stesura. Fu così che si mise in moto un’insolita catena di montaggio: i due scrivevano i propri versi su cartoline che inviavano al compositore e quest’ultimo scriveva lo spartito. Un lavoro intensissimo che si concluse l’ultimissimo giorno valido per l’iscrizione e naturalmente, la Cavalleria Rusticana fu tra le opere vincitrici.
Fa un certo effetto vederla portata in scena così tanti anni dopo, a Bari, nello splendido teatro Petruzzelli. E in una stagione teatrale così viva e intensa, come quella di quest’anno. Ci si aspettava, in verità, di vederla affiancata alla sua storica compagna, quell’opera magistrale di Leoncavallo, i Pagliacci, come spesso avvenne sin dal debutto di quest’ultima nel 1893 nel Metropolitan Theater di New York. Ma così non è stato e la splendida Cavalleria Rusticana si è vista sposata alla Voix Humaine.
Composta da Francis Poulenc, l’opera è tratta da una piéce teatrale di Jean Cocteau, che si è occupato anche della stesura del libretto. Scritta quasi un secolo dopo la Cavalleria, come quest’ultima è una storia d’amore e di tradimento, destinata ad un triste epilogo. Ma si tratta, comunque, di opere troppo distanti tra loro, per sceneggiatura e regia, perché il loro sia un matrimonio felice. La loro diversità ha diviso il pubblico, e chi ha apprezzato la modernità dell’una si è lamentato della vetustà dell’altra.
Ma, fortunatamente, è avvenuto anche il contrario. Anzi, la maggior parte del pubblico sembra aver più apprezzato l’originale “rievocazione storica” della Cavalleria Rusticana, con la fedele regia di Michele Mirabella – che già l’aveva portata in scena nel 2010 – e la scenografia mozzafiato di Nicola Rubertelli, piuttosto che la Voix Humaine, per quanto sia stata straordinariamente apprezzata Anna Caterina Antonacci, stupefacente e unica interprete, cui si è alternata Alessandra Volpe.
La regia di Emma Dante è stata senz’altro originale, soprattutto grazie alla scenografia di Carmine Maringola e al disegno luci di Cristian Zucaro. Infatti, per rappresentare lo stato d’animo della protagonista e il progredire del suo tetro proposito di togliersi la vita, è stato riprodotta una camera da letto che via via si muta in una bianca stanza d’ospedale, dove si affacciano le infermiere e il dottore. La progressiva trasformazione mette in allarme lo spettatore, che si convince sempre più che la donna stia solo immaginando di parlare con il suo amante. Una soluzione certamente innovativa e suggestiva che, però, ha finito con l’allontanare ulteriormente le due opere e nascondere i pochi punti in comune.
E se nell’opera di Poulenc, la riuscita dello spettacolo è nelle mani della sola voce solista, nella Cavalleria Rusticana occorre un lavoro di orchestrazione incredibilmente complesso, reso ancora più complicato dalla presenza in scena di un vastissimo coro, nonché da una serie di balli, movimenti scenici, difficili parti corali che vanno ad intrecciarsi alle voci dei personaggi principali. Un lavoro di ben altra complessità, insomma, a cui ha saputo dare armonica e compiuta tessitura la straordinaria maestria di Mirabella.
La scenografia di Rubertelli, inoltre, si è discostata da quella descritta sul libretto, perché ha posto al centro la chiesa in cui si recano i diversi coreuti, portando ad un continuo via vai di personaggi e ad una scena perennemente in movimento. La particolarità di questa Cavalleria consiste proprio nella predominanza di queste scene corali, di questa moltitudine “laboriosa” che, quasi, sembra far passare in secondo piano la tragedia in atto e la storia principale. Ma si tratta, in realtà, di un espediente per far risuonare in maniera ancora più prorompente il dramma finale, il triste epilogo.
La quotidianità degli abitanti di Vizzini e la festosità del giorno di Pasqua riecheggiano sin dall’inizio, per poi passare gradualmente in secondo piano, a mano a mano che la storia progredisce. E incredibili sono le voci di Walter Fraccaro e Dario Di Vietri, nel ruolo di Turiddu, Maria Luisa de Freintas, una sensazionale mamma Lucia, Alberto Gazale e Badral Chuulunbaatar, interpreti di compare Alfio, Mariangela Marini ed Elena Borin, magistrali nel ruolo di Lola e, dulcis in fundo, ad interpretare Santuzza, Alessandra Volpe e la sublime Carmen Topciu.
Efficaci i costumi di Giuseppe Bellini, il disegno lui di Franco A. Ferrari e il lavoro del maestro del coro Fabrizio Cassi. Un’ovazione merita il direttore d’orchestra Renato Palumbo, che è riuscito a riprodurre magistralmente i due spartiti, mandando in estasi il pubblico. E quest’ultimo, seppur diviso, ha saputo esprimersi a favore di uno dei due spettacoli, dichiarando vincitore la Cavalleria di Mirabella che di rusticano, si può dire, ha solo il nome, tanto è stata ben orchestrata e studiata la sua regia.
Nell’immagine in alto: Una scena de La Cavalleria Rusticana