Sanremo non è più, finalmente, il tempio sacro della canzone italiana

Tra le testimonianze dell’atteso cambio di rotta, il Premio Azzurra Music, evento collaterale della rassegna, assegnato al giovane autore bitontino Luigi Bianco

L’aria di cambiamento che ha soffiato sulla 69^ edizione del Festival di Sanremo era già palpabile al momento della proclamazione dei 24 partecipanti alla gara: a chi non ha creato un effetto straniante vedere Motta accostato al Volo, o Ghemon e i Boomdabash al fianco di Anna Tatangelo, Paola Turci e i Negrita? Ma, soprattutto, chi erano Mahmood, Einar, Achille Lauro, gli Ex-Otago o i The Zen Circus?

Cantanti come Ultimo, Renga, Irama e persino Nino D’Angelo ce li si poteva aspettare, ma i restanti sembravano avvolti in una nube di dubbio e scetticismo perché davanti a una tale novità non si poteva che sospendere il giudizio e attendere la visione del nuovo spettacolo diretto da Claudio Baglioni. Un’ulteriore prefigurazione del rinnovamento avvenuto nel corso di questa edizione era possibile notarlo anche negli spot pubblicitari partiti dal mese di gennaio sulle reti Rai: sebbene sia stato di dubbia ilarità il vagabondaggio di Rocco Papaleo per le vie di Sanremo guidato dalle mute indicazioni di Baglioni, si è rivelata molto indicativa la rovinosa caduta del conduttore dalle temute scale dell’Ariston: il rovesciamento delle attese e la fine della sacralità e del carattere “integerrimo” del festival erano stati ormai annunciati.

Loredana Bertè, vincitrice morale del festival

Giunti alla serata d’inaugurazione, il trio Baglioni-Bisio-Raffaele si è visto riunito su una piattaforma molto simile a un trampolino, e dopo un breve spettacolo di danza acrobatica si è tuffato sul palco. Agli occhi di uno spettatore pigro e disinteressato le esibizioni dei cantanti in gara potevano sembrare prive di qualsiasi evoluzione rispetto a una tradizione ben radicata; ma sarebbe bastato solo un briciolo di arguzia in più per notare notevoli cambiamenti: infatti, solo pochi artisti sono rimasti fermi in uno spazio circoscritto del palco, perché molti altri hanno preferito sdraiarsi sul pianoforte che accompagnava la propria canzone, misurare l’intero perimetro del palco con volteggiamenti e piroette e scendere tra i posti in prima fila e, magari, attirare qualcuno dalla platea.

Ma a ben vedere persino chi ha mantenuto uno stile più ortodosso si è garantito il favore del pubblico: a Loredana Bertè e Simone Cristicchi, storici cantautori sanremesi, è bastato stare ritti davanti al microfono, affidarsi a una semplice gestualità e abbandonarsi all’emotività più pura per entrare davvero negli animi e nei cuori di milioni di italiani che li vedevano già proiettati sul podio senza ombra di dubbio. Ma così non è stato. Anche questo uno stratagemma architettato dal “dirottatore” artistico Claudio Baglioni?

Oltre che a livello performativo, il festival ha fatto registrare un ricambio anche nei testi: l’amore, cantato fino alle scorse edizioni nelle declinazioni più melliflue e tragiche, ha assunto aspetti più problematici, casuali ma ugualmente totalizzanti, tanto nell’interpretazione drammatico-adolescenziale di Shade e Federica Carta in Senza farlo apposta quanto nei lavori di Nek, che ha composto Mi farò trovare pronto partendo da una poesia di Jorge Luis Borges, e dei The Zen Circus, che hanno proposto una visione totalmente distorta e disorganica – e per questo autentica – del sentimento in L’amore è una dittatura. Anche gli impeti giovanili non sono stati costretti in forme stereotipate, ma hanno assunto le sfaccettature più variegate: si pensi ai toni di denuncia di Rancore, che insieme a Daniele Silvestri ha rappato in un pezzo ben strutturato dal titolo Argentovivo, il disagio di un’intera generazione repressa nella cornice di uno smartphone, o ancora alla manifestazione dello smarrimento sociale ed esistenziale nei versi di Motta, che si è chiesto dannatamente dove fosse l’Italia, dimenandosi sul palco alla ricerca di una risposta.

Ultimo, artista più suffragato al televoto

Da notare, inoltre, una tendenza registrata in molti testi musicali: il sottofondo dominato dalla precarietà. La realtà da cui muoveva il discorso musicale di molti cantanti portava spesso con sé un disagio, una mancanza di adattamento, un’insoddisfazione: “Se non ci penso più mi sento bene” canta Arisa in Mi sento bene; “È solo una canzone, abbracciami per favore” intonano gli Ex-Otago nel loro pezzo È solo una canzone, “Si parla più l’inglese che i dialetti nostri” lamenta con dispiacere Enrico Nigiotti nella ballad Nonno Hollywood, e infine “Mi mancan tutti quei tuoi particolari” ricorda Ultimo ne I tuoi particolari.

Si comprende bene, dunque, come Claudio Baglioni sia riuscito nell’impresa forse più ambita da un direttore artistico: scegliere veri e propri poeti che cantino genuinamente e con sincerità la propria vita o la concezione che di essa si ha. Il cantante del piccolo grande amore ha saputo cogliere al volo l’opportunità di dirigere tanti artisti in un momento storico molto intenso dal punto di vista creativo e ideale, raccogliendo i frutti dei semi sparsi dai precedenti direttori artistici, in un decennio contraddistinto dai giovani e dalle novità: primo fra tutti Carlo Conti, che ha riportato davanti allo schermo di Rai 1 numerosi spettatori persi nel corso degli anni, puntando sul talento del Volo e sulla creatività di Francesco Gabbani.

Questo è stato l’anno dei giovani par exellence, insomma: i big hanno scelto di duettare con giovani cantanti, come si è visto con Nino d’Angelo e Livio Cori e nel caso di Patty Pravo e Briga; Achille Lauro ha incuriosito e infiammato il pubblico con la sua sperimentale Rolls Royce; e infine basta ricordare l’incredibile vittoria di Mahmood, il freschissimo cantante milanese di origini egiziane che si è esibito sulle note di Soldi, un pezzo altamente drammatico, con un arrangiamento originale dalla melodia arabeggiante. La principale ricaduta di questo fenomeno si è registrata a livello mediatico: tanti sono stati i giovani che hanno parlato del festival sui social, rivelando un interesse non affatto scontato per una manifestazione che alcuni utenti considerano ancora una pantomima trita e ritrita.

Il bitontino Luigi Bianco

Nonostante le accese polemiche ancora in atto, che solitamente i grandi artisti considerano il tipico risultato di un’operazione rivoluzionaria, il 69^ Festival della Canzone Italiana può dirsi davvero completo sotto l’aspetto musicale: “Quest’anno c’è stato un po’ di tutto: dalla trap, al rap, al pop, al rock, alla musica d’autore, e questo fa bene alla musica italiana” ha affermato Nek.

Tra le tante novità di quest’anno, anche la partecipazione del giovane bitontino Luigi Bianco alla finale dei Grandi Festival Italiani, manifestazione musicale patrocinata da Casa Sanremo.

Luigi Bianco davanti all’ingresso dell’Ariston

Luigi si è aggiudicato il Premio Azzurra Music per il suo pezzo Fatico a scegliere, considerato il più completo dalla giuria di professionisti musicali per arrangiamento e testo: in questo modo avrà la possibilità di incidere un inedito e di esibirsi insieme alla sua band, The Fireworks, su un’emittente delle reti Mediaset.

“È stata un’esperienza emozionante e toccante. A Sanremo si respirava musica dappertutto. È stato meraviglioso”, commenta Luigi. “Il livello di preparazione e la bravura dei concorrenti erano molto elevati. Confrontarsi con tutti loro mi ha arricchito molto”, dichiara. Al giovane e promettente Luigi l’augurio di una brillante carriera di successi e gratificazioni. Alla musica italiana l’auspicio che torni a essere cantata e apprezzata tanto all’interno del nostro paese quanto nel più ampio panorama internazionale, conservando i tratti dell’atteso ricambio ormai pienamente attestato.

Nell’immagine in alto, Luigi Bianco a Casa Sanremo