Le appassionate solitudini delle donne di Franco Carbone

L'architetto bitontino torna alla pittura con una suggestiva galleria di volti femminili alla pinacoteca De Napoli di Terlizzi

L’espressione di un discorso che lascia spazio all’interpretazione. Sguardi che cercano un appiglio, forse, nella stessa acuta attenzione dell’osservatore. Spigolosità all’incrocio, dunque: di chi è guardato, volto altero e colmo dell’assenza-presenza cara ai poeti; di chi guarda, fermo nel caos alla ricerca di un ordine. Franco Carbone, architetto e artista bitontino, dipinge sguardi coinvolti in maree di apparenti, incomunicanti solitudini. Una sua personale è in corso in questi giorni a Terlizzi, alla pinacoteca De Napoli, fino al 15 dicembre. Al vernissage, oltre all’autore, è intervenuto l’artista e scrittore molfettese Raffaele Cappelluti, amico personale di Carbone.

Le opere in mostra sono di fattura recente, degli ultimi tre anni, per lo più in acrilico. Laureato nel 1975 e collaboratore in restauro del noto architetto Angelo Ambrosi, Franco dipinge da sempre, ma a fasi alterne, con ammessa “discontinuità”. Finalmente ha superato anche una certa ritrosia e così, da qualche anno, i suoi estimatori hanno potuto godere di qualche esposizione pubblica.

Nelle sue tele, anelanti volti femminili, al centro anche dell’intervento di Cappelluti. Un interrogativo subito preme: donne cupe in sé? Noi non lo crediamo. Le preferiamo, in realtà, non misteriose autrici dell’oscuro ma sinistramente avvinte da un cupo che non risiede tanto nei colori o negli sguardi stessi o nella geometria ieratica dei profili quanto, piuttosto, nel subire questa dimensione rigorosa e sospesa, tuttavia non senza una qualche ricerca di speranza. Sono donne (e sono solo donne) che aspirano arrivi da non meglio precisati altrove, che odono voci per noi e selezionano il chiasso per significarlo sotto la specie di un pensoso silenzio, che non è tiepido o informe, ma che trasmette un suo contenuto.

Ci sono poi le linearità a distinguere la campitura, aspetto che si deve indubbiamente all’architetto. Asciutto e severo è il volto ritratto, dalle proporzioni robuste e significative rispetto all’intera superficie del piano di lavoro: questo dice una preminenza che va oltre il dato fisico e si fa anzi ancor più pregnante quando la si immagina naturalmente allusa oltre il quadro stesso, in uno sguardo che non finisce e che spazia (verbo chiave del ‘900 artistico) senza recinti. Immagini, allora, non vacuamente compiaciute nell’evanescente. Immagini del dubbio, che interrogano e si interrogano. Non sorridono le donne, vero, né sfiorano alcun ebetismo.

Donne esili, tristi d’accenno, eleganti. Persino dal non “taciuto” eros. Non indicano qualcosa o qualche pensiero in maniera didattica. Ma qui, proprio qui, si accasa il fascino di questi sguardi. Davvero, al di là di ogni gioco ambiguo o sbilenco: sguardi distesi ma non distensivi per chi li ammira; calmi ma non spenti, accesi anzi alle interpretazioni; quasi sognanti ma non nel senso dell’espressione evocativa durante il sonno, piuttosto chiusi alla razionalità didascalica che tutto vuole sapere o annotare e, dunque, schiusi a tutti gli sguardi possibili, inscenando mondi e costruendo il proprio spazio di libertà.

Una mostra da non perdere: il silenzio non opprime, semmai raccoglie e allora ci si sente affratellati, assieme a Franco e alle sue donne rese in pittura, in un percorso di mirata ricerca e di conseguente autenticità. Una verità che si trova, compiendosi, nel suo stesso cercarsi.

Nelle foto, alcune opere di Franco Carbone in mostra alla pinacoteca De Napoli di Terlizzi