Attraverso le parole è possibile descrivere quasi ogni aspetto del mondo intorno a noi e dentro di noi. E, tuttavia, il risultato ottenuto, dopo pagine e pagine di scrittura, non potrà che essere di molto inferiore – in termini di immediatezza e completezza – rispetto a quello di una singola e chiara immagine. Una fotografia, un dipinto, una cartolina hanno, infatti, la straordinaria capacità di mirare direttamente al cuore dello spettatore e di rimanervi impressi, indelebili e folgoranti, per tanto tempo.
È proprio in questo, nell’immediata connessione visiva stabilita con il lettore, che risiede tutta la prorompente forza comunicativa del graphic journalism, un nuovo genere narrativo in rapida ascesa che è stato al centro del dibattito nell’evento Graphic Journalism. Il fumetto racconta l’Attualità, svoltosi presso la biblioteca comunale “Eustachio Rogadeo” a Bitonto. L’incontro, patrocinato dalla libreria Hamelin e inserito tra gli appuntamenti della Bitonto Estate, ha visto la partecipazione di due espertissimi del settore: la sceneggiatrice e scrittrice Ilaria Ferramosca e il fumettista e illustratore Gian Marco De Francisco, legati da un sodalizio professionale che li ha portati nel 2019 alla quarta pubblicazione insieme: Charlotte Salomon. I colori dell’anima, 2019, Becco Giallo.
Il graphic journalism, come spiega il tarantino De Francisco incalzato dalle domande dell’illustratore e fumettista bitontino, Domenico Sicolo, consiste nel racconto di fatti di cronaca recente sotto forma di fumetto, ma con una considerevole attenzione nei confronti della puntuale ricostruzione giornalistica degli eventi. Prima figura di riferimento per la nascita di questo genere ibrido è il fumettista e giornalista maltese Joe Sacco, autore negli anni ’90 di Palestina. Una nazione occupata (1996, Fantagraphics), vero e proprio reportage a fumetti. Per quanto riguarda l’Italia, il graphic journalism prende avvio con le pubblicazioni di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso per la casa editrice Becco Giallo: particolarmente rilevante è il biopic a fumetti sulla vita di Peppino Impastato (Peppino Impastato. Un giullare contro le mafie, 2009, Becco Giallo), che segna la nascita della tendenza tutta italiana a dare risalto al lato umano e intimistico delle vicende più che a quello prettamente documentaristico.
Nonostante la presenza di tali illustri precedenti, il graphic journalism in Italia fa fatica ad essere preso in considerazione. “Siamo, purtroppo, ancora vittime dell’odioso pregiudizio che affligge il fumetto e lo confina a genere rivolto esclusivamente ai bambini. Al contrario -spiega De Francisco- il fumetto è un’arte che, al di fuori dei confini nazionali, ottiene numerosi riconoscimenti”.
Diverse sono, a dispetto dei luoghi comuni, le ragioni che fanno del fumetto un genere adatto anche alle “cose serie”: tra tutti, la facilità di fruizione e la libertà espressiva. “La scarsa considerazione di cui gode il genere –incalza il fumettista- ha un vantaggio fondamentale, ovvero quello di renderci liberi di trattare temi controversi senza subire pressioni di alcun genere. Abbiamo potuto parlare di stalking, con ‘Un caso di stalking’, prima ancora che esso divenisse tema caldo nelle aule parlamentari. E ancora, nel caso di Renata Fonte, prima esponente politica italiana ad essere assassinata nel 1984, in ‘Nostra madre Renata Fonte’ abbiamo potuto gettare uno sguardo sui mandanti dell’omicidio e sui loro legami con gli ambienti capitolini, cosa che la fiction a lei dedicata non è stata in grado di fare”.
A dispetto di quanto l’immediatezza grafica potrebbe suggerire, dietro ognuna delle opere prodotte vi è un lavoro lungo e meticoloso che, come sottolinea Ilaria, parte proprio dalla ricerca della storia adatta. “Nel momento in cui mi trovo a scegliere la nuova storia da raccontare -chiarisce- sono mossa innanzitutto dalla curiosità personale che mi spinge a concentrarmi sui personaggi che più mi colpiscono e che credo possano, poi, suscitare interesse nel pubblico tanto da spingerli a farsi domande”. È il caso di Ragazzi di scorta. Rocco, Vito, Antonio: gli agenti di scorta di Giovanni Falcone (2015, Becco Giallo): la vicenda dei tre ragazzi periti nell’agguato al giudice palermitano offre, infatti, il pretesto per interrogarsi su una strage di stato che, ancora oggi, è annebbiata da numerosi enigmi.
Per quanto riguarda l’aspetto illustrativo, la parola torna a Gianmarco che, in relazione alle fatiche che si celano dietro i suoi disegni, si definisce un pignolo affetto da ansia di prestazione visiva: prima di realizzare i suoi piccoli capolavori egli passa diverso tempo a consultare la documentazione sulle vicende che si sta accingendo a narrare. Lo scopo è, infatti, quello di ricostruire ogni singolo dettaglio visivo nella maniera più fedele all’originale. “Un’immagine che, magari, in un video è visibile solo per una manciata di secondi, nel fumetto è immutabile e rimane impressa nella mente dei lettori. Per questo motivo ognuna di esse deve essere fonte di verità: si tratta di rispetto autoriale”.
È, dunque, un processo lungo e meticoloso quello che porta alla nascita di questi fumetti-inchiesta i quali, una volta pubblicati, ancora stentano a ricevere il riconoscimento dovuto. Un interrogativo, a questo punto, sorge spontaneo nel corso della serata: Perché? A quale scopo? E pronta arriva la risposta dei due autori: “Renata, Rocco, Vito e Antonio, ma soprattutto Charlotte, artista ebrea che si trova a vivere l’ascesa del nazismo in Europa, sono personaggi che, pur essendosi caricati di enormi responsabilità nel nome della collettività, sono caduti nel dimenticatoio. Ma ciascuno di loro merita di essere ricordato ed esige che venga fatta luce sulla loro storia: questo è il nostro modo di cercare la verità”.
E chissà che, decifrando le vicende di questi uomini e di queste donne, non si possa trovare una chiave di volta per comprendere meglio alcuni avvenimenti del nostro recente passato così da poter meglio interpretare il presente e intravedere il futuro. Dopotutto, la storia è fatta di corsi e ricorsi.