In principio c’era il mythos, il racconto. Narrato di padre in figlio, passava di bocca in bocca, comune patrimonio del povero e del ricco. E perché non fosse dimenticato, fu messo in versi, insieme ad altri racconti, perché si intrecciassero e rimanessero cristallizzati nella memoria, agevolati dal ritmo e dalla ripetizione, più tardi dalla rima. Furono messi per iscritto e, da racconti popolari quali erano, senza creatore o padrone, ebbero poeti che li facessero rivivere in ogni epoca, adattandoli al proprio tempo, affidandoli alla posterità, perché ne facesse buon uso.
Ovidio è uno di questi poeti, poiché prende queste storie celeberrime e le rinnova, in modo che i suoi contemporanei possano sentirle più vicine, attrezzandole in modo da affrontare il futuro.
La nostra posizione rispetto a questi racconti è decisamente diversa, perché non ci conviviamo costantemente. Cresciamo con la fiaba di Cappuccetto Rosso o con quella della Bella addormentata, non con la storia di Icaro e Dedalo o di Apollo e Dafne. Conosciamo Edipo ed Elettra grazie al famoso complesso freudiano, non perché sin da piccoli ne sentiamo parlare. Gli antichi, chiamiamoli così, hanno altre storie. Conoscono Piramo e Tisbe o la gara tra Atena ed Aracne, la storia di Memnone e Aurora, tutte storie che non appaiono oscure solo a chi studia il latino e il greco o ai lettori più curiosi o di ventura, che si sono imbattuti in quelle pagine.
Ogni libro, che si proponga di diffondere questa splendida tradizione, merita il plauso più caloroso. E il libro Ovidio, la voce del mito è innanzitutto un libro di divulgazione; non si propone di essere un contributo scientifico e non è neppure un modo per approcciarsi una prima volta ad Ovidio o alle sue splendide Metamorfosi. Si colloca nel mezzo, quale chiave di lettura per la realtà odierna, in cui si guarda indietro in cerca di risposte che, ancora una volta, gli antichi hanno riservato a noi, sprovveduti posteri.
Ci troviamo in un’epoca di grande cambiamento, ma quest’opera, così tremendamente attuale come il suo autore, vuole lasciare un messaggio di fondamentale saggezza: ogni cambiamento è inevitabile e, anche se tutto sembra portare al peggio, nulla resta sedimentato nel tempo. Ce lo insegnano queste grandi storie di morte e rinascita, che non mancano di proiettare un’ombra tragica sulla nostra epoca e sui tristi fatti che riserva, ma che ci insegna ad essere pazienti e ad attendere quel cambiamento, quella metamorfosi che volge tutto il male in bene.
“Pazientate, o posteri!” ci dice Ovidio con la bellezza dei suoi versi, tradotti nella parte clou da Pice e splendidamente recitati da Rossella Giuliano e Raffaello Fusaro, due attori straordinari che hanno reso fino in fondo la grandezza dei versi ovidiani e l’intensità delle scene proposte, come quella del mito di Icaro, che con le ali costruite dal padre Dedalo si avvicinò troppo al sole. Ad accompagnarne la lettura, il pianoforte di Anna Elisa Lacetera e il clarinetto di Arcangelo Grumo.
A presentare il libro di Nicola Pice sono stati Damiano di Virgilio, docente di lettere, e Nuccia Barbone, direttrice della galleria nazionale “Devanna” che ha ospitato l’evento, impreziosendo la serata con contributi dotti e attenti, parlando dell’epoca storica di questo straordinario poeta che, come tutti i veri poeti, è profeta. E, leggendo Ovidio, come possiamo non credere nel continuo divenire e rinascere dell’esistenza?
E, considerando che questo poeta e la sua opera abbiano superato la prova del tempo, arrivando fino a noi, con la loro attualità e la loro potenza, come possiamo non credere che vi sia sempre qualcosa destinato a sopravvivere alla crudele e impegnativa prova del tempo e che il cinico e clinico occhio dell’uomo sarà sempre pronto a farsi travolgere e rapire dalla bellezza delle opere del passato?
E, soprattutto, come possiamo non stupirci del fatto che Ovidio non sia un nostro contemporaneo, quando è addirittura più moderno di gran parte dei nostri scrittori? Ma adesso, o lettore, sta a te esprimere l’ardua sentenza e sarà difficile per te non esclamare “quant’è moderno quest’Ovidio!”.