Per fare politica affidiamoci alla bussola della Costituzione

Con il prof. Guido Rodio, Città dell’Uomo riflette, a Bitonto, sul ruolo sempre attuale della Carta fondativa per la vita dello stato democratico

Perché, nel biennio 1946-48, i padri costituenti sentirono il bisogno di mettere per iscritto una Costituzione che regolasse il comportamento di tutti i cittadini, ai quali sarebbero state affidate funzioni pubbliche? Lette oggi, le norme contenute in quella Carta manifestano una volta di più la sensibilità dei costituenti per un ordine giuridico che si affidava non soltanto al rigore delle regole formali ma anche alla costruzione di un ambiente civile all’interno del quale potessero essere esercitate le “virtù repubblicane”.

Fu il giurista calabrese Costantino Mortati (1891-1985) a teorizzare, nel volume La Costituzione in senso materiale (1940), la coppia concettuale “costituzione formale-costituzione materiale”; la seconda, che abbraccia nella sua definizione i partiti politici, i gruppi economici e sociali capaci di incidere sul funzionamento delle istituzioni è in piena sintonia con la prima, incentrata sui principi fondamentali enunciati dai primi articoli.

Nei decenni successivi alla caduta del fascismo, la teoria di Mortati, figlia della stagione dei grandi partiti di massa, ha subito varie fluttuazioni di significato. Venuti meno i figli dei costituenti è caduto anche il presupposto di fatto su cui si era retta la versione corrente di costituzione materiale. Resta il testo della costituzione formale. Attualmente ci si chiede se e in quale misura la classe politica del futuro si riconoscerà nei principi da essa enunciati.

La Costituzione italiana, a poco più di settant’anni dall’entrata in vigore, rappresenta ancora oggi un baluardo per la democrazia, perché i valori su cui si fonda hanno una valenza universale, tant’è vero che sono assurti a modello per l’Europa tutta; perfino la Costituzione spagnola del 1978 si ispira, nelle sue linee essenziali, ai principi della nostra Carta costituzionale, frutto di un’attenta e ponderata riflessione dei suoi padri fondatori. Questi ultimi, colti e lungimiranti com’erano, in nome della lotta antifascista guardavano a un paese in cui la democrazia e il progresso sarebbero state la bussola per il futuro”, esordisce Raffaele Guido Rodio, docente di diritto costituzionale, presso la facoltà di Scienze politiche, all’università di Bari.

Il professore è intervenuto al quinto appuntamento della serie di incontri organizzati da Città dell’Uomo, scuola di formazione politica bitontina. Fuoco prospettico della sua riflessione è stato il ruolo della Costituzione tra i “principi” che quest’ultima enuncia e la “realtà”, vale a dire la loro applicazione quotidiana.

La Costituzione nacque dall’incrocio fra concezioni diverse che mettevano capo a visioni del mondo altamente differenziate. Due di queste, in particolare, si intrecciarono fecondamente tra loro, sostanziando le linee fondamentali della Carta. Da un lato, quel personalismo cattolico e solidale, centrato sulla figura della persona umana, intesa relazionalmente nel quadro di una società solidale; dall’altro, un’antropologia di tipo marxistico, centrata sulla fondamentale valenza antropogenica del lavoro, tema che, non a caso, ricorre con una certa assiduità nel dettato costituzionale: l’uomo è un essere sociale che si relaziona agli altri proprio perché, in sé, non è autosufficiente.

All’indomani di queste lunghe e interminabili discussioni fra la corrente di pensiero facente capo alla neonata Democrazia cristiana e quella che, invece, aveva nel Partito comunista il suo riferimento, sulla base di un “compromesso storico” ante litteram, si procedette all’edificazione dell’impalcatura fondamentale della Carta costituzionale.

I principi enunciati dalla Costituzione sono l’esatta trasposizione, in termini giuridici, di un quadro di valori condiviso che una qualsiasi comunità sceglie di adottare, anzitutto, in quanto consoni alla sua visione del mondo e, poi, perché li ritiene più idonei a garantire la convivenza fra i cittadini con la minore conflittualità possibile. Privilegiando una prospettiva assiologica, i nostri padri costituenti optarono per alcuni diritti inalienabili dell’individuo, quali la tutela della persona umana, la salvaguardia del pluralismo, la difesa del principio di uguaglianza e così via. Tali valori, dalla forte pregnanza etica, si tradussero, poi, in principi da trasmettere soprattutto alle nuove generazioni”, prosegue Rodio.

Ma come si configura la Carta costituzionale? Quale, cioè, la sua essenza? “La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata -si legge nelle disposizioni finali- come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato”.

Si comprende da queste righe che la Costituzione non è una legge qualsiasi, bensì la legge fondamentale dello stato perché si pone al di sopra di tutte le altre; giuridicamente è superiorem non recognoscens, in ragione del fatto che nessun tipo di decreto legge o norma possono o debbono entrare in contrasto con essa”, spiega Rodio, soffermandosi, nella fattispecie, sull’articolo 13, dove si dice che la libertà personale è inviolabile, e sull’articolo 21 che pone al centro la libertà di manifestazione del pensiero tramite ogni mezzo di diffusione.

Eppure, dagli anni Ottanta ad oggi, è stata forte la tentazione (al netto dei fatti, rivelatasi un’illusione) della classe politica di riformare la Costituzione, istituendo apposite commissioni parlamentari e comitati di studio con l’intento dichiarato di correggere la forma paritaria del bicameralismo perfetto, puntando a un presidenzialismo sul modello francese. Tuttavia, dalla commissione Bozzi (1983) alla proposta del governo Renzi (2016), pur nei diversi orientamenti politici succedutisi, ogniqualvolta la proposta di riforma ha cercato di avanzare per via parlamentare si è puntualmente arenata dinanzi alla volontà popolare.

Mai, però, una tale deriva si era manifestata con tanta nettezza, ampiezza e brutalità, mettendo in discussione l’intero impianto dello stato repubblicano. L’attacco, frontale, ha voluto colpire lo stesso patto fondativo della repubblica: quella Costituzione che, in origine, fu concepita come un meccanismo perfetto in quanto basato su una serie di ingranaggi complicati ma, al tempo stesso, efficienti. Essa si conclude con un articolo, il 139, che oggi esige una particolare attenzione: la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Significa che il nostro sistema costituzionale presenta una serie di caratteristiche che definiscono la nostra forma repubblicana e che non possono essere modificate senza passare ad un regime diverso. Considerare la Costituzione un documento giuridico al pari di altri, piegandola a fini congiunturali, equivale a spogliarla di quel significato simbolico in cui risiede la sua forza”, precisa il professore.

Il presidente Enrico De Nicola firma il testo della Costituzione – 27 dicembre 1947

Soprattutto nell’ultima fase della storia repubblicana, le maggiori funzioni di garanzia democratica si sono concentrate in due istituzioni: il presidente della repubblica e la corte costituzionale. Ma ciò non è dipeso, forse, da un’impropria volontà di potenza quanto da un progressivo indebolirsi del sistema dei controlli, dei pesi e contrappesi che caratterizzano l’architettura costituzionale e dei quali non ci si è preoccupati quando è cominciata la stagione delle «spallate», delle manipolazioni delle leggi elettorali, del bipolarismo ad ogni costo, della «governabilità» senza aggettivi.

Quale distanza, quale abisso ancora ci separano dalla volontà di ridare la bussola costituzionale al funzionamento dell’intero sistema politico? Intendiamoci. È legittimo lo scetticismo di una fetta di cittadini nei confronti di una Costituzione che è sembrata essere fine a sé stessa poiché non ha tenuto nel giusto conto la dimensione politica. Giusta preoccupazione.

A condizione, però, che la sacrosanta invocazione di una politica non più latitante abbia quei solidi fondamenti che debbono essere trovati proprio nei principi costituzionali. La prima bussola resta la Costituzione repubblicana. Una bussola che viene da lontano: dai morti, dai campi di concentramento, dalle sofferenze di oltre vent’anni di assenza di democrazia. Oggi più che mai, pertanto, abbiamo bisogno di una politica che torni ad essere costituzionale”, conclude il professore.