Antilia è una terra leggendaria, quella che potremmo chiamare “l’isola che non c’è”. In questo ambito ipotetico e neutrale, alcuni giovani creativi hanno pensato di ricavare uno spazio ideale dove discutere di paesaggio, nel significato più globale del termine. Oggi più che mai, questa dimensione del territorio, che include gli edifici quanto il non costruito, è infatti al centro del dibattito che coinvolge molte discipline, sia tecniche che artistiche. La scelta di adottare il nome Antilia per una galleria di arte itinerante, pertanto, non è casuale, ma sta proprio a indicare la visionarietà insita nell’approccio che si intende dare a un argomento di estrema attualità.
Così, partendo da un luogo senza forma né localizzazione, artisti, architetti e fotografi hanno cominciato a confrontarsi, mediante le varie interpretazioni, generando un dibattito vivace e trasversale sul grande tema del paesaggio. La galleria Antilia, come spiegano i suoi creatori, ha l’obiettivo di abitare “spazi latenti da rigenerare dove intessere nuove relazioni in contesti ogni volta diversi”. Un progetto a suo modo ambizioso che intende stimolare una riflessione di respiro collettivo partendo dalla visione individuale.
Inaugurata in un sottano di Gioia del Colle, la galleria è approdata, in questi giorni, a Bitonto con una mostra inedita e davvero interessante, intitolata “Mirabilia – Interpretations of Italo Calvino’s Invisible Cities” e curata dagli architetti Fabiana Dicuonzo e Giuseppe Resta. Al Torrione angioino, fino al 15 dicembre, è così possibile osservare le inusuali installazioni di cinquantacinque modelli, realizzate da altrettanti autori internazionali e ispirate ai famosi racconti di Calvino.
L’accostamento dell’arte alla letteratura è solo l’ultimo orientamento preso da un gruppo di sperimentatori, di cercatori di risposte in un caos epocale, dove lo spazio si smaterializza e le relazioni si aggrovigliano. Qui si innesta la riflessione di designer, artisti e architetti, professionisti dell’estro, indagatori del nuovo millennio.
La mostra, come spiegano i curatori, “è incentrata sull’idea di utilizzare il modello come strumento di indagine per comprendere le relazioni dello spazio con alcuni principi quali leggerezza/pesantezza, riflessione, colore, materiale”. Un ulteriore elemento di innovazione consiste poi nel raggruppare le idee di queste ricerche per farle “convergere su un libro di narrativa studiato in tutte le scuole di architettura del mondo”.

L’opera calviniana “Le città invisibili” è infatti, ancora oggi, un vero riferimento non solo nella letteratura ma anche in tutte quelle discipline che esplorano le dimensioni materiali e immateriali del mondo, come la matematica, l’astronomia e, non in ultimo, l’architettura. Ogni modello proposto nella mostra promossa da Antilia è il racconto artistico del racconto letterario di città fatto da Calvino nella sua opera.
“È una sorta di carotaggio profondo nel significato di ogni testo – sottolineano i curatori -; anzi, è forse il medium tra il racconto e l’oggetto, tra quello che si dice e quello che si vede”. Questo terreno comune è il tentativo di stabilire un ponte fra l’arte del costruire e la società. Architettura e design possono quindi dialogare con l’esterno senza “arroccarsi nell’incomprensibile intellettualismo”.

La mostra può vantare anche l’apporto di un co-curatore, l’architetto australiano John Gatip che espone, in aggiunta ai cinquantacinque modelli, l’opera “The Golden Shores”. Sette sculture dorate rappresentano le sette città-isola di Antilia ispirate al testo di Calvino. La mostra, che anche nel progetto grafico, realizzato dall’italo-francese Mirage Design Studio, ha un respiro internazionale, dopo la tappa bitontina, si sposterà in uno contenitore ex industriale dell’area metropolitana barese.
“Mirabilia” è una mostra che davvero meraviglia, per la sua capacità di superare le corazze delle apparenze fluide dell’attuale società, innescando una riflessione virtuosa sul significato del paesaggio e della sua funzione, ma anche sul senso dell’abitare lo spazio in quanto tale. Giacché, come diceva il grande scrittore del secolo scorso, “Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura”.