L’amore proibito nell’Africa “nera”

Rafiki, film keniota presentato all'International Gender Film Festival di Bari, è un potente inno ai sentimenti, oltre ogni distinzione di sesso e cultura

Forse è stato Cronenberg a definire il cinema “il paese delle meraviglie” o forse Lynch. Chiunque sia stato, ha perfettamente centrato l’obiettivo, perché qualunque sia il film – disastro o capolavoro – ogni volta che si mette piede in quella sala oscura, colma di poltrone, si esce diversi. Come Alice del celeberrimo libro di Carroll, appena usciti da un sogno ad occhi aperti, non sempre consapevoli di ciò che si è visto ma pronti a farne tesoro.

Anche se il film si è rivelato un fallimento, quel malumore che si prova fa comunque bene allo spirito, poiché ci ha insegnato qualcosa di prezioso. Magari a distinguere un buon film da uno cattivo: mica cosa da poco! Ma quando si è di fronte ad un capolavoro… si odono le campane! La mente si fa più grande, l’orizzonte si espande.

E non importa che lingua si parli, da quale parte del mondo provenga la pellicola: quello del cinema è un linguaggio universale. Comprensibile ovunque, parlabile dappertutto; in grado di trasmettere le stesse emozioni a tutti, nonostante le distanze e le diversità. Oppure – e qui risiede la magia – fa provare sensazioni uniche, inimitabili, che cambiano da persona a persona e che restano impresse nell’animo di chi guarda.

Un film, essendo un’arma potentissima, va sfruttata al meglio, specialmente in un contesto importante come quello del Bari International Gender Film Festival, una realtà in rapida crescita. Giunto alla sua quinta edizione, trae la sua forza dal presentare film non esclusivamente europei ma anche del resto del mondo, dall’Africa al Sudamerica. Opere che hanno dato voce a realtà poco conosciute e luoghi, come il Kenya, dove l’omosessualità è perseguita penalmente, insieme a molti film del vecchio continente passati sotto silenzio, in primis in Italia.

Grazie alla rassegna, dal 21 al 28 settembre, si sono potute ammirare delle autentiche “gemme”, che difficilmente lo spettatore avrebbe avuto la fortuna di vedere altrimenti e su una tematica, come quella LGBT, che necessita di entrare nel quotidiano, in modo da non essere più percepita come qualcosa di estraneo o, peggio ancora, di sbagliato.

Tra i film proposti – tutti di quest’anno o massimo del 2018 – un’attenzione particolare merita la straordinaria pellicola africana Rafiki (tradotto dal swahili: “legato da amicizia”) della regista Wanuri Kahiu. Un piccolo capolavoro, che vede come protagoniste Kena e Ziki, due ragazze molto diverse tra loro, che si innamorano perdutamente l’una dell’altra con un solo sguardo, un po’ come vorrebbe il nostro caro Dante. Entrambe devono fare i conti con qualcosa di assolutamente inaspettato, ma finiscono col cedere ben presto ai propri sentimenti in un ambiente ostile, che non fa che separarle e ostacolarle nel peggiore dei modi, ma senza riuscire a spegnere la fiamma del loro amore.

Le due ragazze sono agli antipodi: Kena ha atteggiamenti maschili e predilige la compagnia dei ragazzi del suo quartiere, che nutrono nei suoi confronti il più profondo rispetto, e poi c’è Ziki, femminile, bellissima, alla moda. I rispettivi padri, come se non bastasse, sono avversari politici alle prossime elezioni, e neppure approvano quella che inizialmente appare come una forte amicizia, obbligando le ragazze a nascondersi ma, in realtà, facilitando l’evolversi dei sentimenti.

Bannato in Kenya, immediatamente dopo la sua uscita, il film è costato molto dolore alla sua regista, attualmente in Francia. E per quale motivo? Perché ha voluto raccontare l’amore impossibile di due ragazze distanti in tutto (per famiglia, modo di vestire, stili di vita, interessi, compagnie) e che non sono disposte ad “arrendersi”, nonostante tutte le aggressioni verbali e fisiche. È in questo che risiede la potenza del film, nella capacità di scandagliare i pregiudizi, l’ottusità di una realtà patriarcale e omofoba.

Un inno all’amore ma anche un racconto di formazione e indipendenza, che verte sulla necessità di conoscersi e mostrarsi fieri, nonostante i pugni e i calci della vita. L’intera pellicola è un invito accorato a non abbassare mai la testa di fronte alle difficoltà, a non arrendersi, a lottare per affermare la libertà di pensare e di agire.

Il film è stato presentato a Cannes nel 2018, dopo essere stato censurato in patria. Ma la regista non ha rimpianti, perché si è battuta affinché l’omosessualità venga vissuta apertamente, senza essere perseguita. La pellicola è travolgente nella sua semplicità e non ha scopi, se non quello di infondere coraggio a chi si vede strappare via il sorriso e la libertà di amare, come accade fin troppo spesso, ancora oggi e non solo in Kenya.

Nella foto in alto, le protagoniste di Rafiki, Kena e Ziki