La musica nasce quando un uomo primitivo batte per la prima volta i pugni su un tamburo. È un richiamo, un avvertimento. O un canto d’amore, un lamento funebre. Nasce per motivi pratici, liturgici, religiosi, per segnalare un periodo dell’anno. Il piacere arriva dopo. Non è, infatti, da tanto che ci mettiamo a sedere in poltrona per ascoltarla, la musica. “Arte dell’ascolto” per antonomasia, grazie alla musica impariamo a parlare e, insieme, a sentire quello che accade attorno.
Ma oggi la società ci insegna il contrario: scriviamo a turno in una chat o via sms, poi leggiamo, quindi riflettiamo sulla risposta. È sotto gli occhi di tutti che il mercato della musica sia profondamente cambiato negli ultimi decenni: i dischi non si vendono più come una volta, i concerti hanno una dimensione diversa e anche la promozione dell’artista viaggia su altri canali. Viviamo nell’era delle piattaforme streaming, da Spotify ad Apple Music, passando per YouTube.
Nato nel 2005 come sito di broad-casting video, quest’ultimo ha permesso agli utenti di pubblicare qualsiasi videoclip. Nel giro di qualche anno si è trasformato in un vero e proprio fenomeno del web e, oggi, è il secondo sito più visitato al mondo dopo Google, dal quale è stato acquistato, raccogliendo miliardi di visualizzazioni, con una media di sessantacinquemila video al giorno. Gli youtuber rappresentano, a tutti gli effetti, una nuova figura professionale che si fa sempre più largo sulla scena musicale.
Il giovane pianista e influencer bitontino, Costantino Carrara, è stato tra i primi a sfruttare le potenzialità di youtube, cogliendone la natura ibrida tra piattaforma streaming e social network: quest’ultimo, infatti, integra la possibilità per gli utenti di creare un account, interagire con i commenti, i like e la condivisione di video. Per cantanti e musicisti è il sito più utilizzato per la produzione di nuovi brani. Non c’è artista che non sia in possesso di un canale nel quale siano caricati videoclip ufficiali, videolyrics, live e brani promozionali.
Costantino, emblema della generazione digitale, dal 13 al 28 settembre sarà in Cina per una tournée in ben sette città dell’immenso paese asiatico: Hangzhaou, Nanjing, Shanghai, Xi’An, Chengdu, Tjianjin, Beijing. Dopo i concerti di Milano, Amburgo e Los Angeles, una nuova ed esaltante avventura per il musicista, la cui notorietà ha assunto ormai dimensioni planetarie. Lo abbiamo intervistato, alla vigilia della partenza.
Tra un paio di giorni volerai in Cina per una serie di concerti. Un traguardo impensabile quando hai iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica, una decina d’anni fa, nella cameretta della tua casa a Mariotto…
Se devo essere sincero, è accaduto tutto per caso. Il successo non è arrivato all’improvviso, ma molto lentamente. Quel tipo di successo che mi permette di fare la musica che mi piace. Ero appena undicenne quando ho cominciato a suonare il pianoforte; in una famiglia in cui nessuno nutriva un particolare interesse per la musica. In quegli anni, con le prime connessioni internet a Mariotto, presi a smanettare sul pc alla scoperta di nuovi siti e piattaforme. Decisi, quindi, di creare un mio canale su youtube e caricai il primo video, A Te di Jovanotti, brano che avevo interpretato in un saggio di musica. Fra pochi giorni sarò in Cina assieme a Fabian Narkus, manager tedesco che ho conosciuto in occasione di un concerto ad Amburgo, per una tournée che ci vedrà impegnati diversi giorni.
Dev’essere un’emozione indescrivibile il pensiero di esibirsi all’altro capo del mondo…
Non nascondo, infatti, di avere tutta l’adrenalina a mille. Ancora non mi raccapezzo all’idea che a breve dovrò suonare in terre così lontane. Anche se ti sei già fatto conoscere in occasione di performance live, ogni nuova esibizione è come la prima: una sorpresa. Per la verità, questo sarà il mio primo tour ufficiale e prevede sette concerti spalmati in quindici giorni, con tranche di tre esibizioni consecutive.
Giovanissimo hai aperto un canale su youtube, oggi con più di un milione di ascolti, mentre i tuoi video registrano più di cento milioni di visualizzazioni. Quali le ragioni di questa scelta?
Per un giovane cresciuto in una piccola realtà, i social network e le piattaforme streaming sono stati una vera manna dal cielo. Chiaramente, quando ho cominciato, non avevo alcuna particolare ambizione; volevo solo provare il brivido dell’utilizzo dei social network, senza condividere la mia musica. Dopo i primi arrangiamenti musicali, ispirati a tutorial visti su internet, ho capito che un canale youtube poteva essere l’asso nella manica per promuovere i miei brani, sfruttando la popolarità del sito e la condivisione sui social. I feedback sono stati positivi fin dal primo caricamento: oggi sono ben 700.000 i fallowers iscritti al canale.
Nella tua carriera c’è stata un’evoluzione dalla popular music a quei brani che assecondano di più i tuoi gusti e la tua sensibilità…
Riprodurre ciò che ascoltavo in radio e in televisione, arrangiando le hit dei brani del momento, mi è servito ad allargare il cerchio degli ascoltatori e a farmi conoscere. Mi sono innamorato dei Coldplay, ai quali devo la condivisione, sulla loro pagina ufficiale facebook, della mia cover di Adventure of lifetime. L’invito a un loro concerto in Italia mi ha permesso di conoscerli personalmente. Col passare degli anni ho maturato scelte più consapevoli in termini di stili, ritmi e linguaggi.
Hai poi deciso di iscriverti al conservatorio di Bari, iniziando a studiare jazz. Quanto ha influito nella tua produzione?
Nel 2016, superati gli esami di maturità al liceo classico di Bitonto, il conservatorio, in realtà, non era nei miei progetti. Pensavo di iscrivermi a ingegneria del suono, affiancando lo studio del cinema, così da poter coniugare la registrazione musicale alle riprese video. Alla fine, invece, ho scelto il conservatorio. Ormai il triennio sta per volgere al termine e a breve discuterò la tesi. Il jazz è la musica più meticcia e ibrida che esista. E’ attenta a tutte le novità contemporanee ma senza tralasciare il passato, con le sue tradizioni, sia classiche sia popolari. Quest’estate ho fatto un’altra bellissima esperienza, partecipando, nell’ambito di Umbria Jazz, a workshop con docenti della Berklee Collage of Music: ho suonato nelle game sections assieme ad altri musicisti la sorpresa del momento, la trovata estemporanea che non sarebbe mai uscita se pensata a tavolino.
Quali altri generi musicali prediligi nelle tue registrazioni?
I generi musicali sono nati per parlare di musica e sono diventati una moda, trascinandosi dietro culture e contesti sociali ma anche idiosincrasie. Quando uno dice “mi piace questo genere piuttosto che quest’altro” c’è il rischio di creare una barriera, che ci faccia perdere la possibilità di provare certe emozioni cibandoci di cose nuove. In conservatorio ho approfondito la musica classica, apprezzandone l’armonia. Anche i tanti fan riconoscono in me una maturazione rispetto al passato. Non gradisco tanto le etichette che ti inquadrano rigidamente in un solo ambito musicale.
Bruno Tommaso, contrabbassista e direttore d’orchestra, sostiene che andare sul palco è sempre meglio che pagare uno psicanalista. La sincerità è l’indumento più corretto da indossare sul palco, cercando di dare il meglio di sé stessi. Ma cos’è il meglio?
È difficile essere sé stessi nella vita, figuriamoci sul palco. Il contesto culturale da cui proveniamo ci condiziona inevitabilmente. Sul paco io salgo per vedere cosa può succedere. Vorrei essere disposto all’imprevedibile, all’inaspettato, dunque presentarmi – per quanto possibile – senza preconcetti, senza filtri, senza un codice che mi identifichi immediatamente. Per ognuno di noi, il meglio è qualcosa di diverso. Non è affatto facile capire quali siano i talenti che abbiamo dalla nascita, anzi, è una delle imprese più difficili. L’errore di valutazione è dietro l’angolo. A me piace trovarmi lì sul palco ed entrare subito in comunicazione con il pubblico.
Cosa vuole sentire il pubblico? Può esistere una musica senza l’empatia?
Ognuno ascolta e vive la musica in maniera diversa, personalissima. Sono un po’ buffi quegli artisti che parlano del “proprio pubblico”, come se si trattasse di un’entità chiara e definita e di cui prevedono gusti, inclinazioni, commenti, idiosincrasie. Esiste una gran fetta di pubblico che vuole essere rassicurato, a fronte di un’altra consistente fetta che va cercando emozioni che lo stimolino davvero. Penso che l’artista debba educare il suo pubblico trasmettendo una lezione, un insegnamento, un messaggio chiaro a cui aderire o da cui dissentire. Il bello è proprio lì: decidere di fidarsi dell’artista e poi seguirlo per vedere cosa combina. Fare il viaggio con lui, senza chiedersi perché e dove si sta andando.
Lo scorso aprile, un medley per pianoforte della colonna sonora di “Game of Thrones”, girato nell’area più selvaggia dell’Islanda. Hai realizzato anche il back stage delle riprese?
Il tutto rientra nel progetto Wild Pianos, frutto della collaborazione con Yamaha Music e finalizzato a suonare il pianoforte, acquistato con una campagna di crowfunding, nella natura selvaggia. L’estate del 2018 ho fatto un viaggio in Islanda e, catturato dalla bellezza del paesaggio, ho intuito che sarebbe stato uno straordinario set per un video. L’anno prima avevo già composto, in occasione di un concerto a Milano e su invito di Sky, un arrangiamento di Game of Thrones rimasto, però, inedito. Curiosa coincidenza, visto che proprio in Islanda sono state girate molte scene della celebre serie tv. Non nascondo le difficoltà nella scelta della location, data la conformazione del territorio, e nel trasporto del pianoforte, realizzato grazie all’ausilio di un elicottero e in condizioni climatiche non proprio favorevoli. Ho girato, inoltre, un secondo video che interpreta il brano Stairway to heaven live de Led Zeppelin, posizionando questa volta il piano su un pontile che si affaccia sui fiordi ad est dell’isola.
L’ego ce l’abbiamo tutti, tanto vale allora dargli da mangiare roba buona. Secondo te la musica è seduzione? Come convivere col successo ai tempi dei social network?
Il successo è quella cosa che dovrebbe migliorare il tuo rapporto con te stesso, non complicarti la vita. Più metti te stesso al servizio della musica più ne guadagnano la musica e il tuo ego, gestito, ridimensionato, veicolato verso qualcosa di creativo. E sempre comparato a qualcuno che ha fatto musica prima di te e che ti ha ispirato, che ti ha folgorato e ti ha fatto scegliere quella strada. O costantemente affiancato a qualcuno che sta producendo suoni, canzoni, sinfonie, improvvisazioni che tu non potresti produrre, che sono lontane da te e dalle tue possibilità ma che ti incantano. Per sedurre bisogna fare attenzione a non giocarsi subito e insieme tutte le carte.
Quali consigli daresti a un giovane intenzionato a intraprendere la tua carriera?
L’invito a non crescere ingenuamente con l’idea che il musicista sia una professione a parte. Semmai è diversa da ogni altra, in quanto richiede un particolare coinvolgimento emotivo, poiché ogni concerto ti svuota o ti riempie, a seconda dei punti di vista, di ogni energia. Hai l’adrenalina in circolo al pari degli sportivi che, al termine di una gara, sono sfiniti ma soddisfatti. Non si tratta propriamente di un lavoro, perché la musica è una passione che dura tutta la vita, è il motore di tutto come il cuore lo è del corpo. Una vita senza passione, che vita è? Alle nuove leve raccomando coraggio e sicurezza nel prendersi i propri tempi, non dilapidando tutto alla prima occasione. Niente ti tiene in vita più del godimento per il godimento. Ecco il vero spettacolo. Buon ascolto!
In alto, Costantino Carrara si esibisce tra la natura selvaggia dell’Islanda