“La nostra musica? Un gustoso fritto misto”

L'ira di Febo, la band bitontina dal sound eclettico, dopo il primo ep e il successo in diversi contest musicali, è pronta ad inaugurare il festival di San Marco in Lamis

Talento, passione, curiosità, dedizione e un pizzico di follia sono le doti principali che chiunque sia interessato a perseguire una carriera nell’ambito musicale dovrebbe possedere. Di tutte queste qualità è abbondantemente provvista L’Ira di Febo, band bitontina che, già nel nome, si consacra – com’è giusto che sia – al dio della musica per eccellenza: Apollo.

Il gruppo nasce nel 2017 dall’unione dei musicisti Federico Marinelli (basso) e Antonio Allegretti (batteria) – provenienti entrambi dal mondo del funk-rock e già attivi insieme a partire dal 2014 – con Valerio Vacca, rapper attivo sulla scena barese da quasi un decennio. A completare il quartetto, arriva a fine 2018 Carlo Candelora, chitarrista navigato.

L’Ira di Febo

La variegata composizione dell’ensamble è alla base dell’originale sound, divenuto tratto distintivo della band: lungi dal poter essere inquadrato in un genere musicale preciso, presenta tratti prevalenti di funk e rap. “Siamo un fritto misto –dice ridendo Antonio- i cui vari ingredienti sono così ben accostati, che risulta ormai difficile distinguere i singoli sapori nell’armonia del piatto”.

Quando abbiamo fondato il gruppo –prosegue, più tecnico, Federico- eravamo proprio alla ricerca di un rapper come Valerio, perché credevamo e crediamo tutt’ora che il rap e il funk si sposino alla perfezione: del resto, la storia del rap americano affonda in parte le sue radici nel mondo del funk”. La parola-chiave per comprendere il progetto artistico dei quattro musicisti bitontini è, dunque, sperimentazione, intesa come precisa volontà di dar vita a qualcosa di nuovo e profondamente personale che sfugga a ogni definizione. “La musica che facciamo non rientra in nessun genere specifico ma è sempre riconducibile a noi: l’unico modo per capire chi siamo davvero è venire ad ascoltarci”,  conclude Valerio.

L’Ira di Febo

Vero punto di svolta nella storia della band è stata la pubblicazione di un primo EP autoprodotto, con cinque brani inediti di cui il più celebre, What the funk, accompagnato anche da un video musicale. “Crediamo così tanto nella nostra musica che siamo disposti anche ad investirci dei soldi -racconta il bassista- e difatti questa è stata una mossa vincente perché gli inediti hanno attirato l’attenzione di alcune etichette, una delle quali produrrà il nostro prossimo singolo, ma ci hanno anche permesso di ottenere diversi ingaggi per i live”.

La band si esibisce, infatti, regolarmente in molti live club e circoli Arci anche al di fuori della provincia barese ed è in procinto di aprire la dodicesima edizione del festival culturale Cchiù fa notte e cchù fa forte a San Marco in Lamis. “Ci sentiamo animali da palco -afferma il solista- ed è sul palco che diamo il meglio di noi perché lì confluiscono tutti i nostri sforzi e le nostre energie: i live rappresentano il cuore della nostra attività”.

L’Ira di Febo

L’estro eclettico dei quattro giovani ha permesso loro anche di inanellare una serie di successi in vari contest musicali come lo Swamp Music Fest, l’Apulian Sound Contest e, ultimo in ordine cronologico, il Barifornia Summer Festival, la cui fase finale (per accedere alla quale la band ha dovuto superare una prima selezione avvenuta via social) ha preso il via lo scorso 9 giugno. “Tutti i riconoscimenti ottenuti -spiega il batterista- sono stati fonte di grande soddisfazione, ma anche di arricchimento perché il confronto con altri musicisti e il riscontro dato da veri esperti ci ha permesso di crescere”. “In più –segue Federico- i contest permettono a noi musicisti emergenti di calcare palcoscenici importanti che in nessun altro modo potremmo permetterci”.

Tolta la preziosa eccezione dei concorsi, però, secondo il gruppo, la scena musicale barese è piuttosto arida e poco incline ad offrire spazio alle nuove leve. «Da un lato –sostiene Valerio- a far da padrone è la mancanza di solidarietà tra colleghi: ognuno pensa a sé e, quando può, tenta anche di danneggiare gli altri”. “Dall’altro –si accoda Federico- sono veramente pochi i locali, al di fuori del panorama degli Arci, che ospitano band di inediti perché potenzialmente non attirano tanta gente”.

L’Ira di Febo

Al contrario, particolarmente richieste sono le cover band che riproducono pezzi di successo: esse, infatti, sono in grado di garantire un sicuro ritorno economico ai gestori dei locali i quali, attirati dalla certa prospettiva di fare il pienone, sono disposti a pagare, per l’ingaggio, anche il triplo di quello che darebbero a una band di inediti. “Ovviamente esistono cover band di grande valore, però in molti casi riprodurre cover è una scorciatoia per ottenere ingaggi e fare soldi più velocemente -sostiene amareggiato Federico– ma chi lo fa non può essere considerato un artista quanto piuttosto un buon esecutore”.

Questo clima asfissiante – dominato da competitività esasperata e miope ricerca del guadagno immediato a discapito di ogni finalità artistica – contribuisce a tarpare le ali a molti musicisti talentuosi i quali, fra le altre cose, si trovano anche ad affrontare l’odioso luogo comune che vede l’espressione musicale come un hobby a cui dedicarsi nei ritagli di tempo non impiegati nel “lavoro vero”.

Non è, però, questo il caso di Antonio, Carlo, Federico e Valerio che, anche contro tutto e tutti, vanno avanti imperterriti per la loro strada accompagnati da una buona dose di intraprendenza, convinzione nei propri mezzi e, perché no, di sana incoscienza.

L’obiettivo è uno solo, sempre lo stesso, già ampiamente espresso nel loro brano finora più iconico (What the funk): unire musica e passione.

Nelle immagini, alcuni concerti live de L’Ira di Febo