Un evento alla sua seconda edizione, che ci si augura sia di successo come la prima. Viviamo l’epoca degli chef televisivi, maestri del buon mangiare. Ma spesso si dimenticano i territori, rischiando di promuovere una cultura gastronomica amorfa e senza storia. Il linguaggio televisivo massifica, si sa. Mancano, invece, pochi giorni, all’arrivo a Lecce dei foodchangers, “cuochi per il cambiamento”, che hanno inciso e continuano ad incidere sulla vita dei territori, oltre che essere portatori sani di una peculiare cultura gastronomica.
L’evento andrà in scena nel capoluogo salentino da lunedì 15 a mercoledì 17. Appuntamento a Torre del Parco, splendida dimora quattrocentesca alle porte della città. Un evento aperto a tutti.
Ma in che senso agisce il cambiamento promosso dai cuochi? A partecipare alla rassegna, intanto, saranno chef da tutto il mondo, persone che nella cucina vedono “un laboratorio di idee e di valori” e che fanno “del rispetto del pianeta una pratica giornaliera, diventando esploratori e portavoce di un nuovo umanesimo”. Un nuovo umanesimo a partire da come si mangia? Esagerato, forse? Macché! Lo è solo nella visione ristretta anche di una cultura o di un’erudizione che relega determinati argomenti a trattazioni di serie B, come se il mangiare non ci riguardasse nello specifico, non toccasse i nostri aspetti biologici, dunque la vita stessa dell’uomo.
Sul palco saliranno non solo alcuni dei campioni della cosiddetta “haute cuisine” e professionalità esemplari nell’ambito del management d’hotel, ma anche storie in grado di incidere concretamente nella quotidianità dei territori.
Perché il legame con l’uomo e le sue storie lo si crea negli ambienti dell’uomo stesso. Non, quindi, il solito spettacolo (il cosiddetto ed abusato “cooking show”, magari), piuttosto storie di cuochi in grado di guardare oltre lo spazio esiguo del proprio esercizio e, quindi, del solo interesse imprenditoriale, investendo sul valore della solidarietà (sociale e culturale), della crescita collettiva, della ricerca che fa conoscere, ai cittadini e ai visitatori, paesi e regioni ancora in gran parte da apprezzare.
Superamento dell’egoismo, un discorso autenticamente civico e dunque, appunto, culturale. Ma come “funzioneranno” le speciali giornate? In cattedra, oltre agli chef, saliranno anche i docenti delle scuole di formazione professionale dedicate al personale di sala e d’albergo, ad esempio. E poi ci saranno degustazioni professionali, cene a tema. Gli chef racconteranno, principalmente, le proprie storie e le esperienze legati ai territori.
Cibo e città, cibo e bellezza, cibo e storia. Questi i binomi irrinunciabili. Temi abusati anche questi? Può darsi. Ma è la dimensione internazionale a dare valore a quest’iniziativa. E poi, particolare non certo da poco, la nostra Puglia eletta a terra ideale per un discorso di così irrinunciabile formazione culturale.
Forse, è davvero il tempo che anche la grande “industria” del cibo, al di là talvolta di una retorica anche ormai turistica sul concetto del chilometro zero, cerchi e trovi sempre più soluzioni nel rispetto dell’ambiente, delle persone, del nostro mondo e del nostro tempo. Questo appuntamento sembra assai utile, in questo senso. Informazioni a proposito dell’evento su www.foodexp.it.
Ecco i nomi dei “foodchangers”: Aimo Moroni (proveniente da Milano), Corrado Assenza (Noto, Siracusa), Riccardo Canella e David Zilber (Copenaghen), Franco Pepe (Caiazzo, Caserta), Josko Gravner (Gorizia), Vincenzo Donatiello (Cuneo), molti dalla Calabria (Nino Rossi: Santa Cristina d’Aspromonte, Reggio Calabria; Antonio Biafora: San Giovanni in Fiore, Cosenza; Caterina Ceraudo: Strongoli, Crotone; Luca Abbruzzino, Catanzaro), Valentino Palmisano (Norcia, Perugia), poi un altro milanese, Diego Rossi, infine i romani Francesca Barreca e Marco Baccanelli e i fratelli pugliesi Vincenzo e Francesco Montaruli, di Ruvo.