Feroci briganti praticamente brava gente

Mimmo Mancini e Paolo De Vita tornano sulla storia del meridione con uno spettacolo di Marcello Cotugno, in anteprima nazionale al Traetta di Bitonto

Uno spettacolo a metà tra il racconto e lo storytelling. Si preannuncia cosi “Non chiamateli Briganti”, l’ultimo lavoro teatrale di Mimmo Mancini e Paolo De Vita, con la regia di Marcello Cotugno, che andrà in scena al Traetta di Bitonto, in prima nazionale, sabato 12 e domenica 13 gennaio.

“Lo spettacolo nasce da lontano, raccogliendo -spiega l’attore d’origini bitontine Mimmo Mancini-una vecchia idea attorno a un periodo particolarmente complesso e spinoso della nostra storia come quello postrisorgimentale nel sud Italia. Garibaldini, bersaglieri, brigantaggio e questione meridionale sono da tempo al centro del mio lavoro, partendo dalle vicende dei Fratelli Capitoni”. I fratelli hanno dato il titolo, infatti, a un originale pièce del duo Mancini-De Vita, rappresentato sulle scene di tutto il paese.

Ecco ora la conferma con uno spettacolo preparato in fretta, “cotto e mangiato” in realtà già nel 1991, presentato nel teatro “In Trastevere” a Roma. Su questo interesse ritrovato nacque ancora un altro spettacolo, due anni fa, “Se la legge non ammette ignoranza, l’ignoranza non ammette la legge”, proposto persino nelle Grotte di Castellana.

Ora il sequel, continua ancora Mimmo, “realizzato con la consulenza storica di Valentino Romano, un autentico topo da biblioteca, eruditissimo sulla questione. Grazie anche al suo impiego alla Biblioteca Nazionale di Roma, da anni compie interessanti ricerche: ci ha fatto così scoprire pagine inedite della vicenda, in anni che vanno dal 1858 al 1867, quando il brigantaggio sarà definitivamente debellato”.

“Una parte importante l’ha svolta anche Marino Pagano, giornalista con formazione come ricercatore storico, specie nella conoscenza di fatti e persone relative alla storia di Puglia”, precisa Mancini.

non chiamateli briganti
Mimmo Mancini

“Lo spettacolo -tiene a precisare Paolo De Vita- mette insieme due cose: l’Italia di quel tempo, divisa tra sabaudi e filoborbonici, attraverso le disavventure di due fratelli che vivono quel periodo storico con tutti i loro limiti umani. Sono due guitti, due giullari; si può dire che hanno carta bianca perché non sanno. Un contadino e un pastore, profondamente ignoranti, che vivono sulla loro pelle ciò che accade: senza capirci quasi nulla, vengono però travolti dal vento della storia”.

Un racconto difficile da portare sulla scena? “Per delineare questo momento –spiega De Vita- senza scadere nel banale e cercando di non dare ragione ad alcuno, ci siamo affidati al regista Marcello Cotugno, abile nel fornire un corpo teatrale alle vicende di questi due poveracci, che in fondo rappresentano una buona parte degli italiani, quella anche dei voltagabbana. Facendoci crepare di lavoro, credo sia riuscito nei suoi intenti!”.

Il regista osserva Mimmo e Paolo; sembra un personaggio proveniente da una sorta di terra di mezzo: quando gli chiedo come il Sud esca da questo spettacolo, lapidario mi avverte che l’idea è quella di “non fornire una scelta di parte, quanto di scattare un’istantanea, lasciando al pubblico la curiosità di continuare ad interessarsi della vicenda, per niente conclusa”.

“Ci preme lasciar vivere al pubblico -spiega Cotugno- la percezione propria del teatro moderno: fare domande, fornendo maniglie per poi magari far aprire delle porte, se gli spettatori vorranno. I due attori hanno fatto un lavoro immenso, si sono documentati moltissimo”. “Non chiamateli Briganti” alla fine appare un dramma risorgimentale quasi remixato, con una serie di aneddoti e storie, nutrito da un consistente lavoro musicale che risente delle ricerche dell’etnomusicologo Alan Lomax, studioso che negli anni ’50 raccolse in tutto il mondo canti orali, anche nel Salento.

non chiamateli briganti

La musica dello spettacolo raccoglie parte di quella ricerca, attinge alla tradizione napoletana del ‘600, si immerge nel mare e nella terra leccese e viene contaminata dalle sonorità moderne, specie quelle del genere dubstep.

“È un crossover”, sostiene Cotugno. “Gli attori entrano ed escono continuamente dai canoni del teatro comico come da quello drammatico. Il cabaret dei Fratelli Capitoni viene remixato, questa volta, in veste storica, teatralmente ineccepibile, fino ad una sorta di straniamento brechtiano. In un nanosecondo si passa da personaggio a narratore”, conclude il regista.

Le scene sono di Sara Palmieri, i costumi di Noemi Intino, aiuto regia di Martina Gargiulo, le scenografie del laboratorio di Mauro Rea, l’impianto audio-luci di Power Sounds di Fabio Fornelli & Co. La produzione, fortemente voluta dall’amministrazione comunale di Bitonto, è del teatro Traetta e della Compagnia del Sole di Bari.

“Vorrei il calore di un teatro pieno, come un grande abbraccio, per questa prima. E vorrei che vengano a teatro quelli che non ci sono mai stati, per apprezzarlo e magari per ritornarci”, l’appello finale di Mimmo Mancini che Primo piano rilancia a tutti i lettori.

Nella foto in alto, Mimmo Mancini, Marcello Cotugno e Paolo De Vita