Nella nostra inchiesta sul mondo della scuola, imperniata sul ragionato confronto tra l’esperienza del passato e i tempi attuali, non poteva mancare l’intervento di una delle voci più autorevoli del panorama scolastico bitontino. La prof.ssa Giovina Castro ha insegnato latino e greco al liceo classico “Carmine Sylos” per quarant’anni: quelli che un tempo erano i suoi “spaventatissimi” alunni (difficile dimenticare i suoi voti bassi, come, peraltro, le sue preziosissime lezioni) oggi sono stimati professionisti, spesso ai vertici di importanti istituzioni nelle varie articolazioni dell’amministrazione statale. La prova, che i suoi insegnamenti hanno impresso uno stigma particolare in quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla come docente.
Un tratto indelebile che non si è tradotto solo in rigore e in competenza nell’esercizio della propria professione, ma soprattutto, si potrebbe dire, in un atteggiamento di vivace e ostinata curiosità nei confronti della realtà che ci circonda, unito ad un desiderio, mai pago e sempre stimolante, di apprendere e approfondire.
Una condizione intellettuale e psicologica che ha sempre contraddistinto la personalità di Giovina Castro, ancora oggi, nonostante l’età avanzata, pronta ad entusiasmarsi per la lezione degli antichi o per il dibattito culturale contemporaneo più arioso e produttivo.
I suoi alunni la ricordano con nostalgia e affetto, nonostante la sua fama di insegnante molto severa ed esigente. Cosa pensa li abbia affascinati maggiormente?
È vero: ottenere un cinque con me era per i miei studenti un grandissimo risultato. Ero nota per i voti bassi. Ma svolgere una buona traduzione è un compito assai arduo: i ragazzi dovevano sempre sentirsi motivati a migliorare. Devo aggiungere, però, che le mie spiegazioni li hanno sempre affascinati. Penso perchè erano sentite, vere, sincere. Quando spiegavo Lucrezio i miei giovani mi chiedevano se non fossi anch’io epicurea. Ci mettevo tanta passione da perdere il confine tra me stessa e l’autore di cui parlavo. Era come se io stessa fossi stata Lucrezio.
Perché secondo lei è così importante lo studio dei classici?
I greci e i latini hanno già detto tutto quello che c’era da dire. Dopo di loro, non ci sono mai stati picchi così alti. Ci hanno insegnato a essere buoni esseri umani, buoni cittadini; ci hanno tramandato l’importanza della kalokagathìa (l’essere kalòs e agathòs, possedere cioè doti intellettuali e fisiche), la necessità di sapersi sottoporre a un buon esame di coscienza, il comportarsi rettamente per essere in pace con se stessi e non per ottenere delle ricompense. E, soprattutto, ci hanno insegnato una cosa che adesso spesso e volentieri è sottovalutata: i doveri sono più importanti dei diritti. Doveri nei confronti della famiglia, della patria e dell’umanità, come ha chiarito bene Cicerone nel “De officiis”.
Stefano Feltri de “Il Fatto Quotidiano” ha detto che ci sono lauree “inutili” e, tra queste, soprattutto quelle nei saperi umanistici…
Non ho parole! Ma cosa pretendiamo. È gente che non sa nemmeno parlare. Non riescono a concludere un discorso, a terminare un pensiero. Le frasi sono tutte mozze. Per non parlare dei contenuti. Non mi sorprende che poi dicano cavolate del genere.
Pensa sia cambiato negli anni il rendimento dei ragazzi, soprattutto per quanto concerne latino e greco?
Sì e molto. Negli anni prima del mio pensionamento dovevo correggere soprattutto l’ortografia. Per non dire delle conoscenze di base: i ragazzi non sapevano nemmeno chi avesse vinto le guerre puniche. Molti fattori hanno contribuito a questo abbassamento della qualità dello studio. Oggi i ragazzi sono molto più distratti e superficiali di quelli di una volta.
Che rapporto ha con i suoi ex alunni?
La più grande soddisfazione per un insegnante è assistere all’affermazione dei propri allievi. Molti sono diventati docenti, stimati professionisti, ottimi cittadini: sapere di aver contribuito a questo processo di maturazione e realizzazione personale è per me la cosa più gratificante. Con loro ho un ottimo rapporto: hanno dimenticato la mia proverbiale severità e mi vengono a trovare. O forse non l’hanno dimenticata e, anzi, l’hanno apprezzata. Hanno capito che era per il loro bene. Ricordo che una volta alcuni miei ex alunni, che partecipavano alla processione del Venerdì Santo, corsero a salutarmi. Facemmo un tale baccano che la processione dovette arrestarsi per qualche minuto.
Molti insegnanti sono costretti a spostarsi per iniziare la loro carriera…
È giusto che sia così: bisogna essere curiosi, viaggiare per fare ricerca, esplorare il mondo. L’importante è non perdere mai di vista le proprie radici, perché sono fondamentali. Io ho vissuto a Napoli per qualche tempo ma poi sono tornata a Bitonto. Le mie radici si trovano qui.
Quali sono gli interessi che oggi coltiva con maggior passione?
A causa della mia parziale cecità non posso leggere. Così, trovo molto utili gli audiolibri. Ascolto testi letti in gioventù, scoprendo ogni volta nuove sfaccettature, diverse possibilità di riflessione. Rimango ore in poltrona. Dimentico persino di mangiare, completamente assorta nell’ascolto. Può cascare il mondo, io non me ne accorgo. E poi faccio la nonna! Non sono la classica nonna, ovviamente: quella che elargisce caramelle o roba del genere. Con la mia nipotina l’ultima volta, ad esempio, ho parlato di sociabilità. Ho sempre trattato i bambini come adulti. Qualche tempo fa, la mia nipotina è andata dal suo papà, che era stato mio alunno, e gli ha chiesto “sai qual è la forma del periodo?”. E lui ha risposto: “Il cerchio!”. Constatare che un mio insegnamento abbia resistito alla prova del tempo e sia ancora valido, dopo due generazioni, è stato veramente toccante.