La verità sul caso più discusso della storia della Repubblica non è stata riportata sulle perizie ufficiali delle due commissioni parlamentari d’inchiesta, ma nelle 439 pagine dell’ultimo lavoro realizzato dal giornalista dell’Ansa, Paolo Cucchiarelli, L’ultima notte di Aldo Moro. Dove, come, quando, da chi e perché fu ucciso il presidente DC. Pubblicato per Ponte delle Grazie nell’aprile di quest’anno, il libro è stato presentato dallo stesso Cucchiarelli, nel corso di un incontro a Bitonto, condotto dai giornalisti Mario Sicolo e Michele Cotugno Depalma.
La ricorrenza del quarantesimo anniversario del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro può essere considerata un valido motivo per rivolgere la propria attenzione verso un caso sostanzialmente archiviato.
Ma l’intensa attività giornalistica di Cucchiarelli testimonia come lo stesso anniversario sia piuttosto una coincidenza fortuita nel quadro più ampio del suo impegno ventennale nel dispiegare i filamenti aggrovigliati di una verità complessa e intricata; una verità che lo stesso autore definisce politica, affermando che “qualsiasi fatto che potrebbe incrinarla non viene considerato”.
Le versioni ufficiali hanno fatto dei brigatisti gli unici artefici ed esecutori dela strage di via Fani e del rapimento, col successivo assassinio, di Aldo Moro, entrambi portati a termine senza alcuna variazione ai piani originari. Ma l’approfondimento dei fatti e delle relative circostanze consente di tracciare un quadro ben diverso dal resoconto fornito e sottoscritto dai rappresentanti dello stato. L’indagine del giornalista investigativo, condotta con l’aiuto di un esperto balistico e di un medico legale per analizzare la scena del crimine e le modalità dell’omicidio, ha portato a galla non solo particolari ma veri e propri fatti, sconvolgenti tanto per la tipica sorpresa suscitata dalla novità quanto, e soprattutto, per la fitta rete di interessi, “cooperatori e piloti”, svelati al lettore.
Cucchiarelli ha sottolineato, innanzitutto, il ruolo di una struttura clandestina dell’intelligence americana, il Secret Team, nell’agguato e nella prigionia di Aldo Moro; in secondo luogo il carattere itinerante della stessa prigionia, che ha visto il leader democristiano trasferito in varie zone di Roma e del Lazio, al fine di scongiurare possibili blitz da parte delle forze dell’ordine. Infine, le circostanze improvvise del suo assassinio – con tanto di simulazione pratica e pistola alla mano – eseguito nel momento in cui Moro stava per essere liberato e consegnato a un alto prelato, mons. Cesare Curioni, scelto come intermediario tra le Br e il vaticano da Paolo VI per la sua esperienza di cappellano nelle carceri lombarde.
Oltre che dall’evidenza dei fatti, dall’incrocio delle fonti e dalla raccolta di documenti, secondo un metodo storiografico ad hoc, la ricostruzione del caso operata da Cucchiarelli è corroborata da numerose testimonianze, compresa quella di mons. Fabio Fabbri, ex vicario di mons. Curioni, intervenuto nella prima parte della serata: in particolare, le sue dichiarazioni confermano l’esistenza di una “trattativa” tra il papa e i brigatisti tra l’aprile e gli inizi di maggio per la liberazione di Moro, accordata in cambio di dieci miliardi di dollari “che io stesso ho visto coperti da una trapunta di cediglia azzurra”, ricorda don Fabio, “donati alla chiesa da un imprenditore ebreo della famiglia Bata, che dà nome al famoso marchio di calzature”.
Se, dunque, le varie forze in gioco, che andavano dal presidente della Repubblica e dai partiti politici sino alla Raf (i terroristi tedeschi di estrema sinistra), avevano raggiunto un accordo sulla liberazione di Moro, nonostante il bipolarismo internazionale e i singoli interessi individuali e di partito, perché Aldo Moro fu colpito a morte con più proiettili dal calabrese Giustino de Vuono alle 3.35 del 9 maggio 1978 nella Renault 4, in un box tra via del Governo vecchio e via della Chiesa nuova a Roma?
Perché tanto gli Stati Uniti quanto il Kgb, che addestrava e istruiva i brigatisti, hanno contribuito all’omicidio di un politico, che lavorava per il bene del Paese e della democrazia senza etichette di fazione? Perché lo Stato continua a ristagnare nell’approssimazione di una verità politica che probabilmente non sarà mai riconosciuta e accettata pubblicamente? Cucchiarelli risponde chiaramente a questi e a numerosi altri interrogativi nel suo dossier, risalendo a quella verità che il magistrato Fioroni, presidente della Terza commissione parlamentare d’inchiesta sul caso, ha definito “tombata”, nell’amara consapevolezza che il caso non sarà più riaperto. “I dati erano disponibili da tempo. Se avessero voluto indagare, l’avrebbero già fatto”, ha concluso Cucchiarelli.
Nella foto in alto, in primo piano, mons. Fabio Fabbri e Paolo Cucchiarelli