L’opposizione al governo c’è e batte qualche colpo

Le mobilitazione contro il ddl Pillon e per Mimmo Lucano, sono l'espressione di un fronte indisponibile ad accettare che sia il potere a decidere delle vite delle persone

Le mobilitazioni dei giorni scorsi, in tutta Italia, contro il disegno di legge del senatore leghista Pillon, che introduce la “bigenitorialità perfetta” in caso di separazione dei coniugi, sembrano finalmente testimoniare l’esistenza di un fronte sociale variegato ed eterogeneo, indisponibile ad accettare passivamente i provvedimenti del governo giallo-verde.

A dire il vero si era già intravisto qualcosa con le manifestazioni di solidarietà per Mimmo Lucano, che avevano portato in piazza parole d’ordine incompatibili con il modello autoritario, discriminatorio ed escludente messo in campo da questo governo, provando a fare spazio ad un lessico diverso, improntato alla solidarietà e alla giustizia sostanziale.

Insomma, è chiaro che i contenuti e i soggetti che abbiamo visto in piazza nelle ultime settimane non sono assimilabili ad un fronte coeso di opposizione, né possono indurci a parlare di alternative politiche concrete in campo. Piuttosto, l’eterogeneità degli alfabeti in campo riflette esattamente il carattere spontaneo e in qualche maniera “immediato” di tale opposizione.

Manifestazione a sostegno di Mimmo Lucano

Eppure già questo è un dato importante, con cui si è costretti a confrontarsi. In un momento in cui i dispositivi messi in atto dal governo riarticolano i problemi su un livello inedito eppure rischiosissimo, approfondendo lo scarto rispetto a quei soggetti indisponibili che già da tempo erano in una strutturale difficoltà di dialogo e di costruzione, l’emergenza della resistenza esplode comunque con forza.

Non è per nulla scontato, dicevamo, in quanto il modello di governo interseca molte delle categorie su cui si è articolato il discorso della sinistra negli ultimi anni. Il sovranismo intercetta quella concezione verticistica e marcatamente “decisionista” della politica, che ha articolato quella certezza, comune anche a sinistra, che l’unico modo per fare politica sia organizzare “dall’alto” la società.

La politica come affare per pochi illuminati, giocato da sovrani e sovranetti, dirigenti di partito o pseudo-tali, certi di essere responsabili della salvezza delle persone, altrimenti preda di appetiti egoistici e impulsi primordiali. Il desiderio di partecipazione, insieme al disagio e alla rabbia di una fetta sempre più ampia di persone, è stato incanalato allora da quei soggetti populisti che hanno costruito il proprio popolo sulla paura e sull’odio verso il diverso e il più debole.

L’esito di questo processo lo vediamo con le politiche delle ultime settimane. Basti pensare al decreto sicurezza e migrazione, che formalizza la discriminazione di “migranti e poveri insolenti”. Oppure, appunto, al decreto Pillon, che mira alla “naturalizzazione” della famiglia patriarcale e al disciplinamento delle donne entro gerarchie di genere. Lo stesso principio innerva il cosiddetto “reddito di cittadinanza”: tutt’altro che un dispositivo di autodeterminazione, è piuttosto uno strumento di disciplinamento della forza lavoro, che costringe poveri e disoccupati ad accettare qualsiasi offerta di lavoro pur di sopravvivere, subendo al contempo un controllo capillare dei propri consumi e delle proprie scelte di vita.

L’opposizione che abbiamo visto in piazza negli ultimi giorni, come dicevamo, non articola una proposta organizzata, né dimostra identità strutturate e alternative chiare. Di certo, però, mette in discussione il principio per cui debba essere il potere a decidere sulle vite delle persone. E per questo interroga anche le rappresentazioni abituali del potere e della politica, tutt’ora dominanti anche a sinistra.

Ci costringe insomma, ad interrogarci su come si possa riscrivere radicalmente il potere, strappandolo alla testa del sovrano, e rimettendolo alla molteplicità delle persone che costruiscono le condizioni della vita in comune, coniugando libertà e differenze, autonomia ed uguaglianza. È una sfida ardita ma necessaria, e non c’è tempo da perdere.

Nella foto, un momento delle proteste contro il disegno di legge Pillon