L’attesa è finita. Il Buovo d’Antona, dramma giocoso in tre atti, è andato in scena, in questa quindicesima edizione del Traetta Opera Festival, nel teatro bitontino dedicato al grande compositore. L’orchestra ha occupato metà dello spazio riservato alla platea e alcuni fortunati spettatori si sono goduti la splendida musica traettiana a distanza riavvicinata, separati da una sola fila vuota dai musicisti.
Ed ecco che parte l’ouverture: a pochi minuti dall’inizio s’alza il sipario, mostrando lo scenario agreste (una quercia enorme e fronzuta, opera del maestro cartapestaio Deni Bianco), come voluto dal libretto goldoniano. Ma, diversamente da quest’ultimo, ad entrare in scena non sono Cecchina e Menichina, povere ragazze di campagna, ma un “contastorie”. Una novità introdotta dal regista Maurizio Pellegrini per rendere più agevole la comprensione del testo, quanto mai lungo e intricato, saldando pezzi della vicenda, riprodotta in forma ridotta rispetto all’opera originale.

Un espediente certo utile per gli spettatori ma che, forse, ha finito col semplificare troppo la trama, togliendo spessore all’originalità del testo e intaccando il profilo degli stessi personaggi. Va pur detto che il contastorie riesce a vivacizzare la vicenda, grazie ai dialoghi con i personaggi e con il direttore d’orchestra Vito Clemente, portando ad un’esilarante quanto inaspettata rottura della quarta parete.
Da quasi tre anni, il trono di Antona è occupato dal malvagio Maccabruno, che non solo ha detronizzato il protagonista, ma che corteggia la sua promessa sposa, la principessa Drusiana. L’opera si apre con due donne fondamentali per la vicenda, Cecchina e Menichina, che intonano una canzoncina popolare, mentre lavorano al mulino. Le due ragazze pensano alla sorte di Buovo e al suo fedele scudiero Striglia, di cui Cecchina è innamorata, finché non vengono interrotte da Capoccio, padre di Menichina, che sopraggiunge con Rondello, il cavallo di Buovo, che maltratta con un bastone. L’intera scena viene sostituita dal narratore e da Capoccio che dedica l’aria non al cavallo, ma al povero narratore, cacciato con questo intelligente espediente via dalla scena, per poi farvi ritorno ad ogni cambio, introducendo le arie dei personaggi e i momenti salienti.

Appena Capoccio lascia la scena, vi giungono due pellegrini che chiedono alle due ragazze la carità e che si riveleranno essere proprio Buovo e Striglia; e se quest’ultimo viene facilmente riconosciuto dalla sua amata Cecchina, il protagonista viene immediatamente riconosciuto dal suo cavallo, ben lieto di rivedere il suo padrone. Ma non è il solo.
Anche Menichina riconosce Buovo, confessando di essere da sempre innamorata di lui, ma di non aver mai osato confessarlo per l’odiosa differenza di classe. Menichina è, comunque, un personaggio intraprendente e coraggioso, oltre che straordinariamente moderno, sempre meno pronta a farsi manovrare da Buovo, decisa com’è nell’intento di sposarlo. Così, affina le sue arti seduttive e la sua intraprendenza: ma per poter sposare Buovo è necessario che questo riconquisti il suo regno e dimentichi Drusiana.

Entrambe le cose, però, sono vere imprese! Intanto, bisogna nascondere Buovo, perché il mulinaro Capoccio è deciso ad avvisare Maccabruno del suo ritorno ed intende farlo durante una battuta di caccia, alla quale partecipa pure Drusiana. Ed è qui che si scopre che la donna è stanca di aspettare il ritorno di Buovo e vorrebbe sposare l’usurpatore del suo trono. Inizialmente, sembra che sia stanca di essere nubile, ma più la trama progredisce, più si comprende che sia realmente innamorata di Maccabruno. Ha, però, giurato che attenderà per tre anni il ritorno di Buovo e, solo nel caso in cui l’amante non dovesse far ritorno, sposerà il rivale.
Il personaggio di Drusiana è molto ambiguo e affatto semplice, poiché vive una tormentata guerra interiore tra quello che dovrebbe essere il suo “compito”, attendere il ritorno di Buovo, e quello che vorrebbe fare, sposare il suo rivale che è, a sua volta, perdutamente innamorato di lei, e che a lei tiene più che al regno. Insomma, un “cattivo sentimentale”: quando, infatti, vede Drusiana perdere conoscenza per lo spavento dovuto alla vista di un orso, manda a chiamare medici a destra e a manca. E nessuno riesce a guarirla, perché nessuno riesce a comprendere le reali ragioni del suo male, finché non giungono Striglia e Buovo travestiti, questa volta da medici.

Ed è in quel momento che Buovo scopre che la sua amata Drusiana è innamorata di Maccabruno e che gli è rimasta fedele solo per tener fede al giuramento. La rivelazione viene fatta sotto gli occhi ben lieti di Menichina, a cui Buovo ha promesso le nozze nel caso Drusiana non gli fosse rimasta fedele. Nelle vesti di medico, Buovo non può rimaner impassibile e mostra la sua disapprovazione nei confronti di Drusiana, facendola pentire dei suoi sentimenti e rafforzando la convinzione che debba perseverare nella sua fedeltà perfino oltre il limite temporale pattuito con Maccabruno. Tale scelta di certo non piace a Menichina, se non fosse che una notizia sopraggiunge a mescolare, ancora una volta, le carte: la finta morte di Buovo, messa in circolazione da Striglia, affinché possano compiere indisturbati il colpo di stato e zittire Capoccio, sempre pronto ad avvisare il suo padrone.
A questo punto, Drusiana non può che convolare a nozze con il suo vero amore, il giorno stesso del finto funerale di Buovo che va a coincidere con il golpe pianificato. Capoccio che, come direbbe Dante, è come la fama e muta vento come muta lato, torna sui suoi passi e segue Buovo, quale nuovo padrone, e lo aiuta a riprendersi il trono. Il valente protagonista recupera il regno e, invece di vendicarsi su Maccabruno e Drusiana per il trattamento subito, si mostra benevolo e consente loro di sposarsi, dopo aver donato un marchesato da governare. Buovo, inoltre, darà la sua benedizione a Striglia e Cecchina e, finalmente, sposerà Menichina.

Sottolineata dalla bellezza della musica di Traetta, quella di Goldoni si rivela una splendida commedia, totalmente priva di banalità: Buovo non sposa Drusiana, come ci si aspetterebbe, ma la povera figlia di un mulinaro, Menichina, un personaggio fuori dagli schemi e che non manca di essere irriverente con Buovo, specialmente nel terzo atto. Per non parlare di Maccabruno che non impersona il solito cattivo, ma un personaggio impulsivo, affatto senza cuore, di cui Drusiana finisce con l’innamorarsi, sebbene sia così difficile ammetterlo, visto che non sta bene innamorarsi del cattivo e scordarsi del buono… del Buovo, in questo caso.
Ma motore di questa storia sono proprio le donne, a cui Goldoni dà parola, potere e azione, nonché la possibilità di ottenere l’amore che desiderano, anche se si tratta del cattivo, anche se si è innamorati del ricco, anche se siamo nel Settecento. Complessità, ambiguità e ironia che, nella riduzione andata in scena, non si colgono interamente, affidando al contastorie dettagli che il pubblico dovrebbe intuire e scoprire da solo, nel corso di un’opera lirica così deliziosa e complessa. Ma va pure detto, che le novità introdotte dal regista servono a non perdere il filo, perché, certo, con una storia così bella è impossibile che l’attenzione cali.

Lo spettacolo, nell’ambito dell’iniziativa “Discovering Traetta”, è stato realizzato in collaborazione con i conservatori di musica di stato pugliesi e di Matera e con il premio internazionale di canto lirico “Valerio Gentile” di Fasano. Le musiche di Traetta sono state eseguite dall’orchestra della Città metropolitana di Bari diretta dal maestro Vito Clemente, che ne ha curato anche la revisione con Silvestro Sabatelli e Maurizio Pellegrini.
Ed ecco gli artisti in scena: Buovo d’Antona (Oronzo D’Urso/Ma Yumeng), Striglia (Cao Peiyun/Cho Hyunmo), Maccabruno (Angelica Mele/Ivana Cammarota), Drusiana (Andrea Trueba), Cecchina (Donatella De Luca/Anna Cimarrusti, Menichina (Anastasia Abryutina/Francesca Gangi), Capoccio (Nicola Cosimo Napoli/Johnny Bombino), solisti vincitori dell’audizione a ruolo; Contastorie William Volpicella. Maestro collaboratore al pianoforte Leo Binetti; scenografia e costumi di Romeo Liccardo.