Quei tempietti “pieni di grazia” che punteggiano la campagna bitontina

Le edicole votive sono l'epressione di una religiosità antica e popolare, ravvivata, di anno in anno, dalla scialbatura di calce e dall'omaggio floreale

Il sistema viario del paesaggio rurale è punteggiato di edicole votive: strutture di piccole dimensioni, architetture minimali, che hanno una valenza religiosa, con la funzione di ospitare e proteggere, in una nicchia, il simulacro della Madonna, del Cristo o di un santo.

Talvolta la loro eccessiva essenzialità e contenuta grandezza rischia quasi di passare inosservata agli occhi del viandante distratto, eppure è facile ritrovarle sul ciglio, lungo le strade di campagna, molto spesso in prossimità dei crocevia, incastonate nei muri a secco, che delimitano i campi, o raramente anche all’interno dei poderi, magari contornate da una pergola.

Su alcune arterie principali dell’agro bitontino è possibile anche trovarne diverse, per esempio sulla via per Palombaio o sulla strada vicinale di Cela oppure nei tratti della vecchia via per Giovinazzo o lungo la strada dell’Annunziata.

L’edicola votiva, sia essa rurale che urbana, è il segno tangibile di un’arte povera, la testimonianza di una religiosità popolare di antica data, realizzata per svariati motivi, quasi sempre su iniziativa privata, o per un gesto devozionale, o come ex voto, per una promessa fatta o una grazia ricevuta o molto semplicemente per un bisogno di protezione da ogni male.

Il termine deriva dal latino “aedicula”, diminutivo di aedes che significa “tempietto”. In origine si trattava precisamente di un tempio in miniatura, che ospitava la statua o la raffigurazione di una divinità.

L’archetipo di questa struttura, infatti, risale al tempo degli antichi egizi, collocato fuori o dentro i templi come dimora per le divinità minori. L’edicola vera e propria, tuttavia, si svilupperà nel periodo greco-romano, riprendendo e sintetizzando gli elementi essenziali dell’architettura che compone la facciata dei templi, in particolare il timpano, che nello specifico definisce proprio il fronte a capanna.

A partire dall’epoca medioevale, invece, il termine edicola votiva diviene sinonimo anche di tabernacolo o capitello votivo o, in alcune aree geografiche, di santella, ed assume quel modello di struttura architettonica che oggi conosciamo, legato alla protezione di un’immagine sacra oggetto di culto, sia sulle facciate delle case dei centri abitati sia lungo le strade di campagna.

La parola tabernacolo – dal latino tabernaculum, diminutivo di taberna, ossia dimora – nella tradizione ebraica e cristiana significa il luogo della casa di Dio presso gli uomini. Comunemente, con tabernacolo si intende la teca, presente in tutte le chiese cattoliche, nella quale sono custodite le ostie consacrate dopo la celebrazione eucaristica.

Le edicole votive rurali all’apparenza sembrano tutte uguali, perché il prototipo che, di volta in volta, viene riprodotto è molto semplice: una pila muraria dalla rigorosa essenzialità nella cui massa è ricavato il tabernacolo, la nicchia, che offre alla raffigurazione sacra – pittura murale, statuetta o più frequentemente santino – la difesa dalle intemperie e crea, al contempo, un supporto per un cero o per omaggi floreali e oggetti legati alla preghiera come rosari.

In realtà ogni edicola è differente dall’altra, soprattutto nei rapporti dimensionali che ne determinano poi la forma. I materiali, le finiture e i colori utilizzati, invece, costituiscono il palinsesto minimo di un linguaggio espressivo che contribuisce a restituire carattere e decoro al manufatto, dando luogo, a seconda dell’uso, ad esiti diversi nelle linee e nel disegno.

Dall’impiego di questi elementi è possibile trovare “tempietti” più lineari ed essenziali, come nella gran parte dei casi; altri con forme più baroccheggianti (un esempio è quello posto in prossimità della Chiesa dell’Annunziata) e taluni persino più articolati, come quello che si trova lungo la strada radiale denominata Pingiello.

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L’edicola votiva nei pressi della Chiesa dell’Annunziata © Domenico Fioriello

La pila muraria è generalmente realizzata in tufo o pietra, a volte con entrambi i materiali. È conformata a parallelepipedo e può essere più o meno larga o snella, con una terminazione timpanata o piatta, oppure con volute o al limite “cupolata”, con la presenza o meno, sulla sommità, di una croce, mentre il tabernacolo può essere scavato in modo arcuato o squadrato.

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Varie versioni del tabernacolo e della terminazione © Domenico Fioriello

Le edicole realizzate più di recente, invece, sono costruite con l’utilizzo dei nuovi materiali, soprattutto con l’impiego del metallo, con cui è più facile riprodurre la sagoma, oramai iconica, dell’archetipo con una semplice “cassa”, ma vi è qualche esemplare creato persino col cemento.

Solitamente la pila in muratura è tinteggiata di calce bianca, raramente è intonacata e quando lo è il tabernacolo può avere il simulacro affrescato di vari colori. Un esempio è rinvenibile nella già citata edicola di via Pingiello, dove dietro l’attuale immagine sacra affissa s’intravede, appena, un pregevole dipinto dell’Immacolata su fondo color oro.

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L’edicola votiva su via Pingiello © Domenico Fioriello

Molto spesso sulla pila muraria, in basso, sono riportate le iscrizioni con la data e i nomi degli esecutori oppure appare incisa o dipinta la scritta “Ave Maria”, segno che il culto della Madonna è molto diffuso. Difatti pur se nel tabernacolo compare la figura del Cristo o di una serie di santi, le immagini più ricorrenti raccolte nelle nicchie delle edicole sono quelle dedicate alla Madonna di varia iconografia.

A questi “tempietti” la cultura popolare ha attribuito, nel tempo, una funzione protettiva nei riguardi della casa, della famiglia, della proprietà, e ciò sta a giustificare la loro diffusione capillare sia nel paesaggio urbano che rurale.

Nonostante l’edicola rappresenti il “segno” esteriore di un privato o di una famiglia, diviene poi nel tempo patrimonio della comunità, in quanto sistemata all’esterno della casa o di una proprietà rurale; si apre alla collettività, diventando così espressione corale della religiosità popolare di una comunità.

Queste architetture minimali fungono anche da punti di riferimento sul territorio e la presenza di Madonne o di santi nelle piccole teche sembra rassicurare il viandante lungo il suo peregrinare, accompagnandolo durante il viaggio o mentre va a lavorare.

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Le edicole votive dedicate alla Madonna © Domenico Fioriello

Anche se i tempi sono cambiati e il “segno” di questa espressione della cultura popolare sembra essersi perso, traspare, tuttavia, ancora oggi, un certo bisogno di protezione, particolarmente sentito da alcuni contadini, evidente soprattutto nella manutenzione stessa delle edicole, attraverso il tradizionale rituale annuale della scialbatura di calce e l’offerta dei fiori.

Nell’occasione di stilare una mappatura delle edicole votive disseminate sul territorio bitontino, alcune con tratti grossolani e ingenui ed altre con tratti di una certa velleità artistica, ci è sembrato quasi un atto doveroso rendere omaggio agli esecutori di questi manufatti.

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L’edicola votiva presso Torre de Lerma © Domenico Fioriello

Gente dedita all’agricoltura, con una vita quotidiana fatta di sacrifici e fatiche, ma anche di sogni e speranze, che credendo in una fede semplice, spontanea e autentica – pur venata magari da superstizione – ha arricchito con questi “tempietti” pieni di grazia il paesaggio rurale, che purtroppo ormai si è imbruttito di altre costruzioni.

Nella foto in alto, l’edicola votiva del Miglio Dritto, sulla via tra Bitonto e Palombaio