“Conservare il ricordo del passato è utile ai giovani d’oggi affinché possano insieme tessere la memoria del futuro: permettere, insomma, che le generazioni a venire possano attingere dal deposito di esempi delle generazioni passate”. Questo l’esordio di Giovanni Impastato, autore di “Oltre i cento passi”, il libro presentato alla Galleria nazionale di Bitonto nella cornice della rassegna “Nel diritto con l’autore”, promossa dal centro studi Sapere Aude, con il coordinamento dell’avv. Francesco Ruggiero.
Il volume, frutto della penna del fratello minore di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nel 1978, racconta con voce accorata il conflitto di chi ha vissuto la mafia e l’antimafia all’interno delle mura domestiche e le battaglie, nel nome della legalità e della verità, portate avanti con il coraggio ereditato da chi spese la propria vita, seppur breve, alla ricerca della “bellezza” che la mafia voleva estirpare.
Peppino Impastato nacque a Cinisi, paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare, in una famiglia in cui la mafia era “la naturale regola dell’universo”.
Il padre Luigi, cognato del capomafia del paese e amico del boss di “Cosa nostra”, Tano Badalamenti, pur non rivestendo un ruolo di spicco nell’ambiente, offriva protezione ai malavitosi della zona. Peppino, al contrario, sebbene fosse cresciuto con un’educazione “d’onore”, mostrò sin da subito una natura differente. Aveva una passione politica innata e il suo attivismo sociale lo spinse a intraprendere un percorso politico-culturale lontano dalla mafia, “che sporcava tutto e toglieva l’anima”. Fu così che fondò il giornale “L’idea socialista” e aderì al Psiup, il Partito socialista italiano di unità proletaria.
Le pagine di “Oltre i cento passi” ricordano, con struggente nostalgia, la spiccata sensibilità del giovane verso i problemi del mondo operaio e contadino, la condanna del militarismo americano, dell’autoritarismo sovietico e del fascismo. “Peppino era un uomo libero, contrario a ogni regime. In particolare alla mafia, il più terribile dei regimi, perché esercita il potere e al contempo si nasconde”, spiega Giovanni.
L’informazione libera e il coraggio della denuncia di cui Peppino era diventato l’alfiere non potevano essere tollerati dalla cosca mafiosa, che accusava il padre Luigi di non aver saputo educare il figlio secondo le “regole dell’onorata famiglia” e, ancor peggio, di averne fatto un nemico. Ne seguì la rottura del giovane con il padre, drammatica ma indispensabile per interrompere la continuità con il sistema.
“Peppino approdò alla politica nel lontano novembre del ’65 su basi puramente emozionali –scrive Giovanni nel suo libro- a partire cioè dall’esigenza di reagire a una condizione familiare divenuta ormai insostenibile”. Il graduale allontanamento da quell’ambiente e la crescente curiosità, che animava l’animo di Peppino, furono il motore della nascita di “Circolo Musica e Cultura”, un luogo di ritrovo a Cinisi dove “respirare aria pulita pur vivendo a mafiopoli e dentro la sua cultura soffocante e ostile”.
Ma la svolta arrivò con la fondazione di Radio Aut, autofinanziata e libera, divenuta strumento di denuncia e di lotta contro il sistema politico colluso con la mafia. “Un laboratorio di impegno e di comunicazione -spiega Giovanni- del tutto innovativo nel panorama della Sicilia degli anni ’70. Peppino, acuto pensatore e precursore dei tempi, si serviva dell’ironia per rivelare le trame occulte e sbeffeggiare i mafiosi, facendo crollare il mito dell’onnipotenza che questi si erano costruiti attorno con arroganza e prepotenza”.

Questo suo irridere l’onore dei mafiosi e dei politici, insieme al suo costante e tenace attivismo politico, determinò la sua condanna a morte: la sua voce insidiosa doveva tacere per sempre. “Ma questo è un errore consueto della mafia: pensare corto. Perché la voce di Peppino da allora non ha più smesso di parlare, di lottare per la dignità delle persone, di illuminare la strada. Da allora, Peppino grida”, ha detto Giovanni.
Egli, che conosceva a fondo le idee del fratello, è consapevole di quanto quelle idee siano attuali e rispondano agli ideali di giustizia che la contemporaneità invoca. È questo il motivo per cui gli ideali di Peppino, la sua unica arma contro rassegnazione e omertà, non possono limitarsi a costruire una figura eroica confinata nel passato ma devono permeare il futuro. “Oggi le forze in campo impegnate a continuare il lavoro di mio fratello sono il Centro siciliano di documentazione Impastato e l’associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato”, informa Giovanni con voce colma di orgoglio.
Il Centro siciliano di documentazione è il primo centro studi sulla mafia sorto in Italia nel ’77 e, nel maggio 1980, a due anni dall’omicidio, è stato intitolato a Peppino. Casa Memoria, invece, è l’abitazione del giovane, le cui porte sono sempre aperte all’accoglienza, per esplicita volontà di Felicia Impastato, una madre coraggiosa, libera dalle catene del codice della mafia che imponeva silenzio ed isolamento.
L’idea di scrivere un libro in cui la vicenda di Peppino funga da cornice in cui raccogliere altre storie, accomunate dalla tenace ricerca della bellezza nel mondo, è per Giovanni l’occasione per rendere sempre più attuali le idee del fratello e andare “oltre i cento passi” che, figurativamente, separano casa Impastato dalla dimora del boss Badalamenti.
“Oltre i cento passi c’è una cultura in fermento e mio fratello è più vivo che mai”, chiosa così Giovanni, ribadendo la necessità di educare le generazioni future, servendosi di esempi del passato, come quello offerto da Peppino, affinché i giovani comprendano che la mafia uccide ma il silenzio degli omertosi e degli indifferenti ancor di più.
La mafia, difatti, non è soltanto un fenomeno criminale ma, soprattutto, un problema sociale e culturale da abbattere con la bellezza, la creatività e la libertà: tre parole che la mafia ha sempre odiato e che, invece, sono di Peppino e ancor più nostre, da condividere con tutti nel presente e nel futuro.