Da carnevale ogni amore vale

Con il carro di Deni Bianco, rivisitazione del celebre dipinto di Gustave Klimt, a Putignano sfila la passione omosessuale

Semel in anno licet insanire. Lo sanno bene gli artisti e i cartapestai che ogni anno si sfidano per conquistare il primato nella sfilata del Carnevale di Putignano, il più antico d’Europa, giunto quest’anno alla sua 625a edizione. Ma prima ancora della proclamazione del vincitore, a rubare la scena sui social e non solo, è l’opera realizzata dal maestro Deni Bianco, una rivisitazione del celeberrimo Il bacio (Der Kuss), dipinto a olio su tela di Gustav Klimt realizzato nel 1907-08 e conservato nell’Österreichische Galerie Belvedere di Vienna.

Il capolavoro del pittore austriaco, onnipresente nelle litanie rituali di San Valentino e riprodotto ossessivamente su magliette, scatole di cioccolatini, biglietti di auguri, poster e locandine, acquisisce in questo contesto finalmente un (nuovo) senso: non più vuoto simulacro di un romanticismo deleterio e melenso da baci perugina, ma opera d’arte che, malgrado sia passato più di un secolo, ha ancora qualcosa da dire.

Il soggetto è noto. Una coppia di amanti che si abbandonano all’estasi di un bacio, immersi in un’atmosfera sognante e luminosa e inginocchiati su un prato colmo di fiorellini colorati, locus amœnus che rimanda a una tradizione secolare, codificata, cristallizzatasi nel tempo.

Il carro del bacio (foto dalla pagina ufficiale del Carnevale di Putignano)

Immagine iconica dell’amore, della passione senza limite, di un eros pudico e tenero che sotto il mantello dorato nasconde tuttavia pulsioni irrefrenabili, sotterranee, vitali. Una sorta di paradigma ideale, di modello erotico per eccellenza, tanto più potente quanto più radicato nell’ immaginario collettivo. Ed è proprio lì che si insinua la carica eversiva dello stravolgimento carnevalesco, dello spirito irriverente e caustico che gioca con le certezze per il gusto di capovolgerle, di manipolarle, di manometterle.

Gli amanti di Deni Bianco sono due uomini abbracciati, colti nell’attimo prima che le labbra si sfiorino, che si muovono in senso circolare a simulare l’emozione che avvolge, il desiderio che avvince, l’amore in tutta la sua potenza.

Il carnevale, si sa, è il momento del mondo alla rovescia, della rottura degli schemi, del sovvertimento delle regole, del caos che irrompe in un cosmo che si prepara alla rinascita. Ma qui si va oltre il mero capovolgimento parodico, in questo caso la reinterpretazione di Klimt acquista una forza universale, si fa paradigma rinnovato di una pulsione tutta umana, senza la quale nulla potrebbe esistere, neppure noi stessi.

Uno dei carri dedicati al governo: il premier e i vicepremier (foto dalla pagina ufficiale del Carnevale di Putignano)

E il fatto che siano due uomini e non due amanti rigorosamente eterosessuali i protagonisti della scena non è solo una meccanica provocazione, ma l’affermazione coraggiosa e decisa che l’amore è un sentimento trasversale, impossibile da governare o categorizzare e che le leggi morali che hanno bollato l’omosessualità come qualcosa di perverso, osceno o innaturale sono sovrastrutture ormai stantie, quelle sì innaturali, lontane anni luce dalla realtà, destinate – si spera – ad essere smantellate dalle nuove generazioni.

Non è un caso che si scelga proprio una sfilata carnevalesca per ribadirlo, approfittando dell’atmosfera di libertà e di uno spazio finalmente sgombro di pregiudizi; i moralisti e i cosiddetti benpensanti hanno sempre definito il Gay Pride e le manifestazioni di protesta LGBT come grotteschi carrozzoni guidati da mostruose caricature di esseri umani: non sono mancati, infatti, i commenti social di utenti che hanno gridato allo scandalo, definendo l’opera una vergogna, un’ignominia o semplicemente una schifezza. Sarebbe curioso capire cosa li atterrisca così tanto da invocare censure e castighi divini; quasi l’omosessualità fosse una malattia contagiosa come la varicella e la sola vista di due uomini, due donne o due esseri umani che si amano facesse venire le pustole, i pruriti incontrollati e la febbre.

(foto dalla pagina ufficiale del Carnevale di Putignano)

La percezione dell’omofobia nell’era dei social è profondamente mutata. Si è fatta concreta, tangibile, evidente. Non isolata ad episodi di bullismo, di violenza o aggressione, riportati in trafiletti di cronaca locale. Ma “regolamentata”, giustificata e quasi nobilitata dalla libertà di espressione, dall’errata convinzione che ogni opinione debba necessariamente essere esternata, pure se sconfina nell’odio, nel disprezzo e nella discriminazione. Si confonde la libertà di espressione con un’arbitraria affermazione di superiorità, con l’arrogante presunzione di possedere la verità assoluta, con la sicumera di poter decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, invadendo territori intimi, privati e personali che non competono a nessun altro se non all’individuo, al suo corpo e alla sua coscienza.

È il trionfo dell’ipocrisia, della doppia morale e dell’opportunismo, retaggi di conflitti intestini irrisolti e di fastidiose ingerenze cattoliche nella vita di un paese laico sulla carta ma nei fatti ancora impelagato in un passato oscurantista e reazionario; un paese che si sta mostrando sempre più pericolosamente ostile al futuro, alle spinte progressiste e innovatrici, all’apertura verso l’altro, trincerato com’è nella sua personale e antistorica guerra santa contro i poveri, i diversi, gli stranieri.

(foto dalla pagina ufficiale del Carnevale di Putignano)

Sogno un carnevale in cui un bacio omosessuale non faccia più scalpore. Anzi, oso sognare un mondo in cui un bacio omosessuale non sia interpretato come qualcosa di offensivo, provocatorio, osceno. Nel mio personale mondo alla rovescia l’amore è di tutti, indistintamente. Anche di chi ama i baci perugina e i bigliettini sdolcinati e stucchevoli. Anche di chi ascolta terribili canzoni iperglicemiche e organizza improbabili serenate notturne.

Nel mio mondo alla rovescia, è il riso carnevalesco a svelare, ancora una volta, la nostra umanità. Ritroviamola! Riprendiamo a guardarci negli occhi e a riconoscerci tutti esseri umani. Per dirla con Terenzio: “homo sum, humani nihil a me alienum puto”.